An. et vol. XCVII 1 Iulii 2005 N. 7 ACTA APOSTOLICAE SEDIS COMMENTARIUM OFFICIALE Directio: Palazzo Apostolico – Città del Vaticano – Administratio: Libreria Editrice Vaticana ACTA BENEDICTI PP. XVI LITTERAE APOSTOLICAE MOTU PROPRIO DATAE quibus « Compendium Catechismi Catholicae Ecclesiae » approbatur et promulgatur. Ai Venerabili Fratelli Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi, Vescovi, Presbiteri, Diaconi e a tutti i Membri del Popolo di Dio Vent’anni or sono iniziava l’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, richiesto dall’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi, in occasione del ventesimo anniversario della chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Ringrazio infinitamente il Signore Dio per aver donato alla Chiesa tale Catechismo, promulgato nel 1992 dal mio venerato e amato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II. La grande utilità e preziosità di questo dono è confermata anzitutto dalla positiva e larga accoglienza, che esso ha avuto presso l’episcopato, al quale era primariamente indirizzato come testo di riferimento sicuro e autentico per l’insegnamento della dottrina cattolica, e in particolare per l’elaborazione dei catechismi locali. Ma è confermata anche dalla favorevole e grande accoglienza ad esso riservata da parte di tutte le componenti del Popolo di Dio, che l’hanno potuto conoscere ed apprezzare nelle oltre cinquanta lingue, in cui è stato finora tradotto. Ora con grande gioia approvo e promulgo il Compendio di tale Catechismo. Esso era stato vivamente auspicato dai partecipanti al Congresso Catechistico Internazionale dell’ottobre 2002, che si erano fatti interpreti in tal Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 802 modo di un’esigenza molto diffusa nella Chiesa. Il mio compianto Predecessore, accogliendo tale desiderio, ne decise nel febbraio 2003 la preparazione, affidandone la redazione a una ristretta Commissione di Cardinali, da me presieduta, e affiancata da alcuni esperti collaboratori. Nel corso dei lavori, un progetto di tale Compendio è stato sottoposto al giudizio di tutti gli Eminentissimi Cardinali e dei Presidenti delle Conferenze Episcopali, che nella stragrande maggioranza l’hanno favorevolmente accolto e valutato. Il Compendio, che ora presento alla Chiesa universale, è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa, cosı̀ da costituire, come era stato auspicato dal mio Predecessore, una sorta di vademecum, che consenta alle persone, credenti e non, di abbracciare, in uno sguardo d’insieme, l’intero panorama della fede cattolica. Rispecchia fedelmente nella struttura, nei contenuti e nel linguaggio il Catechismo della Chiesa Cattolica, che troverà in questa sintesi un aiuto e uno stimolo per essere maggiormente conosciuto ed approfondito. Affido pertanto con fiducia questo Compendio anzitutto alla Chiesa intera e ad ogni cristiano in particolare, perché grazie ad esso possa ritrovare, in questo terzo millennio, nuovo slancio nel rinnovato impegno di evangelizzazione e di educazione alla fede, che deve caratterizzare ogni comunità ecclesiale e ogni credente in Cristo a qualunque età e nazione appartenga. Ma questo Compendio, per la sua brevità, chiarezza e integrità, si rivolge a ogni persona, che, vivendo in un mondo dispersivo e dai molteplici messaggi, desidera conoscere la Via della Vita, la Verità, affidata da Dio alla Chiesa del Suo Figlio. Leggendo questo autorevole strumento che è il Compendio, possa ciascuno, grazie in particolare all’intercessione di Maria Santissima, la Madre di Cristo e della Chiesa, riconoscere e accogliere sempre di più l’inesauribile bellezza, unicità e attualità del Dono per eccellenza che Dio ha fatto all’umanità: il Suo unico Figlio, Gesù Cristo, che è « la Via, la Verità e la Vita ».1 Dato il 28 giugno 2005, vigilia della Solennità dei SS. Pietro e Paolo, anno primo di Pontificato. BENEDICTUS PP. XVI 1 Gv 14, 6. Acta Benedicti Pp. XVI 803 CONSTITUTIO APOSTOLICA GULBARGENSIS In India nova conditur dioecesis Gulbargensis. BENEDICTUS EPISCOPUS servus servorum dei ad perpetuam rei memoriam Cum petitum esset nuper ut archidioecesis Hyderabadensis atque dioeceses Bellaryensis et Belgaumensis in India ita dividerentur ut nova constitueretur dioecesis ad aptius provehendam aeternam salutem Christifidelium ibidem degentium eorumque regimini efficacius consulendum, Congregatio pro Gentium Evangelizatione, omnibus mature perpensis habitoque pariter faventi voto Venerabilis Fratris Petri López Quintana, Archiepiscopi titulo Acropolitani atque in memorata Natione Apostolici Nuntii, admotam postulationem censuit esse accipiendam. Nos igitur, Qui gravissimo fungimur munere supremi Pastoris universae catholicae Ecclesiae, talem sententiam ratam habentes, summa Apostolica potestate haec decernimus. Separamus vicissim ab archidioecesi Hyderabadensi territorium Districtus civilis « Bidar », a dioecesi autem Bellaryensi territorium Districtus civilis « Gulbarga », a dioecesi Belgaumensi territorium Districtus civilis « Bijapur »; ex iisque distractis locis novam condimus dioecesim Gulbargensem, patrio sermone « Gulbarga » nuncupandam, quam metropolitanae Ecclesiae Bangalorensi suffraganeam facimus atque iurisdictioni Congregationis pro Gentium Evangelizatione subicimus. Praeterea iubemus episcopalem sedem poni in civitate « Gulbarga » atque templum ibidem exstans, Deo in honorem Mariae Matris Divinae Gratiae dicatum, ad dignitatem Cathedralis ecclesiae evehimus; cetera vero secundum canonicas leges temperentur. Quae praescripsimus perducet ad exitum praedictus Venerabilis Frater Petrus López Quintana, qui, re acta, curabit documenta exaranda sincerisque exemplis Congregationi pro Gentium Evangelizatione mittenda. Hanc denique Constitutionem Nostram iugiter ratam esse volumus, contrariis nihil obstantibus. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 804 Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die vicesimo quarto mensis Iunii, anno Domini bis millesimo quinto, Pontificatus Nostri primo. e Angelus card. Sodano Crescentius card. Sepe Secretarius Status Congr. pro Gentium Evang. Praef. Marcellus Rossetti, Protonot. Apost. Emmanuel Fernandez, Protonot. Apost. Loco e Plumbi In Secret. Status tab., n. 1704 HOMILIA In Sollemnitate Sanctorum Apostolorum Petri et Pauli.* La festa dei santi Apostoli Pietro e Paolo è insieme una grata memoria dei grandi testimoni di Gesù Cristo e una solenne confessione in favore della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. È anzitutto una festa della cattolicità. Il segno della Pentecoste — la nuova comunità che parla in tutte le lingue e unisce tutti i popoli in un unico popolo, in una famiglia di Dio — è diventato realtà. La nostra assemblea liturgica, nella quale sono riuniti Vescovi provenienti da tutte le parti del mondo, persone di molteplici culture e nazioni, è un’immagine della famiglia della Chiesa distribuita su tutta la terra. Stranieri sono diventati amici; al di là di tutti i confini, ci riconosciamo fratelli. Con ciò è portata a compimento la missione di san Paolo, che sapeva di « essere liturgo di Gesù Cristo tra i pagani... oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo ».1 Lo scopo della missione è un’umanità divenuta essa stessa una glorificazione vivente di Dio, il culto vero che Dio s’aspetta: è questo il senso più profondo di cattolicità – una cattolicità che già ci è stata donata e verso la quale tuttavia dobbiamo sempre di nuovo incamminarci. Cattolicità non esprime solo una dimensione orizzontale, il raduno di molte persone nell’unità; esprime anche una dimensione verticale: solo rivolgendo lo sguardo a Dio, * Die 29 Iunii 2005. 1 Rm 15, 16. Acta Benedicti Pp. XVI 805 solo aprendoci a Lui noi possiamo diventare veramente una cosa sola. Come Paolo, cosı̀ anche Pietro venne a Roma, nella città che era il luogo di convergenza di tutti i popoli e che proprio per questo poteva diventare prima di ogni altra espressione dell’universalità del Vangelo. Intraprendendo il viaggio da Gerusalemme a Roma, egli sicuramente si sapeva guidato dalle voci dei profeti, dalla fede e dalla preghiera d’Israele. Fa parte infatti anche dell’annuncio dell’Antica Alleanza la missione verso tutto il mondo: il popolo di Israele era destinato ad essere luce per le genti. Il grande salmo della Passione, il salmo 21, il cui primo versetto « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? » Gesù ha pronunciato sulla croce, terminava con la visione: « Torneranno al Signore tutti i confini della terra, si prostreranno davanti a Lui tutte le famiglie dei popoli ».2 Quando Pietro e Paolo vennero a Roma il Signore, che aveva iniziato quel salmo sulla croce, era risuscitato; questa vittoria di Dio doveva ora essere annunciata a tutti i popoli, compiendo cosı̀ la promessa con la quale il salmo si concludeva. Cattolicità significa universalità – molteplicità che diventa unità; unità che rimane tuttavia molteplicità. Dalla parola di Paolo sulla universalità della Chiesa abbiamo già visto che fa parte di questa unità la capacità dei popoli di superare se stessi, per guardare verso l’unico Dio. Il vero fondatore della teologia cattolica, sant’Ireneo di Lione, ha espresso questo legame tra cattolicità e unità in modo molto bello: « Questa dottrina e questa fede la Chiesa disseminata in tutto il mondo custodisce diligentemente formando quasi un’unica famiglia: la stessa fede con una sola anima e un solo cuore, la stessa predicazione, insegnamento, tradizione come avesse una sola bocca. Diverse sono le lingue secondo le regioni, ma unica e medesima è la forza della tradizione. Le Chiese di Germania non hanno una fede o tradizione diversa, come neppure quelle di Spagna, di Gallia, di Egitto, di Libia, dell’Oriente, del centro della terra; come il sole creatura di Dio è uno solo e identico in tutto il mondo, cosı̀ la luce della vera predicazione splende dovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono venire alla cognizione della verità ».3 L’unità degli uomini nella loro molteplicità è diventata possibile perché Dio, questo unico Dio del cielo e della terra, si è mostrato a noi; perché la verità essenziale sulla nostra vita, sul nostro « di dove? » e « verso dove? », è diventata visibile quando Egli si è mostrato a noi e in Gesù Cristo ci ha fatto vedere il suo volto, se stesso. Questa verità sull’essenza del nostro essere, sul nostro vivere e sul 2 3 Sal 21, 28. Adv. haer. I, 10, 2. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 806 nostro morire, verità che da Dio si è resa visibile, ci unisce e ci fa diventare fratelli. Cattolicità e unità vanno insieme. E l’unità ha un contenuto: la fede che gli Apostoli ci hanno trasmesso da parte di Cristo. Sono contento che ieri — nella festa di sant’Ireneo e nella vigilia della solennità dei santi Pietro e Paolo — ho potuto consegnare alla Chiesa una nuova guida per la trasmissione della fede, che ci aiuta a meglio conoscere e poi anche a meglio vivere la fede che ci unisce: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Quello che nel grande Catechismo, mediante le testimonianze dei santi di tutti i secoli e con le riflessioni maturate nella teologia, è presentato in maniera dettagliata, è qui ricapitolato nei suoi contenuti essenziali, che sono poi da tradurre nel linguaggio quotidiano e da concretizzare sempre di nuovo. Il libro è strutturato come colloquio in domande e risposte; quattordici immagini associate ai vari campi della fede invitano alla contemplazione e alla meditazione. Riassumono per cosı̀ dire in modo visibile ciò che la parola sviluppa nel dettaglio. All’inizio c’è un’icona di Cristo del VI secolo, che si trova sul monte Athos e rappresenta Cristo nella sua dignità di Signore della terra, ma insieme come araldo del Vangelo, che porta in mano. « Io sono colui che sono » — questo misterioso nome di Dio proposto nell’Antica Alleanza — è riportato lı̀ come suo nome proprio: tutto ciò che esiste viene da Lui; Egli è la fonte originaria di ogni essere. E perché è unico, è anche sempre presente, è sempre vicino a noi e allo stesso tempo sempre ci precede: come « indicatore » sulla via della nostra vita, anzi essendo Egli stesso la via. Non si può leggere questo libro come si legge un romanzo. Bisogna meditarlo con calma nelle sue singole parti e permettere che il suo contenuto, mediante le immagini, penetri nell’anima. Spero che sia accolto in questo modo e possa diventare una buona guida nella trasmissione della fede. Abbiamo detto che cattolicità della Chiesa e unità della Chiesa vanno insieme. Il fatto che entrambe le dimensioni si rendano visibili a noi nelle figure dei santi Apostoli, ci indica già la caratteristica successiva della Chiesa: essa è apostolica. Che cosa significa? Il Signore ha istituito dodici Apostoli, cosı̀ come dodici erano i figli di Giacobbe, indicandoli con ciò come capostipiti del popolo di Dio che, diventato ormai universale, da allora in poi comprende tutti i popoli. San Marco ci dice che Gesù chiamò gli Apostoli perché « stessero con lui e anche per mandarli ».4 Sembra quasi una contraddizione. Noi diremmo: o stanno con lui o sono mandati e si mettono in cammino. C’è una parola 4 Mc 3, 14. Acta Benedicti Pp. XVI 807 sugli angeli del santo Papa Gregorio Magno che ci aiuta a sciogliere la contraddizione. Egli dice che gli angeli sono sempre mandati e allo stesso tempo sempre davanti a Dio: « Ovunque sono mandati, ovunque vanno, camminano sempre nel seno di Dio ».5 L’Apocalisse ha qualificato i Vescovi come « angeli » della loro Chiesa, e possiamo quindi fare questa applicazione: gli Apostoli e i loro successori dovrebbero stare sempre con il loro Signore e proprio cosı̀ — ovunque vadano — essere sempre in comunione con Lui e vivere di questa comunione. La Chiesa è apostolica, perché confessa la fede degli Apostoli e cerca di viverla. Vi è una unicità che caratterizza i Dodici chiamati dal Signore, ma esiste allo stesso tempo una continuità nella missione apostolica. San Pietro nella sua prima lettera si è qualificato come « co-presbitero » con i presbiteri ai quali scrive.6 E con ciò ha espresso il principio della successione apostolica: lo stesso ministero che egli aveva ricevuto dal Signore ora continua nella Chiesa grazie all’ordinazione sacerdotale. La Parola di Dio non è soltanto scritta ma, grazie ai testimoni che il Signore nel sacramento ha inserito nel ministero apostolico, resta parola vivente. Cosı̀ ora mi rivolgo a Voi, cari confratelli Vescovi, vi saluto con affetto, insieme con i vostri familiari e con i pellegrini delle rispettive Diocesi. Voi state per ricevere il pallio dalle mani del Successore di Pietro. L’abbiamo fatto benedire, come da Pietro stesso, ponendolo accanto alla sua tomba. Ora esso è espressione della nostra comune responsabilità davanti all’« arci-pastore » Gesù Cristo, del quale parla Pietro.7 Il pallio è espressione della nostra missione apostolica. È espressione della nostra comunione, che nel ministero petrino ha la sua garanzia visibile. Con l’unità, cosı̀ come con l’apostolicità, è collegato il servizio petrino, che riunisce visibilmente la Chiesa di tutte le parti e di tutti i tempi, difendendo in tal modo ciascuno di noi dallo scivolare in false autonomie, che troppo facilmente si trasformano in interne particolarizzazioni della Chiesa e possono compromettere cosı̀ la sua indipendenza interna. Con questo non vogliamo dimenticare che il senso di tutte le funzioni e ministeri è in fondo che « arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo », perché cresca il corpo di Cristo « in modo da edificare se stesso nella carità ».8 5 6 7 8 Omelia 34, 13. 5, 1. 1 Pt 5, 4. Ef 4, 13.16. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 808 In questa prospettiva saluto di cuore e con gratitudine la delegazione della Chiesa ortodossa di Costantinopoli, che è inviata dal Patriarca ecumenico Bartolomeo I, al quale rivolgo un cordiale pensiero. Guidata dal Metropolita Ioannis, è venuta a questa nostra festa e partecipa alla nostra celebrazione. Anche se ancora non concordiamo nella questione dell’interpretazione e della portata del ministero petrino, stiamo però insieme nella successione apostolica, siamo profondamente uniti gli uni con gli altri per il ministero vescovile e per il sacramento del sacerdozio e confessiamo insieme la fede degli Apostoli come ci è donata nella Scrittura e come è interpretata nei grandi Concili. In quest’ora del mondo piena di scetticismo e di dubbi, ma anche ricca di desiderio di Dio, riconosciamo nuovamente la nostra missione comune di testimoniare insieme Cristo Signore e, sulla base di quell’unità che già ci è donata, di aiutare il mondo perché creda. E supplichiamo il Signore con tutto il cuore perché ci guidi all’unità piena in modo che lo splendore della verità, che sola può creare l’unità, diventi di nuovo visibile nel mondo. Il Vangelo di questo giorno ci parla della confessione di san Pietro da cui ha avuto inizio la Chiesa: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente ».9 Avendo parlato oggi della Chiesa una, cattolica e apostolica, ma non ancora della Chiesa santa, vogliamo ricordare in questo momento un’altra confessione di Pietro pronunciata nel nome dei Dodici nell’ora del grande abbandono: « Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio ».10 Che cosa significa? Gesù, nella grande preghiera sacerdotale, dice di santificarsi per i discepoli, alludendo al sacrificio della sua morte.11 Con questo Gesù esprime implicitamente la sua funzione di vero Sommo Sacerdote che realizza il mistero del « Giorno della Riconciliazione », non più soltanto nei riti sostitutivi, ma nella concretezza del proprio corpo e sangue. La parola « il Santo di Dio » nell’Antico Testamento indicava Aronne come Sommo Sacerdote che aveva il compito di compiere la santificazione d’Israele.12 La confessione di Pietro in favore di Cristo, che egli dichiara il Santo di Dio, sta nel contesto del discorso eucaristico, nel quale Gesù annuncia il grande Giorno della Riconciliazione mediante l’offerta di se stesso in sacrificio: « Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo ».13 Cosı̀, sullo sfondo di questa confessione, sta il mi9 10 11 12 13 Mt 16, 16. Gv 6, 69. Ibid. 17, 19. Sal 105, 16; cfr Sir 45, 6. Gv 6, 51. Acta Benedicti Pp. XVI 809 stero sacerdotale di Gesù, il suo sacrificio per tutti noi. La Chiesa non è santa da se stessa; consiste infatti di peccatori — lo sappiamo e lo vediamo tutti. Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata dall’amore purificatore di Cristo. Dio non solo ha parlato: ci ha amato molto realisticamente, amato fino alla morte del proprio Figlio. È proprio da qui che ci si mostra tutta la grandezza della rivelazione che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. Allora ciascuno di noi può dire personalmente con san Paolo: « Io vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me ».14 Preghiamo il Signore perché la verità di questa parola si imprima profondamente, con la sua gioia e la sua responsabilità, nel nostro cuore; preghiamo perché irradiandosi dalla Celebrazione eucaristica, essa diventi sempre di più la forza che plasma la nostra vita. ALLOCUTIONES I Sermo, quo inauguratur Conventus Ecclesialis Romanae Dioecesis de Familia et Communitate Christiana.* Cari fratelli e sorelle, ho accolto molto volentieri l’invito a introdurre con una mia riflessione questo nostro Convegno Diocesano, anzitutto perché ciò mi dà la possibilità di incontrarvi, di avere un contatto diretto con voi, e poi anche perché posso aiutarvi ad approfondire il senso e lo scopo del cammino pastorale che la Chiesa di Roma sta percorrendo. Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, e in particolare voi laici e famiglie che assumete consapevolmente quei compiti di impegno e testimonianza cristiana che hanno la loro radice nel sacramento del battesimo e, per coloro che sono sposati, in quello del matrimonio. Ringrazio di cuore il Cardinale Vicario e i coniugi Luca e Adriana Pasquale per le parole che mi hanno rivolto a nome di voi tutti. 14 Gal 2, 20. —————— * Die 6 Iunii 2005. 810 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale Questo Convegno, e l’anno pastorale di cui esso fornirà le linee guida, costituiscono una nuova tappa del percorso che la Chiesa di Roma ha iniziato, sulla base del Sinodo diocesano, con la Missione cittadina voluta dal nostro tanto amato Papa Giovanni Paolo II, in preparazione al Grande Giubileo del 2000. In quella Missione tutte le realtà della nostra Diocesi — parrocchie, comunità religiose, associazioni e movimenti — si sono mobilitate, non solo per una missione al popolo di Roma, ma per essere esse stesse « popolo di Dio in missione », mettendo in pratica la felice espressione di Giovanni Paolo II « parrocchia, cerca te stessa e trova te stessa fuori di te stessa »: nei luoghi cioè nei quali la gente vive. Cosı̀, nel corso della Missione cittadina, molte migliaia di cristiani di Roma, in gran parte laici, si sono fatti missionari e hanno portato la parola della fede dapprima nelle famiglie dei vari quartieri della città e poi nei diversi luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle scuole e nelle università, negli spazi della cultura e del tempo libero. Dopo l’Anno Santo, il mio amato Predecessore vi ha chiesto di non interrompere questo cammino e di non disperdere le energie apostoliche suscitate e i frutti di grazia raccolti. Perciò, a partire dal 2001, il fondamentale indirizzo pastorale della Diocesi è stato quello di dare forma permanente alla missione, caratterizzando in senso più decisamente missionario la vita e le attività delle parrocchie e di ogni altra realtà ecclesiale. Voglio dirvi anzitutto che intendo confermare pienamente questa scelta: essa infatti si rivela sempre più necessaria e senza alternative, in un contesto sociale e culturale nel quale sono all’opera forze molteplici che tendono ad allontanarci dalla fede e dalla vita cristiana. Da ormai due anni l’impegno missionario della Chiesa di Roma si è concentrato soprattutto sulla famiglia, non solo perché questa fondamentale realtà umana oggi è sottoposta a molteplici difficoltà e minacce