An. et vol. XCIX 6 Aprilis 2007 N. 4 ACTA APOSTOLICAE SEDIS COMMENTARIUM OFFICIALE Directio: Palazzo Apostolico – Città del Vaticano – Administratio: Libreria Editrice Vaticana ACTA BENEDICTI PP. XVI HOMILIAE I In celebratione Feriae IV Cinerum.* Cari fratelli e sorelle! Con la processione penitenziale siamo entrati nell’austero clima della Quaresima ed introducendoci nella Celebrazione Eucaristica abbiamo poc’anzi pregato perché il Signore aiuti il popolo cristiano ad « iniziare un cammino di vera conversione per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male » (Orazione Colletta). Nel ricevere tra poco le ceneri sul capo, riascolteremo ancora un chiaro invito alla conversione che può esprimersi in una duplice formula: « Convertitevi e credete al Vangelo », oppure: « Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai ». Proprio per la ricchezza dei simboli e dei testi biblici e liturgici, il Mercoledı̀ delle Ceneri viene considerato la « porta » della Quaresima. In effetti, l’odierna liturgia ed i gesti che la contrassegnano formano un insieme che anticipa in modo sintetico la fisionomia stessa dell’intero periodo quaresimale. Nella sua tradizione, la Chiesa non si limita ad offrirci la tematica liturgica e spirituale * Die 21 Februarii 2007. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 210 dell’itinerario quaresimale, ma ci indica pure gli strumenti ascetici e pratici per percorrerlo fruttuosamente. « Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti ». Con queste parole inizia la Prima Lettura, tratta dal libro del profeta Gioele (2, 12). Le sofferenze, le calamità che affliggevano in quel periodo la terra di Giuda spingono l’autore sacro ad incoraggiare il popolo eletto alla conversione, a tornare cioè con fiducia filiale al Signore lacerandosi il cuore e non le vesti. Egli infatti, ricorda il profeta, « è misericordioso e benigno, tardo all’ira e ricco di benevolenza e si impietosisce riguardo alla sventura » (2, 13). L’invito che Gioele rivolge ai suoi ascoltatori vale anche per noi, cari fratelli e sorelle. Non esitiamo a ritrovare l’amicizia di Dio perduta con il peccato; incontrando il Signore sperimentiamo la gioia del suo perdono. E cosı̀, quasi rispondendo alle parole del profeta, abbiamo fatto nostra l’invocazione del ritornello del Salmo responsoriale: « Perdonaci, Signore, abbiamo peccato ». Proclamando il Salmo 50, il grande Salmo penitenziale, ci siamo appellati alla misericordia divina; abbiamo chiesto al Signore che la potenza del suo amore ci ridoni la gioia di essere salvati. Con questo spirito, iniziamo il tempo favorevole della Quaresima, come ci ha ricordato san Paolo nella Seconda Lettura, per lasciarci riconciliare con Dio in Cristo Gesù. L’Apostolo si presenta come ambasciatore di Cristo e mostra chiaramente come proprio in forza di Lui, venga offerta al peccatore, e cioè a ciascuno di noi, la possibilità di un’autentica riconciliazione. « Colui che non aveva conosciuto peccato, — egli dice — Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio ».1 Solo Cristo può trasformare ogni situazione di peccato in novità di grazia. Ecco perché assume un forte impatto spirituale l’esortazione che Paolo indirizza ai cristiani di Corinto: « Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio »; e ancora: « Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! ».2 Mentre Gioele parlava del futuro giorno del Signore come di un giorno di terribile giudizio, san Paolo, riferendosi alla parola del profeta Isaia, parla di « momento favorevole », di « giorno della salvezza ». Il futuro giorno del Signore è divenuto l’« oggi ». Il giorno terribile 1 2 2 Cor 5, 21. 5, 20; 6, 2. Acta Benedicti Pp. XVI 211 si è trasformato nella Croce e nella Risurrezione di Cristo, nel giorno della salvezza. E questo giorno è ora, come abbiamo ascoltato nel Canto al Vangelo: « Oggi non indurite il vostro cuore, ma ascoltate la voce del Signore ». L’appello alla conversione, alla penitenza risuona quest’oggi con tutta la sua forza, perché la sua eco ci accompagni in ogni momento della vita. La liturgia del Mercoledı̀ delle Ceneri indica cosı̀ nella conversione del cuore a Dio la dimensione fondamentale del tempo quaresimale. Questo è il richiamo assai suggestivo che ci viene dal tradizionale rito dell’imposizione delle ceneri, che tra poco rinnoveremo. Rito che riveste un duplice significato: il primo relativo al cambiamento interiore, alla conversione e alla penitenza, mentre il secondo richiama la precarietà dell’umana condizione, come è facile cogliere dalle due diverse formule che accompagnano il gesto. Qui a Roma, la processione penitenziale del mercoledı̀ delle Ceneri parte da Sant’Anselmo per concludersi in questa basilica di santa Sabina, dove ha luogo la prima stazione quaresimale. A questo proposito è interessante ricordare che l’antica liturgia romana, attraverso le stazioni quaresimali, aveva elaborato una singolare geografia della fede, partendo dall’idea che, con l’arrivo degli apostoli Pietro e Paolo e con la distruzione del Tempio, Gerusalemme si fosse trasferita a Roma. La Roma cristiana veniva intesa come una ricostruzione della Gerusalemme del tempo di Gesù dentro le mura dell’Urbe. Questa nuova geografia interiore e spirituale, insita nella tradizione delle chiese « stazionali » della Quaresima, non è un semplice ricordo del passato, né una vuota anticipazione del futuro; al contrario, intende aiutare i fedeli a percorrere un cammino interiore, il cammino della conversione e della riconciliazione, per giungere alla gloria della Gerusalemme celeste dove abita Dio. Cari fratelli e sorelle, abbiamo quaranta giorni per approfondire questa straordinaria esperienza ascetica e spirituale. Nel Vangelo che è stato proclamato, Gesù indica quali sono gli strumenti utili per compiere l’autentico rinnovamento interiore e comunitario: le opere di carità (l’elemosina), la preghiera e la penitenza (il digiuno). Sono le tre pratiche fondamentali care pure alla tradizione ebraica, perché contribuiscono a purificare l’uomo davanti a Dio.3 Tali gesti esteriori, che vanno compiuti per piacere a Dio e non 3 Cfr Mt 6, 1-6.16-18. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 212 per ottenere l’approvazione e il consenso degli uomini, sono a Lui accetti se esprimono la determinazione del cuore a servirlo, con semplicità e generosità. Ce lo ricorda anche uno dei Prefazi quaresimali dove, a proposito del digiuno, leggiamo questa singolare espressione: « ieiunio... mentem elevas: con il digiuno elevi lo spirito ».4 Il digiuno, al quale la Chiesa ci invita in questo tempo forte, non nasce certo da motivazioni di ordine fisico od estetico, ma scaturisce dall’esigenza che l’uomo ha di una purificazione interiore che lo disintossichi dall’inquinamento del peccato e del male; lo educhi a quelle salutari rinunce che affrancano il credente dalla schiavitù del proprio io; lo renda più attento e disponibile all’ascolto di Dio e al servizio dei fratelli. Per questa ragione il digiuno e le altre pratiche quaresimali sono considerate dalla tradizione cristiana « armi » spirituali per combattere il male, le passioni cattive e i vizi. Al riguardo, mi piace riascoltare insieme a voi un breve commento di san Giovanni Crisostomo. « Come al finir dell’inverno — egli scrive — torna la stagione estiva e il navigante trascina in mare la nave, il soldato ripulisce le armi e allena il cavallo per la lotta, l’agricoltore affila la falce, il viandante rinvigorito si accinge al lungo viaggio e l’atleta depone le vesti e si prepara alle gare; cosı̀ anche noi, all’inizio di questo digiuno, quasi al ritorno di una primavera spirituale forbiamo le armi come i soldati, affiliamo la falce come gli agricoltori, e come nocchieri riassettiamo la nave del nostro spirito per affrontare i flutti delle assurde passioni, come viandanti riprendiamo il viaggio verso il cielo e come atleti ci prepariamo alla lotta con lo spogliamento di tutto ».5 Nel messaggio per la Quaresima, ho invitato a vivere questi quaranta giorni di speciale grazia come un tempo « eucaristico ». Attingendo a quella fonte inesauribile di amore che è l’Eucaristia, nella quale Cristo rinnova il sacrificio redentore della Croce, ogni cristiano può perseverare nell’itinerario che oggi solennemente intraprendiamo. Le opere di carità (l’elemosina), la preghiera, il digiuno insieme ad ogni altro sincero sforzo di conversione trovano il loro più alto significato e valore nell’Eucaristia, centro e culmine della vita della Chiesa e della storia della salvezza. « Questo sacramento che abbiamo ricevuto, o Padre, — cosı̀ pregheremo al termine della Santa Messa — ci 4 5 Prefazio IV. Omelie al popolo antiocheno, 3. Acta Benedicti Pp. XVI 213 sostenga nel cammino quaresimale, santifichi il nostro digiuno e lo renda efficace per la guarigione del nostro spirito ». Chiediamo a Maria di accompagnarci perché, al termine della Quaresima, possiamo contemplare il Signore risorto, interiormente rinnovati e riconciliati con Dio e con i fratelli. Amen! II Ad Institutum Poenale pro Minoribus in Casal del Marmo.