e quindi ha particolare bisogno di essere evangelizzata e concretamente sostenuta, ma anche perché le famiglie cristiane costituiscono una risorsa decisiva per l’educazione alla fede, l’edificazione della Chiesa come comunione e la sua capacità di presenza missionaria nelle più diverse situazioni di vita, oltre che per fermentare in senso cristiano la cultura diffusa e le strutture sociali. Su queste linee proseguiremo anche nel prossimo anno pastorale e perciò il tema del nostro Convegno è « Famiglia e comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede ». Il presupposto dal quale occorre partire, per poter comprendere la missione della famiglia nella comunità cristiana e i suoi compiti di formazione della Acta Benedicti Pp. XVI 811 persona e trasmissione della fede, rimane sempre quello del significato che il matrimonio e la famiglia rivestono nel disegno di Dio, creatore e salvatore. Questo sarà dunque il nocciolo della mia riflessione di questa sera, richiamandomi all’insegnamento dell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio.1 Il fondamento antropologico della famiglia Matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? cosa è l’uomo? E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall’interrogativo su Dio: esiste Dio? e chi è Dio? qual è veramente il suo volto? La risposta della Bibbia a questi due quesiti è unitaria e consequenziale: l’uomo è creato ad immagine di Dio, e Dio stesso è amore. Perciò la vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama. Da questa fondamentale connessione tra Dio e l’uomo ne consegue un’altra: la connessione indissolubile tra spirito e corpo: l’uomo è infatti anima che si esprime nel corpo e corpo che è vivificato da uno spirito immortale. Anche il corpo dell’uomo e della donna ha dunque, per cosı̀ dire, un carattere teologico, non è semplicemente corpo, e ciò che è biologico nell’uomo non è soltanto biologico, ma è espressione e compimento della nostra umanità. Parimenti, la sessualità umana non sta accanto al nostro essere persona, ma appartiene ad esso. Solo quando la sessualità si è integrata nella persona, riesce a dare un senso a se stessa. Cosı̀, dalle due connessioni, dell’uomo con Dio e nell’uomo del corpo con lo spirito, ne scaturisce una terza: quella tra persona e istituzione. La totalità dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il « sı̀ » dell’uomo è un andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il « sı̀ » significa « sempre », costituisce lo spazio della fedeltà. Solo all’interno di esso può crescere quella fede che dà un futuro e consente che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo e nel suo futuro in tempi difficili. La libertà del « sı̀ » si rivela dunque libertà capace di assumere ciò che è definitivo: la più grande espres1 Parte seconda, nn. 12-16. 812 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale sione della libertà non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione. Apparentemente questa apertura permanente sembra essere la realizzazione della libertà, ma non è vero: la vera espressione della libertà è invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa. In concreto, il « sı̀ » personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo « sı̀ » personale non può non essere un « sı̀ » anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà, che garantisce anche il futuro per la comunità. Nessuno di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori nella realtà più privata della vita; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale e della profondità della persona umana. Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il « matrimonio di prova », fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo. Il suo presupposto è che l’uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa cosı̀ una cosa secondaria, manipolabile dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole. Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per cosı̀ dire fuori dall’autentico essere e dignità della persona. Matrimonio e famiglia nella storia della salvezza La verità del matrimonio e della famiglia, che affonda le sue radici nella verità dell’uomo, ha trovato attuazione nella storia della salvezza, al cui centro sta la parola: « Dio ama il suo popolo ». La rivelazione biblica, infatti, è anzitutto espressione di una storia d’amore, la storia dell’alleanza di Dio con gli uomini: perciò la storia dell’amore e dell’unione di un uomo ed una donna nell’alleanza del matrimonio ha potuto essere assunta da Dio quale simbolo della storia della salvezza. Il fatto inesprimibile, il mistero dell’amore di Dio per gli uomini, riceve la sua forma linguistica dal vocabolario del matrimonio e Acta Benedicti Pp. XVI 813 della famiglia, in positivo e in negativo: l’accostarsi di Dio al suo popolo viene presentato infatti nel linguaggio dell’amore sponsale, mentre l’infedeltà di Israele, la sua idolatria, è designata come adulterio e prostituzione. Nel Nuovo Testamento Dio radicalizza il suo amore fino a divenire Egli stesso, nel suo Figlio, carne della nostra carne, vero uomo. In questo modo l’unione di Dio con l’uomo ha assunto la sua forma suprema, irreversibile e definitiva. E cosı̀ viene tracciata anche per l’amore umano la sua forma definitiva, quel « sı̀ » reciproco che non può essere revocato: essa non aliena l’uomo, ma lo libera dalle alienazioni della storia per riportarlo alla verità della creazione. La sacramentalità che il matrimonio assume in Cristo significa dunque che il dono della creazione è stato elevato a grazia di redenzione. La grazia di Cristo non si aggiunge dal di fuori alla natura dell’uomo, non le fa violenza, ma la libera e la restaura, proprio nell’innalzarla al di là dei suoi propri confini. E come l’incarnazione del Figlio di Dio rivela il suo vero significato nella croce, cosı̀ l’amore umano autentico è donazione di sé, non può esistere se vuole sottrarsi alla croce. Cari fratelli e sorelle, questo legame profondo tra Dio e l’uomo, tra l’amore di Dio e l’amore umano, trova conferma anche in alcune tendenze e sviluppi negativi, di cui tutti avvertiamo il peso. Lo svilimento dell’amore umano, la soppressione dell’autentica capacità di amare si rivela infatti, nel nostro tempo, l’arma più adatta e più efficace per scacciare Dio dall’uomo, per allontanare Dio dallo sguardo e dal cuore dell’uomo. Analogamente, la volontà di « liberare » la natura da Dio conduce a perdere di vista la realtà stessa della natura, compresa la natura dell’uomo, riducendola a un insieme di funzioni, di cui disporre a piacimento per costruire un presunto mondo migliore e una presunta umanità più felice; invece si distrugge il disegno del Creatore e cosı̀ la verità della nostra natura. I figli Anche nella generazione dei figli il matrimonio riflette il suo modello divino, l’amore di Dio per l’uomo. Nell’uomo e nella donna la paternità e la maternità, come il corpo e come l’amore, non si lasciano circoscrivere nel biologico: la vita viene data interamente solo quando con la nascita vengono dati anche l’amore e il senso che rendono possibile dire sı̀ a questa vita. Proprio da qui diventa del tutto chiaro quanto sia contrario all’amore umano, alla vocazione profonda dell’uomo e della donna, chiudere sistematica- Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 814 mente la propria unione al dono della vita, e ancora più sopprimere o manomettere la vita che nasce. Nessun uomo e nessuna donna, però, da soli e unicamente con le proprie forze, possono dare ai figli in maniera adeguata l’amore e il senso della vita. Per poter infatti dire a qualcuno « la tua vita è buona, per quanto io non conosca il tuo futuro », occorrono un’autorità e una credibilità superiori a quello che l’individuo può darsi da solo. Il cristiano sa che questa autorità è conferita a quella famiglia più vasta che Dio, attraverso il Figlio suo Gesù Cristo e il dono dello Spirito Santo, ha creato nella storia degli uomini, cioè alla Chiesa. Egli riconosce qui all’opera quell’amore eterno e indistruttibile che assicura alla vita di ciascuno di noi un senso permanente, anche se non conosciamo il futuro. Per questo motivo l’edificazione di ogni singola famiglia cristiana si colloca nel contesto della più grande famiglia della Chiesa, che la sostiene e la porta con sé e garantisce che c’è il senso e che ci sarà anche il futuro su di essa il « sı̀ » del Creatore. E reciprocamente la Chiesa viene edificata dalle famiglia, « piccole Chiese domestiche », come le ha chiamate il Concilio Vaticano II,2 riscoprendo un’antica espressione patristica.3 Nel medesimo senso la Familiaris consortio afferma che « Il matrimonio cristiano... è il luogo naturale nel quale si compie l’inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa ».4 La famiglia e la Chiesa Da tutto ciò scaturisce una conseguenza evidente: la famiglia e la Chiesa, in concreto le parrocchie e le altre forme di comunità ecclesiale, sono chiamate alla più stretta collaborazione per quel compito fondamentale che è costituito, inseparabilmente, dalla formazione della persona e dalla trasmissione della fede. Sappiamo bene che per un’autentica opera educativa non basta una teoria giusta o una dottrina da comunicare. C’è bisogno di qualcosa di molto più grande e umano, di quella vicinanza, quotidianamente vissuta, che è propria dell’amore e che trova il suo spazio più propizio anzitutto nella comunità familiare, ma poi anche in una parrocchia, o movimento o associazione ecclesiale, in cui si incontrino persone che si prendono cura dei fratelli, in particolare dei bambini e dei giovani, ma anche degli adulti, degli anziani, dei malati, delle stesse famiglie, perché, in Cristo, vogliono loro bene. Il 2 3 4 Lumen gentium, 11; Apostolicam actuositatem, 11. San Giovanni Crisostomo, In Genesim serm. VI, 2; VII, 1. N. 14. Acta Benedicti Pp. XVI 815 grande Patrono degli educatori, San Giovanni Bosco, ricordava ai suoi figli spirituali che « l’educazione è cosa del cuore e che Dio solo ne è il padrone ».5 Centrale nell’opera educativa, e specialmente nell’educazione alla fede, che è il vertice della formazione della persona e il suo orizzonte più adeguato, è in concreto la figura del testimone: egli diventa punto di riferimento proprio in quanto sa rendere ragione della speranza che sostiene la sua vita,6 è personalmente coinvolto con la verità che propone. Il testimone, d’altra parte, non rimanda mai a se stesso, ma a qualcosa, o meglio a Qualcuno più grande di lui, che ha incontrato e di cui ha sperimentato l’affidabile bontà. Cosı̀ ogni educatore e testimone trova il suo modello insuperabile in Gesù Cristo, il grande testimone del Padre, che non diceva nulla da se stesso, ma parlava cosı̀ come il Padre gli aveva insegnato.7 Questo è il motivo per il quale alla base della formazione della persona cristiana e della trasmissione della fede sta necessariamente la preghiera, l’amicizia personale con Cristo e la contemplazione in Lui del volto del Padre. E la stessa cosa vale, evidentemente, per tutto il nostro impegno missionario, in particolare per la pastorale familiare: la Famiglia di Nazareth sia dunque, per le nostre famiglie e per le nostre comunità, oggetto di costante e fiduciosa preghiera, oltre che modello di vita. Cari fratelli e sorelle, e specialmente voi, cari sacerdoti, conosco la generosità e la dedizione con cui servite il Signore e la Chiesa. Il vostro lavoro quotidiano per la formazione alla fede delle nuove generazioni, in stretta connessione con i sacramenti dell’iniziazione cristiana, come anche per la preparazione al matrimonio e per l’accompagnamento delle famiglie nel loro spesso non facile cammino, in particolare nel grande compito dell’educazione dei figli, è la strada fondamentale per rigenerare sempre di nuovo la Chiesa e anche per vivificare il tessuto sociale di questa nostra amata città di Roma. La minaccia del relativismo Continuate dunque, senza lasciarvi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate. Il rapporto educativo è per sua natura una cosa delicata: chiama in causa infatti la libertà dell’altro che, per quanto dolcemente, viene pur sempre provocata a una decisione. Né i genitori, né i sacerdoti o i catechisti, né gli altri educatori possono sostituirsi alla libertà del fanciullo, del ragazzo o del giovane 5 6 7 Epistolario, 4, 209. Cfr 1 Pt 3, 15. Cfr Gv 8, 28. 