* Cari fratelli e sorelle, cari ragazzi e ragazze! Sono venuto volentieri a farvi visita, e il momento più importante del nostro incontro è la Santa Messa, nella quale si rinnova il dono dell’amore di Dio: amore che ci consola e dà pace, specialmente nei momenti difficili della vita. In questo clima di preghiera vorrei rivolgere il mio saluto a ciascuno di voi: al Ministro della Giustizia, Onorevole Clemente Mastella, al quale esprimo uno speciale riconoscimento, al Capo Dipartimento Giustizia Minorile, Signora Melı̀ta Cavallo, alle altre Autorità intervenute, ai responsabili, agli operatori, agli educatori e al personale di questa struttura penale minorile, ai volontari, ai familiari e a tutti i presenti. Saluto il Cardinale Vicario e il Vescovo Ausiliare, Mons. Benedetto Tùzia. Saluto in modo speciale Mons. Giorgio Caniato, Ispettore Generale dei Cappellani degli Istituti di Prevenzione e Pena, e il vostro Cappellano, che ringrazio per essersi fatti interpreti dei vostri sentimenti all’inizio della Santa Messa. Nella Celebrazione eucaristica è Cristo stesso che si fa presente in mezzo a noi; anzi di più: Egli viene ad illuminarci con il suo insegnamento — nella Liturgia della Parola — e a nutrirci con il suo Corpo ed il suo Sangue — nella Liturgia Eucaristica e nella Comunione. Egli viene cosı̀ ad insegnarci ad amare, viene a renderci capaci di amare e cosı̀ capaci di vivere. Ma, direte forse, quanto è difficile amare sul serio, vivere bene! Qual è il segreto dell’amore, il segreto della vita? Ritorniamo al Vangelo. In questo Vangelo appaiono tre persone: il padre e i due figli. Ma dietro alle persone appaiono due progetti di * Die 18 Martii 2007. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 214 vita abbastanza diversi. Ambedue i figli vivono in pace, sono agricoltori assai benestanti, hanno quindi di che vivere, vendono bene i loro prodotti, la vita sembra essere buona. E tuttavia il figlio più giovane trova man mano questa vita noiosa, insoddisfacente: non può essere questa — egli pensa — tutta la vita: ogni giorno alzarsi, che so io, forse alle 6, poi secondo le tradizioni di Israele una preghiera, una lettura della Sacra Bibbia, poi si va a lavorare e alla fine ancora una preghiera. Cosı̀, giorno dopo giorno, lui pensa: Ma no, la vita è di più, devo trovare un’altra vita in cui io sia realmente libero, possa fare quanto mi piace; una vita libera da questa disciplina e da queste norme dei comandamenti di Dio, degli ordini del padre; vorrei essere solo io e avere la vita tutta totalmente per me, con tutte le sue bellezze. Adesso, invece, è soltanto lavoro... E cosı̀ decide di prendere tutto il suo patrimonio e di andarsene. Il padre è molto rispettoso e generoso e rispetta la libertà del figlio: è lui che deve trovare il suo progetto di vita. E lui va, come dice il Vangelo, in un paese molto lontano. Lontano probabilmente geograficamente, perché vuole un cambiamento, ma anche interiormente perché vuole una vita totalmente diversa. Adesso la sua idea è: libertà, fare quanto voglio fare, non conoscere queste norme di un Dio che è lontano, non essere nel carcere di questa disciplina della casa, fare quanto è bello, quanto mi piace, avere la vita con tutta la sua bellezza e la sua pienezza. E in un primo momento — potremmo pensare forse per alcuni mesi — tutto va liscio: egli trova bello avere raggiunto finalmente la vita, si sente felice. Ma poi, man mano, sente anche qui la noia, anche qui è sempre lo stesso. E alla fine rimane un vuoto sempre più inquietante; sempre più vivo si fa il sentimento che questo non è ancora la vita, anzi, andando avanti con tutte queste cose, la vita si allontana sempre di più. Tutto diventa vuoto: anche ora si ripropone la schiavitù del fare le stesse cose. E alla fine anche i soldi si esauriscono e il giovane trova che il suo livello di vita è al di sotto di quello dei porci. Allora comincia a riflettere e si chiede se era quella realmente la strada della vita: una libertà interpretata come fare quanto voglio io, vivere, avere la vita solo per me o se invece non sarebbe forse più vita vivere per gli altri, contribuire alla costruzione del mondo, alla crescita della comunità umana... Acta Benedicti Pp. XVI 215 Comincia cosı̀ il nuovo cammino, un cammino interiore. Il ragazzo riflette e considera tutti questi nuovi aspetti del problema e comincia a vedere che era molto più libero a casa, essendo proprietario anche lui, contribuendo alla costruzione della casa e della società in comunione con il Creatore, conoscendo lo scopo della sua vita, indovinando il progetto che Dio aveva per lui. In questo cammino interiore, in questa maturazione di un nuovo progetto di vita, vivendo poi anche il cammino esteriore, il figlio più giovane si mette in moto per ritornare, per ricominciare con la sua vita, perché ha ormai capito che quello preso era il binario sbagliato. Devo ripartire con un altro concetto, egli si dice, devo ricominciare. E arriva alla casa del padre che gli ha lasciato la sua libertà per dargli la possibilità di capire interiormente che cosa è vivere, che cosa è non vivere. Il padre con tutto il suo amore lo abbraccia, gli offre una festa e la vita può cominciare di nuovo partendo da questa festa. Il figlio capisce che proprio il lavoro, l’umiltà, la disciplina di ogni giorno crea la vera festa e la vera libertà. Cosı̀ ritorna a casa interiormente maturato e purificato: Ha capito che cosa è vivere. Certamente anche in futuro la sua vita non sarà facile, le tentazioni ritorneranno, ma egli è ormai pienamente consapevole che una vita senza Dio non funziona: manca l’essenziale, manca la luce, manca il perché, manca il grande senso dell’essere uomo. Ha capito che Dio possiamo conoscerlo solo sulla base della sua Parola. (Noi cristiani possiamo aggiungere che sappiamo chi è Dio da Gesù, nel quale ci si è mostrato realmente il volto di Dio). Il giovane capisce che i Comandamenti di Dio non sono ostacoli per la libertà e per una vita bella, ma sono gli indicatori della strada su cui camminare per trovare la vita. Capisce che anche il lavoro, la disciplina, l’impegnarsi non per sé, ma per gli altri allarga la vita. E proprio questa fatica di impegnarsi nel lavoro dà profondità alla vita, perché si sperimenta la soddisfazione di aver alla fine contribuito a fare crescere questo mondo che diventa più libero e più bello. Non vorrei adesso parlare dell’altro figlio che è rimasto a casa, ma nella sua reazione di invidia vediamo che interiormente anche lui sognava che sarebbe forse molto meglio prendersi tutte le libertà. Anche lui nel suo intimo deve « ritornare a casa » e capire di nuovo che cosa è la vita, capire che si vive veramente solo con Dio, con la sua Parola, nella comunione della propria famiglia, del lavoro; nella comunione della grande Famiglia di Dio. Non Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 216 vorrei adesso entrare in questi dettagli: lasciamo che ognuno di noi abbia il suo modo di applicare questo Vangelo a sé. Le situazioni nostre sono diverse e ognuno ha il suo mondo. Questo non toglie che siamo tutti toccati e tutti possiamo entrare con il nostro cammino interiore nella profondità del Vangelo. Solo alcune piccole osservazioni, ancora. Il Vangelo ci aiuta a capire chi è veramente Dio: Egli è il Padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura. Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non intaccano la fedeltà del suo amore. Nel sacramento della confessione possiamo sempre di nuovo ripartire con la vita: Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi. Riscopriamo quindi questo sacramento del perdono che fa sgorgare la gioia in un cuore rinato alla vita vera. Inoltre questa parabola ci aiuta a capire chi è l’uomo: non è una « monade », un’entità isolata che vive solo per se stessa e deve avere la vita solo per se stessa. Al contrario, noi viviamo con gli altri, siamo creati insieme con gli altri e solo nello stare con gli altri, nel donarci agli altri troviamo la vita. L’uomo è una creatura in cui Dio ha impresso la sua immagine, una creatura che è attratta nell’orizzonte della sua Grazia, ma è anche una creatura fragile, esposta al male; capace però anche di bene. E finalmente l’uomo è una persona libera. Dobbiamo capire che cosa è la libertà e cosa è solo l’apparenza della libertà. La libertà, potremmo dire, è un trampolino di lancio per tuffarsi nel mare infinito della bontà divina, ma può diventare anche un piano inclinato sul quale scivolare verso l’abisso del peccato e del male e perdere cosı̀ anche la libertà e la nostra dignità. Cari amici, siamo nel tempo della Quaresima, dei quaranta giorni prima della Pasqua. In questo tempo di Quaresima la Chiesa ci aiuta a fare questo cammino interiore e ci invita alla conversione che, prima di essere uno sforzo sempre importante per cambiare i nostri comportamenti, è un’opportunità per decidere di alzarci e ripartire, abbandonare cioè il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo — questo è l’imperativo della Quaresima —, facciamo insieme questo cammino di liberazione