816 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale a cui si rivolgono. E specialmente la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e sotto l’apparenza della libertà diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro, rendendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio « io ». Dentro a un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità; prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune. È chiaro dunque che non soltanto dobbiamo cercare di superare il relativismo nel nostro lavoro di formazione delle persone, ma siamo anche chiamati a contrastare il suo predominio distruttivo nella società e nella cultura. È molto importante perciò, accanto alla parola della Chiesa, la testimonianza e l’impegno pubblico delle famiglie cristiane, specialmente per riaffermare l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli, compito essenziale per il nostro comune futuro. Anche per questo impegno vi dico un grazie cordiale. Sacerdozio e vita consacrata Un ultimo messaggio che vorrei affidarvi riguarda la cura delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: sappiamo tutti quanto la Chiesa ne abbia bisogno! Perché queste vocazioni nascano e giungano a maturazione, perché le persone chiamate si mantengano sempre degne della loro vocazione, è decisiva anzitutto la preghiera, che non deve mai mancare in ciascuna famiglia e comunità cristiana. Ma è anche fondamentale la testimonianza di vita dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, la gioia che essi esprimono per essere stati chiamati dal Signore. Ed è ugualmente essenziale l’esempio che i figli ricevono all’interno della propria famiglia e la convinzione delle famiglie stesse che, anche per loro, la vocazione dei propri figli è un grande dono del Signore. La scelta della verginità per amore di Dio e dei fratelli, che è richiesta per il sacerdozio e la vita consacrata, sta infatti insieme con la valorizzazione del matrimonio cristiano: l’uno e l’altra, in due maniere differenti e Acta Benedicti Pp. XVI 817 complementari, rendono in qualche modo visibile il mistero dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo al vostro lavoro nelle serate del Convegno e poi durante il prossimo anno pastorale. Chiedo al Signore di darvi coraggio ed entusiasmo, perché questa nostra Chiesa di Roma, ciascuna parrocchia, comunità religiosa, associazione o movimento partecipi più intensamente alla gioia e alle fatiche della missione e cosı̀ ogni famiglia e l’intera comunità cristiana riscopra nell’amore del Signore la chiave che apre la porta dei cuori e che rende possibile una vera educazione alla fede e formazione delle persone. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano oggi e per il futuro. II Ad Delegationem consociationis vulgo « International Jewish Committee on Interreligious Consultations ».* Distinguished Guests, Dear Friends, I am pleased to welcome to the Vatican a delegation of the “International Jewish Committee on Interreligious Consultations”. Our meeting takes place during this year which marks the fortieth anniversary of the Declaration Nostra Aetate of the Second Vatican Council, whose teaching has served as the basis of the Church’s relationship with the Jewish people since then. The Council affirmed the Church’s conviction that, in the mystery of the divine election, the beginnings of her faith are already to be found in Abraham, Moses and the Prophets. On the basis of this spiritual patrimony and the teaching of the Gospel, it called for greater mutual understanding and esteem between Christians and Jews and deplored all manifestations of hatred, persecution and antisemitism.1 At the very beginning of my Pontificate, I wish to assure you that the Church remains firmly committed, in her catechesis and in every aspect of her life, to implementing this decisive teaching. * Die 9 Iunii 2005. 1 Nostra Aetate, 4. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 818 In the years following the Council, my predecessors Pope Paul VI and, in a particular way, Pope John Paul II, took significant steps towards improving relations with the Jewish people. It is my intention to continue on this path. The history of relations between our two communities has been complex and often painful, yet I am convinced that the « spiritual patrimony » treasured by Christian and Jews is itself the source of the wisdom and inspiration capable of guiding us toward « a future of hope » in accordance with the divine plan.2 At the same time, remembrance of the past remains for both communities a moral imperative and a source of purification in our efforts to pray and work for reconciliation, justice, respect for human dignity and for that peace which is ultimately a gift from the Lord himself. Of its very nature this imperative must include a continued reflection on the profound historical, moral and theological questions presented by the experience of the Shoah. During the past thirty-five years the International Jewish Committee on Interreligious Consultations has met with delegations of the Holy See’s Commission for Religious Relations with the Jews eighteen times, including the most recent meeting, in Buenos Aires in July 2004, devoted to the theme « Justice and Charity ». I give thanks to the Lord for the progress which has been made in these years, and I encourage you to persevere in your important work, laying the foundations for continued dialogue and the building of a reconciled world, a world ever more in harmony with the Creator’s will. Upon all of you and upon your loved ones I cordially invoke the divine blessings of wisdom, strength and peace. III Ad Secretarium Generalem Consilii Oecumenici Ecclesiarum, Rev.dum Doct. Samuelem Kobia, coram admissum.* Dear General Secretary, “Grace to you and peace from God our Father and the Lord Jesus Christ”.1 With these words of Saint Paul, I gladly welcome you and the 2 Cf. Jer 29:11. —————— * Die 16 Iunii 2005. 1 Phil 1:2. Acta Benedicti Pp. XVI 819 members of the delegation from the World Council of Churches. After your installation as General Secretary you had planned to visit my beloved predecessor Pope John Paul II. Though this hope was never realized, I thank you for representing the World Council of Churches at his funeral, and I express my gratitude for the message which you sent to me on the occasion of the solemn inauguration of my own ministry as Bishop of Rome. Relations between the Catholic Church and the World Council developed during the Second Vatican Council, where two observers from Geneva were present at all four sessions. This led in 1965 to the establishment of the Joint Working Group as an instrument of ongoing contact and cooperation, which would keep in mind the common task of unity in answer to the Lord’s own prayer, “that they may all be one”.2 Next November an important consultation on the future of the Joint Working Group will be held to mark the fortieth anniversary of its founding. My hope and prayer is that its purpose and working methodology will be further clarified for the sake of ever more effective ecumenical understanding, cooperation and progress. In the very first days of my Pontificate I stated that my “primary task is the duty to work tirelessly to rebuild the full and visible unity of all Christ’s followers”. This requires, in addition to good intentions, “concrete gestures which enter hearts and stir consciences... inspiring in everyone that inner conversion that is the prerequisite for all ecumenical progress”.3 Pope John Paul II often recalled that the heart of the search for Christian unity is “spiritual ecumenism”. He saw its core in terms of being in Christ: “To believe in Christ means to desire unity; to desire unity means to desire the Church; to desire the Church means to desire the communion of grace which corresponds to the Father’s plan from all eternity. Such is the meaning of Christ’s prayer: Ut unum sint”.4 It is my hope that your visit to the Holy See has been fruitful, strengthening the bonds of understanding and friendship between us. The commitment of the Catholic Church to the search for Christian unity is irreversible. I therefore wish to assure you that she is eager to continue cooperation with the World Council of Churches. Again, I offer a special word of encouragement to you, Mr General Secretary, to the members of the Central Committee and to the entire staff, as you work to lead and renew this 2 3 4 Jn 17:21. Sermo in Pontificatus exordia, 5. Encyclical Letter Ut Unum Sint, 9. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 820 important ecumenical body. Please know that you are in my prayers and that you have my unfailing goodwill. “May grace and peace be yours in abundance”.5 IV Ad Legatos Azerbaijaniae, Guineae, Maltae, Novae Zelandiae, Ruandae, Confederationis Helveticae et Zimbabuae Nationum occasione traditionis litterarum commissi muneris testium.