interiore. Ogni volta che, come oggi, partecipiamo all’Eucaristia, fonte e scuola dell’amore, diventiamo capaci di vivere questo amore, di annunziarlo e di testimoniarlo con la nostra vita. Occorre però che decidiamo di andare verso Gesù, come ha fatto il figlio prodigo, ritornando interiormente ed esteriormente dal padre. Al tempo stes- Acta Benedicti Pp. XVI 217 so dobbiamo abbandonare l’atteggiamento egoista del figlio maggiore sicuro di sé, che condanna facilmente gli altri, chiude il cuore alla comprensione, all’accoglienza e al perdono dei fratelli e dimentica che anche lui ha bisogno del perdono. Ci ottengano questo dono Maria Vergine e san Giuseppe, il mio patrono, la cui festa sarà domani, e che ora invoco in modo particolare per ciascuno di voi e per le persone a voi care. III In celebratione paenitentiali intuitu XXII Diei Internationalis Iuventuti dicati.* Cari amici, ci incontriamo questa sera, in prossimità della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, che ha per tema, come sapete, il comandamento nuovo lasciatoci da Gesù nella notte in cui fu tradito: « Come io vi ho amato, cosı̀ amatevi anche voi gli uni gli altri ».1 Saluto cordialmente tutti voi che siete venuti dalle varie parrocchie di Roma. Saluto il Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, i sacerdoti presenti, con un pensiero speciale per i confessori che tra poco saranno a vostra disposizione. L’odierno appuntamento, come già ha anticipato la vostra Portavoce, che ringrazio per le parole rivoltemi a vostro nome all’inizio della celebrazione, assume un profondo ed alto significato. È, infatti, un incontro attorno alla Croce, una celebrazione della misericordia di Dio che nel Sacramento della confessione ognuno di voi potrà sperimentare personalmente. Nel cuore di ogni uomo, mendicante di amore, c’è sete di amore. Il mio amato Predecessore, il Servo di Dio Giovanni Paolo II, scriveva già nella sua prima Enciclica Redemptor hominis: « L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa pienamente ».2 Ancor più * Die 29 Martii 2007. 1 2 Gv 13, 34. N. 10. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 218 il cristiano non può vivere senza amore. Anzi, se non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente cristiano, perché, come ho rilevato nell’Enciclica Deus caritas est, « all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensı̀ l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva ».3 L’amore di Dio per noi, iniziato con la creazione, si è fatto visibile nel mistero della Croce, in quella kenosi di Dio, in quello svuotamento ed umiliante abbassamento del Figlio di Dio che abbiamo sentito proclamare dall’apostolo Paolo nella prima Lettura, nel magnifico inno a Cristo della Lettera ai Filippesi. Sı̀, la Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio per noi. Un amore crocifisso, che non si ferma allo scandalo del Venerdı̀ Santo, ma culmina nella gioia della Risurrezione e Ascensione al cielo e nel dono dello Spirito Santo, Spirito dell’amore per mezzo del quale, anche questa sera, saranno rimessi i peccati e concessi il perdono e la pace. L’amore di Dio per l’uomo, che si esprime in pienezza sulla Croce, è descrivibile con il termine agape, ossia « amore oblativo che cerca esclusivamente il bene dell’altro », ma pure con il termine eros. Infatti, mentre è amore che offre all’uomo tutto ciò che Dio è, come ho osservato nel Messaggio per questa Quaresima, è anche un amore dove il « cuore stesso di Dio, l’Onnipotente, attende il ‘‘sı̀’’ delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa ». Purtroppo « fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’amore di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza 4 ».5 Ma nel sacrificio della Croce Dio continua a riproporre il suo amore, la sua passione per l’uomo, quella forza che, come si esprime lo Pseudo Dionigi, « non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato »,6 venendo a « mendicare » l’amore della sua creatura. Questa sera, accostandovi al Sacramento della confessione, potrete fare l’esperienza del « dono gratuito che Dio ci fa della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla » 7 affinché, uniti a Cristo, diventiamo creature nuove.8 3 4 5 6 7 8 N. 1. Cfr Gn 3, 1-7. Ibid. De divinis nominibus, IV, 13; PG 3, 712. CCC, 1999. Cfr 2 Cor 5, 17-18. Acta Benedicti Pp. XVI 219 Cari giovani della Diocesi di Roma, con il Battesimo voi siete già nati a vita nuova in virtù della grazia di Dio. Poiché però questa vita nuova non ha soppresso la debolezza