* Excellences, Je suis heureux de vous accueillir au moment où vous présentez les Lettres qui vous accréditent comme Ambassadeurs de vos pays respectifs: Azerbaı̈djan, Guinée, Malte, Nouvelle-Zélande, Rwanda, Suisse et Zimbabwe. Je vous demande de remercier vos Chefs d’État pour leurs messages déférents et de leur transmettre mes salutations respectueuses. À travers vous, c’est tous les peuples que vous représentez que je veux saluer fraternellement et auxquels je veux adresser mes vœux les plus chaleureux et les plus fervents, redisant aux hommes et aux femmes de tous vos pays que je suis proche d’eux et que je prie pour eux. Je les invite à s’engager pour créer une humanité toujours plus fraternelle, dans une attention renouvelée à tous, en particulier aux personnes qui sont les plus pauvres et à celles qui sont exclues de la société. Dans ce sens, notre monde est confronté à de nombreux défis qu’il doit surmonter pour que l’homme l’emporte toujours sur la technique, et que la juste destinée des peuples constitue le souci primordial de ceux qui ont accepté de gérer les Affaires publiques, non pour euxmêmes, mais en vue du bien commun. Notre cœur ne peut être en paix tant que nous voyons des frères souffrir, par manque de nourriture, de travail, de toit ou d’autres biens fondamentaux. Pour apporter une réponse concrète à l’appel que nous lancent nos frères en humanité, nous avons à faire face au premier des défis: celui de la solidarité entre générations, de la solidarité entre pays et entre continents, pour un 5 2 Pt 1:2. —————— * Die 16 Iunii 2005. Acta Benedicti Pp. XVI 821 partage toujours plus équitable des richesses de la planète entre tous les hommes. C’est un des services essentiels que les hommes de bonne volonté doivent rendre à l’humanité. La terre a en effet la capacité de nourrir tous ses habitants, à condition que les pays riches ne gardent pas pour eux ce qui appartient à tous. L’Église ne cessera de rappeler que tous les hommes doivent être attentifs à une fraternité humaine faite de gestes concrets, au niveau des individus comme au niveau des Gouvernements et des Institutions internationales. Ayant pour sa part inscrit le partage au cœur de sa vie depuis les temps apostoliques, l’Église continuera sur tous les continents à venir en aide aux populations, avec le soutien de ses communautés locales et de tous les hommes de bonne volonté, notamment dans les domaines de l’éducation, de la santé et des biens fondamentaux. Je sais qu’en tant que diplomates, vous êtes particulièrement sensibles à cet aspect de la vie en société et que la diplomatie a un rôle important à jouer. Au moment où vous commencez votre mission auprès du Siège apostolique, je vous exprime mes souhaits les meilleurs et j’invoque l’abondance des Bénédictions divines, sur vous-mêmes ainsi que sur vos familles, sur vos collaborateurs et sur les nations que vous représentez. V Ad participes congressus de Operibus ad auxilium Ecclesiis Orientalibus ferendum R.O.A.C.O. coram admissos.* Beatitudine, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Cari Membri e Amici della R.O.A.C.O.! È per me un piacere accogliere quest’oggi tutti voi, convenuti a Roma per l’annuale assemblea della R.O.A.C.O. (Riunione Opere Aiuto Chiese Orientali). A ciascuno porgo un cordiale benvenuto. Saluto il Cardinale Ignace Moussa Daoud, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, con il Segretario, Mons. Antonio Maria Vegliò, e i Collaboratori del Dicastero. Uno * Die 23 Iunii 2005. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 822 speciale saluto rivolgo all’Arcivescovo Maggiore di Lviv, il Cardinale Lubomyr Husar, e a tutti coloro che prendono parte alla R.O.A.C.O. a motivo dell’attenzione riservata ai loro territori, comunità ed istituzioni. Fin dagli inizi dell’annuncio cristiano, le comunità cristiane bisognose e povere hanno conosciuto forme di sostegno da parte di quelle più fortunate. Nel tempo presente, segnato non di rado da spinte all’individualismo, appare ancor più necessario che i cristiani offrano la testimonianza di una solidarietà che varchi ogni frontiera, per costruire un mondo all’interno del quale tutti si sentano accolti e rispettati. Coloro che portano a compimento questa missione in modo personale o comunitario diventano diffusori di amore autentico, amore che libera il cuore e reca ovunque quella gioia « che nessuno potrà togliere » perché viene dal Signore. Vorrei ringraziarvi, cari amici della R.O.A.C.O., per quanto voi state facendo a favore di fratelli in difficoltà e in particolare per gli sforzi che affrontate al fine di rendere tangibile la carità che lega i cristiani di tradizione latina e quelli di tradizione orientale. Intensificare tali vincoli è rendere un servizio preziosissimo alla Chiesa universale. Continuate, pertanto, in questo ammirevole impegno ed anzi allargate ancora di più le prospettive della vostra azione. In questi giorni avete esaminato particolarmente la situazione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina, il cui sviluppo continuo, dopo il triste inverno del regime comunista, è motivo di gioia e di speranza, anche perché l’antica e nobile eredità spirituale, di cui la comunità greco-cattolica è custode costituisce un vero tesoro per il progresso dell’intero Popolo ucraino. Vi dico pertanto: sostenete il suo cammino ecclesiale e favorite tutto ciò che giova alla riconciliazione e alla fraternità tra i cristiani dell’amata Ucraina. Durante i vostri lavori vi siete soffermati inoltre sulla formazione dei sacerdoti, seminaristi e religiosi appartenenti alle varie Chiese Orientali Cattoliche, impegnati negli studi a Roma e nei Paesi d’origine. La presenza accanto alla Sede di Pietro di circa cinquecento studenti orientali delle Chiese cattoliche costituisce un’opportunità da valorizzare. Al tempo stesso, voi avvertite giustamente che occorre qualificare con massima cura le istituzioni formative operanti nelle stesse Chiese Orientali: accanto al sostegno materiale va pertanto incentivata l’azione formativa che, da una parte, approfondisca la genuina tradizione locale, tenendo in debito conto l’organico progresso delle Chiese Orientali 1 e, dall’altra, conduca a compimento 1 Cfr Conc. Oec. Vat. II, Decretum Orientalium Ecclesiarum, 6. Acta Benedicti Pp. XVI 823 l’autentico aggiornamento prospettato dal Concilio Vaticano II, che si chiuse proprio quarant’anni or sono. Cari Membri della R.O.A.C.O., Gerusalemme e la Terra Santa, verso cui tutti i cristiani hanno un debito indimenticabile,2 godono sempre della vostra lodevole premura. Alcuni segnali positivi, che ci giungono in questi ultimi mesi, rendono più salda la speranza che non tardi ad avvicinarsi il giorno della riconciliazione tra le varie comunità operanti in Terra Santa; e per questo non cessiamo di pregare con fiducia. Concludendo, vorrei rinnovarvi l’espressione della mia gratitudine per l’apprezzato lavoro che svolgete. Vi accompagnino, nella quotidiana attività, la costante assistenza divina e la materna protezione della Vergine Maria, Madre della Chiesa. Mentre assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, di cuore imparto a tutti la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri agli Organismi ecclesiali che rappresentate ed alle vostre famiglie. VI Ad Praesidem Reipublicae Italiae, Exc.mum Virum Carolum Azeglio Ciampi, occasione visitationis.* Signor Presidente! Ho la gioia di ricambiare, oggi, la visita cordialissima che Lei, nella Sua qualità di Capo dello Stato italiano, ha voluto rendermi il 3 maggio scorso in occasione del nuovo servizio pastorale a cui il Signore mi ha chiamato. Desidero, perciò, anzitutto ringraziarLa e, in Lei, ringraziare il Popolo italiano per l’accoglienza calorosa che mi ha riservato fin dal primo giorno del mio servizio pastorale come Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. Da parte mia, assicuro anzitutto la cittadinanza romana, e poi anche l’intera Nazione italiana, del mio impegno a lavorare con tutte le forze per il bene religioso e civile di coloro che il Signore ha affidato alle mie cure pastorali. L’annuncio del Vangelo, che in comunione con i Vescovi italiani sono chia2 Cfr Rm 15, 27. —————— * Die 24 Iunii 2005. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 824 mato a portare a Roma e all’Italia, è a servizio non solo della crescita del Popolo italiano nella fede e nella vita cristiana, ma anche del suo progresso sulle vie della concordia e della pace. Cristo è il Salvatore di tutto l’uomo, del suo spirito e del suo corpo, del suo destino spirituale ed eterno e della sua vita temporale e terrestre. Cosı̀, quando il suo messaggio viene accolto, la comunità civile si fa anche più responsabile, più attenta alle esigenze del bene comune e più solidale con le persone povere, abbandonate ed emarginate. Scorrendo la storia italiana, si resta impressionati dalle innumerevoli opere di carità a cui la Chiesa, con grandi sacrifici, ha dato vita per il sollievo di ogni genere di sofferenza. Su questa stessa via la Chiesa intende oggi proseguire il suo cammino, senza mire di potere e senza chiedere privilegi o posizioni di vantaggio sociale o economico. L’esempio di Gesù Cristo, che « passò beneficando e risanando tutti »,1 resta per essa la norma suprema di condotta in mezzo ai popoli. Le relazioni tra la Chiesa e lo Stato italiano sono fondate sul principio enunciato dal Concilio Vaticano II, secondo cui « la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo. Tutte e due anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone umane ».2 È principio, questo, già presente nei Patti Lateranensi e poi confermato negli Accordi di modifica del Concordato. Legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione. L’autonomia della sfera temporale non esclude un’intima armonia con le esigenze superiori e complesse derivanti da una visione integrale dell’uomo e del suo eterno destino. Mi è caro assicurare a Lei, Signor Presidente, e a tutto il Popolo italiano che la Chiesa desidera mantenere e promuovere un cordiale spirito di collaborazione e di intesa a servizio della crescita spirituale e morale del Paese, a cui è legata da vincoli particolarissimi, che sarebbe gravemente dannoso, non solo per essa, ma anche per l’Italia, tentare di indebolire e spezzare. La cultura italiana è una cultura intimamente permeata di valori cristiani, come appare dagli splendidi capolavori che la Nazione ha prodotto in tutti i campi del pensiero e dell’arte. Il mio augurio è che il Popolo italiano, non solo non rinneghi l’eredità cristiana che fa parte della sua storia, ma la custodisca 1 2 At 10, 3. Gaudium et spes, 76. Acta Benedicti Pp. XVI 825 gelosamente e la porti a produrre ancora frutti degni del passato. Ho fiducia che l’Italia, sotto la guida saggia ed esemplare di coloro che sono chiamati a governarla continui a svolgere nel mondo la missione civilizzatrice nella quale si è tanto distinta nel corso dei secoli. In virtù della sua storia e della sua cultura, l’Italia può recare un contributo validissimo in particolare all’Europa, aiutandola a riscoprire quelle radici cristiane che le hanno permesso di essere grande nel passato e che possono ancora oggi favorire l’unità profonda del Continente. Come Ella, Signor Presidente, può ben comprendere, non poche preoccupazioni accompagnano questo inizio del mio servizio pastorale sulla Cattedra di Pietro. Tra di esse vorrei segnalarne alcune che, per il loro carattere universalmente umano, non possono non interessare anche chi ha la responsabilità della cosa pubblica. Intendo alludere al problema della tutela della famiglia fondata sul matrimonio, quale è riconosciuta anche nella Costituzione italiana,3 al problema della difesa della vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale e infine al problema dell’educazione e conseguentemente della scuola, palestra indispensabile per la formazione delle nuove generazioni. La Chiesa, abituata com’è a scrutare la volontà di Dio iscritta nella natura stessa della creatura umana, vede nella famiglia un valore importantissimo che deve essere difeso da ogni attacco mirante a minarne la solidità e a metterne in questione la stessa esistenza. Nella vita umana, poi, la Chiesa riconosce un bene primario, presupposto di tutti gli altri beni, e chiede perciò che sia rispettata tanto nel suo inizio quanto nel suo termine, pur sottolineando la doverosità di adeguate cure palliative che rendano la morte più umana. Quanto alla scuola, poi, la sua funzione si connette alla famiglia come naturale espansione del compito formativo di quest’ultima. A questo proposito, ferma restando la competenza dello Stato a dettare le norme generali dell’istruzione, non posso non esprimere l’auspicio che venga rispettato concretamente il diritto dei genitori ad una libera scelta educativa, senza dover sopportare per questo l’onere aggiuntivo di ulteriori gravami. Confido che i legislatori italiani, nella loro saggezza, sappiano dare ai problemi ora ricordati soluzioni « umane », rispettose cioè dei valori inviolabili che sono in essi implicati. Esprimendo, da ultimo, l’augurio di un continuo progresso della Nazione sulla via del benessere spirituale e materiale, mi associo a Lei, Signor Presi3 Art. 29. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 826 dente, nell’esortare tutti i cittadini e tutte le componenti della società a vivere ed operare sempre in spirito di autentica concordia, in un contesto di dialogo aperto e di mutua fiducia, nell’impegno di servire e promuovere il bene comune e la dignità di ogni persona. Mi è caro concludere, Signor Presidente, ricordando la stima e l’affetto che il Popolo italiano nutre per la Sua persona, come pure la piena fiducia che esso ha nell’assolvimento dei doveri che la Sua altissima carica Le impone. A questa stima affettuosa e a questa fiducia ho la gioia di associarmi, mentre affido Lei e la Consorte Signora Franca, come anche i Responsabili della vita della Nazione e l’intero Popolo italiano, alla protezione della Vergine Maria, cosı̀ intensamente venerata negli innumerevoli santuari a Lei dedicati. Con questi sentimenti, su tutti invoco la benedizione di Dio, apportatrice di ogni desiderato bene. VII Occasione publicae exhibitionis Compendii Catechismi Catholicae Ecclesiae.* Carissimi Fratelli e amici, 1. « Possa Egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi ».1 È questo l’auspicio che san Paolo innalza al Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, nel brano della lettera agli Efesini appena proclamata. Non ringrazieremo mai abbastanza Dio, nostro Padre, per questo immenso tesoro di speranza e di gloria, che Egli nel Suo Figlio Gesù ci ha regalato. Nostro impegno costante è di lasciarci continuamente illuminare da Lui per conoscere sempre più profondamente questo Suo misterioso dono. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che oggi ho la grande gioia di presentare alla Chiesa e al mondo, in questa Celebrazione orante, può e deve costituire uno strumento privilegiato per farci crescere nella conoscenza e nell’accoglienza gioiosa di tale dono divino. * Die 28 Iunii 2005. 1 Ef 1, 18. Acta Benedicti Pp. XVI 827 2. Esso vede la luce dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, avvenuta nel 1992. Da allora era divenuta sempre più diffusa e insistente l’esigenza di un catechismo in sintesi, breve, che contenesse tutti e soli gli elementi essenziali e fondamentali della fede e della morale cattolica, formulati in una maniera semplice, accessibile a tutti, chiara e sintetica. Ed è proprio venendo incontro a tale esigenza, che in questo ultimo ventennio sono stati effettuati, in diverse lingue e paesi, numerosi tentativi, più o meno riusciti, di sintesi del suddetto Catechismo, che hanno presentato vari problemi, riguardo non solo alla fedeltà e al rispetto della sua struttura e dei suoi contenuti, ma anche alla completezza e all’integrità della dottrina cattolica. Si avvertiva pertanto sempre più la necessità di un testo autorevole, sicuro, completo circa gli aspetti essenziali della fede della Chiesa, in piena armonia col citato Catechismo, approvato dal Papa e destinato a tutta la Chiesa. 3. Di tale diffusa esigenza si erano fatti interpreti in particolare, nell’ottobre 2002, i partecipanti al Congresso Catechistico internazionale, i quali avevano presentato un’esplicita richiesta in tal senso al servo di Dio Giovanni Paolo II. Sono trascorsi poco più di due anni da quando il mio Venerato Predecessore aveva deciso, nel febbraio 2003, la preparazione di tale Compendio, riconoscendolo corrispondente al bene non solo della Chiesa universale e delle Chiese particolari, ma anche del mondo d’oggi, assetato di verità. Sono stati due anni d’intenso e proficuo lavoro, che ha visto il coinvolgimento anche di tutti i Cardinali e i Presidenti delle Conferenze Episcopali, i quali, interpellati su uno degli ultimi progetti del Compendio, hanno espresso, a larghissima maggioranza, una valutazione molto positiva. 4. Oggi, in questa vigilia della Solennità dei SS. Pietro e Paolo, a quarant’anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II, provo grande gioia nel consegnare questo Compendio, da me approvato, non solo a tutti i membri della Chiesa, qui significativamente rappresentati, nelle varie componenti, da tutti Voi che partecipate a questo solenne incontro. Ma, attraverso di Voi — Venerati Fratelli Cardinali, Vescovi, sacerdoti, catechisti e fedeli laici — desidero consegnare idealmente questo Compendio anche ad ogni persona di buona volontà, che desideri conoscere le insondabili ricchezze del mistero salvifico di Gesù Cristo. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 828 Non si tratta certamente di un nuovo Catechismo, ma del Compendio che rispecchia fedelmente il Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale rimane pertanto sia la fonte, da cui attingere per comprendere meglio il Compendio stesso, sia il modello, a cui guardare incessantemente per ritrovare l’esposizione armoniosa e autentica della fede e della morale cattolica, e sia il punto di riferimento, che deve stimolare l’annuncio della fede e l’elaborazione dei catechismi locali. Il Catechismo della Chiesa Cattolica mantiene, pertanto, intatta tutta la sua autorevolezza e importanza, e potrà trovare, in tale sintesi, un prezioso incoraggiamento ad essere meglio conosciuto e utilizzato come fondamentale strumento di educazione alla fede. 5. Questo Compendio è un rinnovato annuncio del Vangelo oggi. Anche per mezzo di questo testo autorevole e sicuro, la « fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa — come anche afferma S. Ireneo, di cui oggi celebriamo la memoria liturgica — la conserviamo con cura, perché sotto l’azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che lo contiene ».2 È la fede della Chiesa in Cristo Gesù, che il Compendio presenta. Seguendo la struttura quadripartita del Catechismo della Chiesa Cattolica, esso presenta, infatti, Cristo professato quale Figlio Unigenito del Padre, come perfetto Rivelatore della verità di Dio e come definitivo Salvatore del mondo; Cristo celebrato nei sacramenti, come fonte e sostegno della vita della Chiesa; Cristo ascoltato e seguito nell’obbedienza ai suoi comandamenti, come sorgente di esistenza nuova nella carità e nella concordia; Cristo imitato nella preghiera, come modello e maestro del nostro atteggiamento orante nei confronti del Padre. 6. Tale fede viene esposta, nel Compendio, in forma dialogica. Si intende in tal modo « riproporre — come ho scritto nell’introduzione al Compendio — un dialogo ideale tra il maestro e il discepolo, mediante una sequenza incalzante di interrogativi, che coinvolgono il lettore invitandolo a proseguire nella scoperta dei sempre nuovi aspetti della verità della sua fede. Il genere dialogico, inoltre, concorre anche ad abbreviare notevolmente il testo, riducendolo all’essenziale. Ciò potrebbe favorire l’assimilazione e l’eventuale memorizzazione dei contenuti ». La brevità delle risposte favorisce la sintesi essenziale e la chiarezza della comunicazione. 2 Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 2: Sch 264,158-160. Acta Benedicti Pp. XVI 829 7. Nel testo sono anche inserite delle immagini all’inizio della rispettiva parte o sezione. Questa scelta è finalizzata a illustrare il contenuto dottrinale del Compendio: le immagini, infatti « proclamano lo stesso messaggio che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola, e aiutano a risvegliare e a nutrire la fede dei credenti ».3 Immagine e parola s’illuminano cosı̀ a vicenda. L’arte «parla» sempre, almeno implicitamente, del divino, della bellezza infinita di Dio, riflessa nell’Icona per eccellenza: Cristo Signore, Immagine del Dio invisibile. Le immagini sacre, con la loro bellezza, sono anch’esse annuncio evangelico ed esprimono lo splendore della verità cattolica, mostrando la suprema armonia tra il buono e il bello, tra la via veritatis e la via pulchritudinis. Mentre testimoniano la secolare e feconda tradizione dell’arte cristiana, sollecitano tutti, credenti e non, alla scoperta e alla contemplazione del fascino inesauribile del mistero della Redenzione, dando sempre nuovo impulso al vivace processo della sua inculturazione nel tempo. Le stesse immagini si ritrovano nelle varie traduzioni del Compendio. Sarà questo anche un modo per identificare facilmente e riconoscere tale testo nella varietà delle lingue: l’unica fede viene professata da ciascun fedele nella molteplicità dei contesti ecclesiali e culturali. 8. Il testo alla fine comprende anche un’Appendice, costituita da alcune preghiere comuni per la Chiesa universale e da alcune formule catechistiche della fede cattolica. La scelta opportuna di aggiungere alla fine del Compendio alcune preghiere invita a ritrovare nella Chiesa un comune modo di pregare, non solo a livello personale, ma anche a livello comunitario. In ognuna delle traduzioni, la maggior parte delle preghiere saranno presentate anche nella lingua latina. Il loro apprendimento, anche in questa lingua, faciliterà il pregare insieme da parte dei fedeli cristiani appartenenti a lingue diverse, specialmente quando si incontreranno insieme per particolari circostanze. Come già dissi, nel 1997, in occasione della presentazione al mio Venerato Predecessore dell’edizione tipica latina del Catechismo della Chiesa Cattolica, « proprio nella molteplicità delle lingue e delle culture, il latino, per tanti secoli veicolo e strumento della cultura cristiana, garantisce non solo la continuità con le nostre radici, ma rimane quanto mai rilevante per rinsaldare i legami dell’unità della fede nella comunione della Chiesa ». 3 Compendio, n. 240. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 830 9. Ringrazio di vero cuore tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di questa importante opera, in particolare i Cardinali membri della speciale Commissione, i redattori, gli esperti: tutti hanno collaborato con grande dedizione e competenza. Il Signore Dio, che vede ogni cosa, li ricompensi e li benedica nella Sua infinita benevolenza. Questo Compendio, frutto della loro fatica ma soprattutto dono che Dio fa alla Chiesa in questo terzo millennio, dia nuovo slancio all’evangelizzazione e alla catechesi, da cui dipendono « non solo l’estensione geografica e l’aumento numerico, ma anche, e più ancora, la crescita interiore della Chiesa, la sua corrispondenza al disegno divino ».4 Maria Ss.ma e i Santi Apostoli Pietro e Paolo sostengano con la loro intercessione questo auspicio per il bene della Chiesa e dell’umanità. E a tutti Voi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica. VIII Ad Delegationem Patriarchatus Oecumenici Constantinopolitani recurrente Sollemnitate Sanctorum Petri et Pauli.* Cari Fratelli! Nell’accogliervi oggi per la prima volta, dopo l’inizio del mio Pontificato, sono lieto di salutare in voi la Delegazione che ogni anno Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico, invia per la festa dei Santi Patroni della Chiesa di Roma. Mi rivolgo a voi con le parole di Paolo ai Filippesi: « Rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti... Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù ».1 L’Apostolo, consapevole di quanto sia facile soccombere alla minaccia sempre latente di conflitti e contese, esorta la giovane Comunità di Filippi alla concordia e all’unità. Ai Galati indicherà con forza che tutta la legge trova la sua pienezza nel solo precetto dell’amore; e li esorterà a camminare secondo lo Spirito per evitare le opere della carne — discordie, gelo4 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 7. —————— * Die 30 Iunii 2005. 1 Fil 2, 2-5. Acta Benedicti Pp. XVI 831 sie, dissensi, divisioni, fazioni, invidie — ed ottenere cosı̀ il frutto dello Spirito, che è invece l’amore.2 La felice tradizione di assicurare una reciproca presenza nella Basilica di San Pietro e nella Cattedrale di San Giorgio per le feste dei Santi Pietro e Paolo e di Sant’Andrea è, dunque, espressione di questa condivisa volontà di combattere le opere della carne, che tendono a disgregarci, e di vivere secondo lo Spirito, che promuove la crescita della carità fra noi. La vostra visita odierna e quella che la Chiesa di Roma ricambierà tra qualche mese, testimoniano che in Cristo Gesù la fede opera per mezzo della carità.3 È l’esperienza del « dialogo della carità », inaugurato sul Monte degli Ulivi da Papa Paolo VI e dal Patriarca Athenagoras, esperienza che si è dimostrata non vana. Numerosi e significativi sono, infatti, i gesti sinora compiuti: penso all’abrogazione delle reciproche condanne del 1054, ai discorsi, ai documenti e agli incontri promossi dalle Sedi di Roma e di Costantinopoli. Questi gesti hanno segnato il cammino degli ultimi decenni. E come non ricordare qui che il Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, pochi mesi prima della sua morte, nella Basilica di San Pietro, ha scambiato un fraterno abbraccio con il Patriarca ecumenico proprio per dare un segno spirituale forte della nostra comunione nei Santi, che entrambi invochiamo, e per ribadire il fermo impegno di operare senza sosta in vista della piena unità? Certamente è un cammino lungo, il nostro, e non facile, segnato, all’inizio, da timori ed esitazioni, ma fattosi poi sempre più spedito e consapevole. Un cammino che ha visto crescere la speranza di un solido « dialogo della verità » e di un processo di chiarificazione teologica e storica, che ha già dato apprezzabili frutti. Con le parole dell’apostolo Paolo dobbiamo chiederci: « Tante esperienze le avete fatte invano? ».4 Si avverte la necessità di unire le forze e non risparmiare le energie, affinché il dialogo teologico ufficiale, iniziato nel 1980, tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse nel loro insieme, riprenda con rinnovato vigore. A questo proposito, vorrei esprimere, cari Fratelli, i miei sentimenti di riconoscenza per Sua Santità Bartolomeo, che si sta prodigando per riattivare i lavori della Commissione mista internazionale cattolica-ortodossa. Desidero assicurarlo che è mia salda volontà appoggiare ed incoraggiare questa azione. La ricerca teologica, che deve affrontare questioni complesse ed individuare soluzioni non riduttive, è un impegno serio, al quale non possiamo sottrarci. 2 3 4 Cfr Gal 5, 14-23. Cfr ibid. 5, 6. Ibid. 3, 4. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 832 Se è vero che il Signore chiama con forza i suoi discepoli a costruire l’unità nella carità e nella verità; se è vero che l’appello ecumenico costituisce un pressante invito a riedificare, nella riconciliazione e nella pace, l’unità, gravemente danneggiata, tra tutti i cristiani; se non possiamo ignorare che la divisione rende meno efficace la santissima causa della predicazione del Vangelo ad ogni creatura,5 come possiamo sottrarci al compito di esaminare con chiarezza e buona volontà le nostre differenze, affrontandole con l’intima convinzione che esse vanno risolte? L’unità che noi cerchiamo non è né assorbimento né fusione, ma rispetto della multiforme pienezza della Chiesa, la quale, conformemente alla volontà del suo fondatore Gesù Cristo, deve essere sempre una, santa, cattolica ed apostolica. Questa consegna trovò piena risonanza nell’intangibile professione di fede di tutti i cristiani, il Simbolo elaborato dai Padri dei Concili ecumenici di Nicea e di Costantinopoli.6 Il Concilio Vaticano ha riconosciuto con lucidità il tesoro che l’Oriente possiede e dal quale l’Occidente « molte cose ha preso »; ha ricordato che i dogmi fondamentali della fede cristiana sono stati definiti dai Concili ecumenici celebrati in Oriente; ha esortato a non dimenticare quante sofferenze abbia patito l’Oriente per conservare la sua fede. L’insegnamento del Concilio ha ispirato l’amore e il rispetto per la Tradizione orientale, ha incoraggiato a considerare l’Oriente e l’Occidente come tessere che compongono insieme il volto splendente del Pantocrátor, la cui mano benedice tutta l’Oikoumene. Il Concilio si è spinto più oltre affermando: « Non fa meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro, cosicché si può dire allora che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi ».7 Cari Fratelli, vi chiedo di portare i miei saluti al Patriarca ecumenico, informandolo del mio proposito di proseguire con ferma determinazione nella ricerca della piena unità tra tutti i cristiani. Vogliamo insieme continuare sulla via della comunione, e compiere assieme nuovi passi e gesti, che conducano a superare le rimanenti incomprensioni e divisioni, tenendo a mente che « per ristabilire la comunione e l’unità bisogna “non imporre altro peso fuorché le cose necessarie” 8 ».9 Grazie di cuore a ciascuno di voi per essere venuti 5 6 7 8 9 Cfr Unitatis redintegratio, 1. Cfr Slavorum Apostoli, 15. Unitatis redintegratio, 17. At 15, 28. Unitatis redintegratio, 18. Acta Benedicti Pp. XVI 833 dall’Oriente a rendere omaggio ai Santi Pietro e Paolo, che insieme veneriamo. La loro costante protezione e soprattutto la materna intercessione della Theothocos guidino sempre i nostri passi. « La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli ».10 IX Ad Archiepiscopos Metropolitas qui Sacro Pallio sunt induti.* Cari e venerati Fratelli nell’Episcopato, dopo la celebrazione liturgica di ieri, solennità degli apostoli Pietro e Paolo, è per me una grande gioia incontrarvi nuovamente questa mattina, insieme ai vostri familiari e ai fedeli delle vostre diocesi, che vi hanno accompagnato nel pellegrinaggio alla Tomba del Principe degli Apostoli per ricevere il pallio. Quest’antica tradizione, che risale al secolo XI, costituisce un significativo attestato di comunione dei Vescovi Metropoliti con il Pastore della Chiesa di Roma. Voi provenite infatti da varie nazioni e continenti e siete chiamati a servire l’unica Chiesa di Cristo: a ciascuno di voi va il mio fraterno e cordiale saluto. Mi rivolgo in primo luogo al Signor Cardinale Angelo Sodano, insignito del pallio perché Decano del Collegio Cardinalizio, e, mentre lo ringrazio per la collaborazione che da molti anni offre al Successore di Pietro, estendo il mio pensiero a tutti i membri del Collegio dei Cardinali, grato per il sostegno e la preghiera con cui accompagnano il mio servizio di Pastore della Chiesa universale. Saluto, poi, Mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto; Mons. Salvatore Nunnari, Arcivescovo di Cosenza; Mons. Paolo Mario Atzei, Arcivescovo di Sassari. Saluto anche Mons. Rrok Mirdita, Arcivescovo di Tirana, in Albania e Mons. Ruggero Franceschini, Arcivescovo di Izmir, in Turchia. Cari Fratelli, siate sempre solleciti del gregge di Cristo a voi affidato. Con l’esempio e le parole siate per tutti guide salde e sicure. E voi, cari amici che li accompagnate, seguite docilmente i loro insegnamenti cooperando generosamente con loro alla realizzazione del Regno di Dio. 10 Gal 6, 18. —————— * Die 30 Iunii 2005. 834 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale Je suis heureux de saluer Mgr André Vingt-Trois, Archevêque de Paris, Mgr Bernard-Nicolas Aubertin, Archevêque de Tours; Mgr Joseph Ngo Quang Kiet, Archevêque de Hà Noi; Mgr Marcel Honorat Lèon Agboton, Archevêque de Cotonou, à qui j’ai remis le pallium hier en signe particulier de communion avec le Siège apostolique. Puisse l’exemple des Bienheureux Apôtres Pierre et Paul, serviteurs de la communion jusqu’au don d’eux-mêmes, guider votre action pastorale au service du Peuple de Dieu qui vous est confié! Je salue également les membres de vos familles et les délégations de diocésains qui vous ont accompagnés jusqu’à Rome. À tous, j’accorde de grand cœur une particulière Bénédiction apostolique. Dear Friends in Christ, I extend a cordial greeting to the English-speaking Metropolitan Archbishops upon whom I conferred the Pallium yesterday: Archbishop Bernard Blasius Moras of Bangalore, Archbishop Malayappan Chinnappa of Madras and Mylapore (India), Archbishop Ernesto Antolin Salgado of Nueva Segovia (Philippines), Archbishop Wilton Gregory of Atlanta, Archbishop José Horacio Gomez of San Antonio, Archbishop Joseph Fiorenza of Galveston-Houston, Archbishop Joseph Naumann of Kansas City in Kansas (USA), Archbishop Daniel Bohan of Regina (Canada), Archbishop Liborius Ndumbukuti Nashenda of Windhoek (Namibia), Archbishop Boniface Lele of Mombasa (Kenya), Archbishop Gabriel Charles PalmerBuckle of Accra (Ghana), and Archbishop John Atcherly Dew of Wellington (New Zealand). I also welcome their family members and friends, and the faithful from their Archdioceses who have accompanied them to Rome. Dear friends: may your pilgrimage to the tombs of Saints Peter and Paul confirm you in the Catholic faith which comes from the Apostles. To all of you I affectionately impart my Apostolic Blessing as a pledge of joy and peace in the Lord. Saludo con afecto a los Arzobispos de lengua española y a cuantos les han acompañado en la significativa ceremonia de la imposición del Palio. Me refiero a los Arzobispos Jaume Pujol Balcells, de Tarragona; Octavio Ruiz Arenas, de Villavicencio; Santiago Garcı́a Aracil, de Mérida-Badajoz; Pedro