della natura umana, né l’inclinazione al peccato, ci è data l’opportunità di accostarci al Sacramento della confessione. Ogni volta che lo fate con fede e devozione, l’amore e la misericordia di Dio muovono il vostro cuore, dopo un attento esame di coscienza, verso il ministro di Cristo. A lui, e cosı̀ a Cristo stesso, esprimete il dolore per i peccati commessi, con il fermo proposito di non peccare più in avvenire e con la disponibilità ad accogliere con gioia gli atti di penitenza che egli vi indica per riparare il danno causato dal peccato. Sperimentate cosı̀ il « perdono dei peccati; la riconciliazione con la Chiesa; il ricupero, se perduto, dello stato di grazia; la remissione della pena eterna meritata a causa dei peccati mortali e, almeno in parte, delle pene temporali che sono conseguenza del peccato; la pace e la serenità della coscienza, e la consolazione dello spirito; l’accrescimento delle forze spirituali per il combattimento cristiano di ogni giorno ».9 Con il lavacro penitenziale di questo Sacramento, siamo riammessi nella piena comunione con Dio e con la Chiesa, compagnia affidabile perché « sacramento universale di salvezza ».10 Nella seconda parte del comandamento nuovo il Signore dice: « Amatevi anche voi gli uni gli altri ».11 Certamente Egli attende che ci lasciamo attrarre dal suo amore e ne sperimentiamo tutta la grandezza e bellezza, ma non basta! Cristo ci attira a sé per unirsi a ciascuno di noi, affinché, a nostra volta, impariamo ad amare i fratelli con lo stesso suo amore, come Lui ci ha amati. Oggi, come sempre, c’è tanto bisogno di una rinnovata capacità di amare i fratelli. Uscendo da questa celebrazione, con i cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad « osare » l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i vostri amici e anche con chi vi ha offeso. Siate preparati ad incidere con una testimonianza autenticamente cristiana negli ambienti di studio e di lavoro, ad impegnarvi nelle comunità parrocchiali, nei gruppi, nei movimenti, nelle associazioni e in ogni ambito della società. Voi, giovani fidanzati, vivete il fidanzamento nell’amore vero, che comporta sempre il reciproco rispetto, casto e responsabile. Se il Signore chiama 9 10 11 Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 310. Lumen gentium, 48. Gv 13, 34. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 220 alcuni di voi, cari giovani amici di Roma, ad una vita di particolare consacrazione siate pronti a rispondere con un « sı̀ » generoso e senza compromessi. Donandovi a Dio e ai fratelli, sperimenterete la gioia di chi non si ripiega su se stesso in un egoismo troppo spesso asfissiante. Ma tutto ciò, certamente, ha un prezzo, quel prezzo che Cristo per primo ha pagato e che ogni suo discepolo, anche se in modo ben inferiore rispetto al Maestro, deve anch’egli pagare: il prezzo del sacrificio e dell’abnegazione, della fedeltà e della perseveranza senza le quali non c’è e non ci può essere vero amore, pienamente libero e sorgente di gioia. Cari ragazzi e ragazze, il mondo aspetta questo vostro contributo per l’edificazione della « civiltà dell’amore ». « L’orizzonte dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero! ».12 I sacerdoti che vi seguono ed i vostri educatori sono certi che, con la grazia di Dio ed il costante soccorso della sua divina misericordia, riuscirete ad essere all’altezza dell’arduo compito al quale il Signore vi chiama. Non perdetevi d’animo ed abbiate sempre fiducia in Cristo e nella sua Chiesa! Il Papa vi è vicino e vi assicura un ricordo quotidiano nella preghiera, affidandovi particolarmente alla Vergine Maria, Madre di misericordia, perché vi accompagni e vi sostenga sempre. Amen! IV In Dominica Palmarum de Passione Domini.* Cari fratelli e sorelle, nella processione della Domenica delle Palme ci associamo alla folla dei discepoli che, in gioia festosa, accompagnano il Signore nel suo ingresso in Gerusalemme. Come loro lodiamo il Signore a gran voce per tutti i prodigi che abbiamo veduto. Sı̀, anche noi abbiamo visto e vediamo tuttora i prodigi di Cristo: come Egli porti uomini e donne a rinunciare alle comodità della propria vita e a mettersi totalmente a servizio dei sofferenti; come Egli dia il coraggio a uomini e donne di opporsi alla violenza e alla menzogna, per far 12 Messaggio per la XXII Giornata Mondiale della Gioventù. ———————— * Die 1 Aprilis 2007 Acta Benedicti Pp. XVI 221 posto nel mondo alla verità; come Egli, nel segreto, induca uomini e donne a far del bene agli altri, a suscitare la