Ricardo Barreto Jimeno, de Huancayo; Pablo Lizama Riquelme, de Antofagasta; Leopoldo José Brenes Solórzano, de Managua y Manuel Ureña Pastor, de Zaragoza. Varios paı́ses de este amplio sector lingüı́stico cuentan con nuevos Pastores metropolitanos, con la misión especial de fomentar estrechos vı́nculos de comunión con el Sucesor de Pedro y entre sus diócesis sufragá- Acta Benedicti Pp. XVI 835 neas. A quienes los acompañáis, os ruego que sigáis cercanos a ellos con la oración y la colaboración generosa, para que acrecienten la esperanza en los jóvenes, el amor y fidelidad en las familias, fomentando un espı́ritu fraterno en la convivencia social. Pido a la Virgen Marı́a, tan venerada en vuestras tierras — Chile, Colombia, España, Nicaragua y Perú —, que aliente el ministerio de los Arzobispos y acompañe con ternura a los sacerdotes, comunidades religiosas y fieles de sus Arquidiócesis. Llevadles a todos mi afectuoso saludo y la Bendición Apostólica. A Igreja no Brasil alegra-se hoje, pois as sedes arquiepiscopais de Maringá, Belém do Pará e de Sorocaba estão em festa com a imposição do Pálio aos seus novos Arcebispos respectivamente Dom Anuar Battisti, Dom Orani João Tempesta e Dom Eduardo Benes de Sales Rodrigues, que hoje estão acompanhados pelos seus familiares, sacerdotes e fiéis das suas arquidioceses. Por isso, desejo saudar com afeto vossas Igrejas Particulares, fazendo votos por que esta significativa celebração ajude a reforçar a unidade e a comunhão com a Sé Apostólica, e estimule uma generosa dedicação pastoral dos seus bispos para o crescimento da Igreja e a salvação das almas. Pozdrawiam arcybiskupa Stanisława Dziwisza i jego gości. Dzie˛kuje˛ za wszystko, co robił dla Jana Pawła II i dla mnie osobiście. Życze˛ Bożego błogosławieństwa w nowej posłudze. Niech Bóg błogosławi wszystkim tu obecnym. Venerati e cari fratelli, vi ringrazio ancora una volta per questa gradita visita e per il lavoro apostolico che svolgete. Mentre vi apprestate a far ritorno nelle vostre rispettive diocesi, vorrei assicurarvi che resto unito a voi con l’affetto e la preghiera; al tempo stesso chiedo a voi di continuare a camminare insieme, uniti dagli stessi sentimenti di concordia e di amore a Cristo e alla sua Chiesa. Con tali sentimenti imparto volentieri a voi qui presenti e alle vostre Comunità diocesane la Benedizione Apostolica, invocando su ciascuno la protezione della celeste Madre del Signore e la costante assistenza degli apostoli Pietro e Paolo. 836 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale ACTA CONGREGATIONUM CONGREGATIO PRO EPISCOPIS PROVISIO ECCLESIARUM Latis decretis a Congregatione pro Episcopis, Sanctissimus Dominus Benedictus Pp. XVI, per Apostolicas sub plumbo Litteras, iis quae sequuntur Ecclesiis sacros praefecit praesules: die 3 Iunii 2005. — Metropolitanae Ecclesiae Cracoviensi Exc.mum P.D. Stanislaum Dziwisz, hactenus Archiepiscopum titularem Sancti Leonis et Pontificalis Domus Praefectum adiunctum. die 4 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Sancti Vincentii Exc.mum P.D. Iosephum Aloisium Escobar Alas, hactenus Episcopum titularem Thibicensem et Auxiliarem eiusdem dioecesis. die 6 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Mindoniensi-Ferrolensi R.D. Emmanuelem Sánchez Monge, hactenus Vicarium Generalem dioecesis Palentinae. die 8 Iunii. — Titulari Ecclesiae Aguntiensi R.D. Romualdum Kamiński, e clero dioecesis Varsaviensis-Pragensis ibique Cancellarium Curiae, quem deputavit Auxiliarem dioecesis Liccanensis. die 9 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Nitriensi R.D. Villelmum Judák, e clero eiusdem dioecesis et Professorem Historiae Ecclesiae apud Facultatem Theologiae Sancti Cirilli e Methodii Studiorum Universitatis « Comenio » Bratislaviensis. — Cathedrali Ecclesise Tapacolensi, Exc.mum P.D. Leopoldum González, hactenus Episcopum titularem Voncariensem et Auxiliarem archidioecesis Mechoacanae. — Cathedrali Ecclesiae Colimensi, Exc.mum P.D. Iosephum Aloisium Amezcua Melgoza, hactenus Episcopum Campecorensem. die 15 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Taxensi-Carabellensi R.D. Carolum Albertum dos Santos, e clero archidioecesis Aracaiuensis, hactenus paroeciae Sancti Iosephi in eadem sede parochum. Congregatio pro Episcopis 837 die 18 Iunii. — Praelaturae Territoriali Caraveliensi R.D. Ioannem Carolum Vera Plasencia, Missionariorum Sacratissimi Cordis Iesu sodalem, hactenus Superiorem Provincialem eiusdem Instituti in Republica Peruviana. die 21 Iunii. — Titulari Episcopali Ecclesiae Bonustensi, R.D. Ioannem Gerardum Noonan, e clero archidioecesis Miamiensis, ibique Praesidem-Rectorem Seminarii minoris Sancti Ioannis Mariae Vianney, quem deputavit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. — Cathedrali Ecclesiae Grandicataractensi, Exc.mum P.D. Valtherum Allison Hurley, hactenus Episcopum titularem Chunaviensem et Auxiliarem archidioecesis Detroitensis. die 23 Iunii. — Metropolitanae Ecclesiae Turonensi Exc.mum P.D. Bernardum Nicolaum Aubertin, O.Cist., hactenus Episcopum Carnutensem. die 24 Iunii. — Titulari Episcopali Ecclesiae Aquaeregiensi R.D. Alfonsum Cortés Contreras, e clero archidioecesis Monterreyensis atque Romae Pontificii Collegii Mexicani Rectorem, quem constituit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. die 28 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Venetensi R.D. Raimundum Centène, e clero dioecesis Elnensis, ibique hactenus Cancellarium et paroeciae vulgo dictae « Saint Joseph de-la-Gare » curionem. die 29 Iunii. — Cathedrali Ecclesiae Sancti Christophori de Laguna R.D. Bernardum Álvarez Afonso, hactenus Vicarium Generalem eiusdem dioecesis. die 30 Iunii. — Titulari Episcopali Ecclesiae Ammeniensi, R.D. Richardum Ernestum Centellas Guzmán, e clero archidioecesis Sucrensis, ibique Vicarium Generalem, quem constituit Auxiliarem dioecesis Potosiensis in Bolivia. — Cathedrali Ecclesiae Orurensi R.D. Christophorum Bialasik, S.V.D., hactenus Commissionis pro Actione Pastorali Conferentiae Episcoporum Boliviae a Secretis. 838 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale DIARIUM ROMANAE CURIAE Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza Ufficiale per la presentazione delle Lettere Credenziali: Giovedı̀ 16 giugno, S.E. il Signor Geoffrey Kenyon Ward Kajtazi, Ambasciatore di Nuova Zelanda; S.E. il Sig. Elchin Oktyabr oglu Amirbayov, Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian; S.E. il Sig. El Hadj Aboubacar Dione, Ambasciatore della Repubblica di Guinea; S.E. il Sig. David Douglas Hamadziripi, Ambasciatore dello Zimbabwe; S.E. il Sig. JeanFrançois Kammer, Ambasciatore di Svizzera; S.E. il Sig. Antonio Ganado, Ambasciatore di Malta; S.E. il Sig. Joseph Bonesha, Ambasciatore del Rwanda, tutti accreditati presso la Santa Sede. Ha, altresı̀ ricevuto in Udienza: Venerdı̀ 17 giugno, S.E. il Signor Ivan Gašparovič, Presidente della Repubblica Slovacca. Sabato 18 giugno, S.E. il Signor Elı́as Antonio Saca González, Presidente della Repubblica di El Salvador. Lunedı̀ 20 giugno, S.E. il Signor Levy Patrick Mwanawasa, Presidente della Repubblica di Zambia. Giovedı̀ 23 giugno, Sua Altezza Em.ma Frà Andrew Bertie, Principe e Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta. Giovedı̀ 30 giugno, S.E. la Signora Vaira Vike-Freiberga, Presidente della Repubblica di Lettonia. Venerdı̀ 1º luglio, S.E. il Signor Ferenc Mádl, Presidente della Repubblica di Ungheria. Diarium Romanae Curiae 839 SEGRETERIA DI STATO NOMINE Con Brevi Apostolici il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 15 giugno 2005 S.E.R. Mons. Joseph Chennoth, Arcivescovo tit. di Milevi, finora Nunzio Apostolico nella Repubblica Centroafricana e in Ciad, Nunzio Apostolico in Tanzania. Con Biglietti della Segreteria di Stato il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 6 giugno 2005 Mons. Giulio Viviani, Cerimoniere Pontificio, Cappellano del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano. 13 » » P. Federico Lombardi, S.I., Direttore Generale del Centro Televisivo Vaticano « in aliud triennium ». 15 » » L’Ill.mo Prof. Nicola Cabibbo, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze « in aliud quadriennium ». 23 » » Mons. Janusz Bogusław Stepnowski, finora Aiutante di Studio della Congregazione per i Vescovi, Capo Ufficio della stessa Congregazione. 26 » » S.E. Mons. Fernando Sáenz Lacalle, Arcivescovo di San Salvador, Membro della Pontificia Commissione per l’America Latina « in aliud quinquennium ». 27 » » L’Ill.mo Dott. Emilio Rossi, Presidente del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano « in aliud triennium ». » » » P. Federico Lombardi, S.I., Segretario del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano, « in aliud triennium ». » » » S.E. Mons. Renato Boccardo, i monsignori Pelar Rajic e Guido Todeschini, il Dott. Ettore Bernabei e la Dott.ssa Angela Buttiglione, Membri del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano « in aliud triennium ». » » » Mons. Vincenzo Di Mauro, Delegato della Sezione Ordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; Don Franco Lever, S.D.B., Prof. nella Facoltà di Comunicazioni Sociali della Pontificia Università Salesiana; i prof.ri Gianpiero Gamaleri, Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 840 Prof. invitato della Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, docente presso l’Università di Roma Tre e presso la LUISS; Dott. Angelo Scelzo, Sotto-Segretario del Pontifı̀cio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Membri del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano « ad triennium ». 1 luglio 2005 Il Prof. Giovanni Rocchi, Direttore di Sanità ed Igiene del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e il Dott. Franco Berti, Vice Direttore della medesima Direzione, « ad quinquennium ». » » » Il Dott. Stefano Loreti, finora Contabile nella Sezione Ordinaria dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, Capo Ufficio nella medesima Sezione Ordinaria. L’Em.mo Signor Card. Segretario di Stato il 1º luglio 2005 ha confermato « in aliud triennium » gli Ill.mi Dott. Flavio Pizzini e Prof. Paolo Resta, e nominato il Dott. Gianni Artegiani « ad triennium », Membri del Collegio dei Revisori del Consiglio di Amministrazione del Centro Televisivo Vaticano. NECROLOGIO 5 10 giugno » 2005 » 14 » » 15 » » 21 22 23 » » » » » » 24 » » 26 » » » » » Mons. Guglielmo Motolese, Arcivescovo em. di Taranto (Italia). Mons. Joseph Raya, Metropolita em. Greco Cattolico di Akko, Haifa, e tutta la Galilea (Canada). Mons. James J. Hogan, Vescovo em. di Altoona-Johnstown (Stati Uniti d’America). Mons. Paul Themba Mngoma, Vescovo em. di Mariannhill (Sud Africa). Card. Jaime L. Sin, del Titolo di S. Maria ai Monti. Mons. Joseph Perrot, Vescovo em. di San (Mali). Mons. Jean-Baptiste Gourion, O.S.B. Oliv., Ausiliare di Gerusalemme dei Latini (Palestina). Mons. John Mendes, Vescovo tit. di Elefantaria di Proconsolare (Trinidad e Tobago). Mons. Manuel Samaniego Barriga, Vescovo di Cuautitlán (Messico). Mons. Mansuet D. Biyase, Vescovo di Eshowe (Sud Africa).