riconciliazione dove c’era l’odio, a creare la pace dove regnava l’inimicizia. La processione è anzitutto una gioiosa testimonianza che rendiamo a Gesù Cristo, nel quale è diventato visibile a noi il Volto di Dio e grazie al quale il cuore di Dio è aperto a tutti noi. Nel Vangelo di Luca il racconto dell’inizio del corteo nei pressi di Gerusalemme è composto in parte letteralmente sul modello del rito dell’incoronazione col quale, secondo il Primo Libro dei Re, Salomone fu rivestito come erede della regalità di Davide.1 Cosı̀ la processione delle Palme è anche una processione di Cristo Re: noi professiamo la regalità di Gesù Cristo, riconosciamo Gesù come il Figlio di Davide, il vero Salomone — il Re della pace e della giustizia. Riconoscerlo come Re significa: accettarlo come Colui che ci indica la via, del quale ci fidiamo e che seguiamo. Significa accettare giorno per giorno la sua parola come criterio valido per la nostra vita. Significa vedere in Lui l’autorità alla quale ci sottomettiamo. Ci sottomettiamo a Lui, perché la sua autorità è l’autorità della verità. La processione delle Palme è — come quella volta per i discepoli — anzitutto espressione di gioia, perché possiamo conoscere Gesù, perché Egli ci concede di essere suoi amici e perché ci ha donato la chiave della vita. Questa gioia, che sta all’inizio, è però anche espressione del nostro « sı̀ » a Gesù e della nostra disponibilità ad andare con Lui ovunque ci porti. L’esortazione che stava oggi all’inizio della nostra liturgia interpreta perciò giustamente la processione anche come rappresentazione simbolica di ciò che chiamiamo « sequela di Cristo »: « Chiediamo la grazia di seguirlo », abbiamo detto. L’espressione « sequela di Cristo » è una descrizione dell’intera esistenza cristiana in generale. In che cosa consiste? Che cosa vuol dire in concreto « seguire Cristo? ». All’inizio, con i primi discepoli, il senso era molto semplice ed immediato: significava che queste persone avevano deciso di lasciare la loro professione, i loro affari, tutta la loro vita per andare con Gesù. Significava intraprendere una nuova professione: quella di discepolo. Il contenuto fondamentale di questa professione era l’andare con il maestro, l’affidarsi totalmente alla sua guida. Cosı̀ la sequela era una cosa esteriore e, allo stesso tempo, molto 1 Cfr 1 Re 1, 33-35. 222 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale interiore. L’aspetto esteriore era il camminare dietro Gesù nelle sue peregrinazioni attraverso la Palestina; quello interiore era il nuovo orientamento dell’esistenza, che non aveva più i suoi punti di riferimento negli affari, nel mestiere che dava da vivere, nella volontà personale, ma che si abbandonava totalmente alla volontà di un Altro. L’essere a sua disposizione era ormai diventata la ragione di vita. Quale rinuncia questo comportasse a ciò che era proprio, quale distogliersi da se stessi, lo possiamo riconoscere in modo assai chiaro in alcune scene dei Vangeli. Ma con ciò si palesa anche che cosa significhi per noi la sequela e quale sia la sua vera essenza per noi: si tratta di un mutamento interiore dell’esistenza. Richiede che io non sia più chiuso nel mio io considerando la mia autorealizzazione la ragione principale della mia vita. Richiede che io mi doni liberamente a un Altro — per la verità, per l’amore, per Dio che, in Gesù Cristo, mi precede e mi indica la via. Si tratta della decisione fondamentale di non considerare più l’utilità e il guadagno, la carriera e il successo come scopo ultimo della mia vita, ma di riconoscere invece come criteri autentici la verità e l’amore. Si tratta della scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi — per la cosa più grande. E consideriamo bene che verità e amore non sono valori astratti; in Gesù Cristo essi sono divenuti persona. Seguendo Lui, entro nel servizio della verità e dell’amore. Perdendomi mi ritrovo. Ritorniamo alla liturgia e alla processione delle Palme. In essa la liturgia prevede come canto il Salmo 24 [23], che era anche in Israele un canto processionale usato nella salita al monte del tempio. Il Salmo interpreta la salita interiore di cui la salita esteriore è immagine e ci spiega cosı̀ ancora una volta che cosa significhi il salire con Cristo. « Chi salirà il monte del Signore? », chiede il Salmo, ed indica due condizioni essenziali. Coloro che salgono e vogliono giungere veramente in alto, arrivare fino all’altezza vera, devono essere persone che si interrogano su Dio. Persone che scrutano intorno a sé per cercare Dio, per cercare il suo Volto. Cari giovani amici — quanto è importante oggi proprio questo: non lasciarsi semplicemente portare qua e là nella vita; non accontentarsi di ciò che tutti pensano e dicono e fanno. Scrutare Dio e cercare Dio. Non lasciare che la domanda su Dio si dissolva nelle nostre anime. Il desiderio di ciò che è più grande. Il desiderio di conoscere Lui — il suo Volto... Acta Benedicti Pp. XVI 223 L’altra condizione molto concreta per la salita è questa: può stare nel luogo santo « chi ha mani innocenti e cuore puro ». Mani innocenti — sono mani che non vengono usate per atti di violenza. Sono mani che non sono sporcate con la corruzione, con tangenti. Cuore puro — quando il cuore è puro? È puro un cuore che non finge e non si macchia con menzogna e ipocrisia. Un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva, perché non conosce doppiezza. È puro un cuore che non si strania con l’ebbrezza del piacere; un cuore il cui amore è vero e non è soltanto passione di un momento. Mani innocenti e cuore puro: se noi camminiamo con Gesù, saliamo e troviamo le purificazioni che ci portano veramente a quell’altezza a cui l’uomo è destinato: l’amicizia con Dio stesso. Il salmo 24 [23] che parla della salita termina con una liturgia d’ingresso davanti al portale del tempio: « Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria ». Nella vecchia liturgia della Domenica delle Palme il sacerdote, giunto davanti alla chiesa, bussava fortemente con l’asta della croce della processione al portone ancora chiuso, che in seguito a questo bussare si apriva. Era una bella immagine per il mistero dello stesso Gesù Cristo che, con il legno della sua croce, con la forza del suo amore che si dona, ha bussato dal lato del mondo alla porta di Dio; dal lato di un mondo che non riusciva a trovare accesso presso Dio. Con la croce Gesù ha spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini. Ora essa è aperta. Ma anche dall’altro lato il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte del mondo, alle porte dei nostri cuori, che cosı̀ spesso e in cosı̀ gran numero sono chiuse per Dio. E ci parla più o meno cosı̀: se le prove che Dio nella creazione ti dà della sua esistenza non riescono ad aprirti per Lui; se la parola della Scrittura e il messaggio della Chiesa ti lasciano indifferente — allora guarda a me, al Dio che per te si è reso sofferente, che personalmente patisce con te — vedi che io soffro per amore tuo e apriti a me, tuo Signore e tuo Dio. È questo l’appello che in quest’ora lasciamo penetrare nel nostro cuore. Il Signore ci aiuti ad aprire la porta del cuore, la porta del mondo, affinché Egli, il Dio vivente, possa nel suo Figlio arrivare in questo nostro tempo, raggiungere la nostra vita. Amen. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 224 V In suffragio Servi Dei Ioannis Pauli II.* Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Due anni or sono, poco più tardi di quest’ora, partiva da questo mondo verso la casa del Padre l’amato Papa Giovanni Paolo II. Con la presente Celebrazione vogliamo anzitutto rinnovare a Dio il nostro rendimento di grazie per avercelo dato durante ben 27 anni quale padre e guida sicura nella fede, zelante pastore e coraggioso profeta di speranza, testimone infaticabile e appassionato servitore dell’amore di Dio. Al tempo stesso, offriamo il Sacrificio eucaristico in suffragio della sua anima eletta, nel ricordo indelebile della grande devozione con cui egli celebrava i Santi Misteri e adorava il Sacramento dell’altare, centro della sua vita e della sua infaticabile missione apostolica. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tutti voi, che avete voluto prendere parte a questa Santa Messa. Un saluto particolare rivolgo al Cardinale Stanisław Dziwisz, Arcivescovo di Cracovia, immaginando i sentimenti che si affollano in questo momento nel suo animo. Saluto gli altri Cardinali, i Vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose presenti; i pellegrini giunti appositamente dalla Polonia; i tanti giovani che Papa Giovanni Paolo II amava con singolare passione, e i numerosi fedeli che da ogni parte d’Italia e del mondo si sono dati appuntamento quest’oggi qui, in Piazza San Pietro. Il secondo anniversario della pia dipartita di questo amato Pontefice ricorre in un contesto quanto mai propizio al raccoglimento e alla preghiera: siamo infatti entrati ieri, con la Domenica delle Palme, nella Settimana Santa, e la Liturgia ci fa rivivere le ultime giornate della vita terrena del Signore Gesù. Oggi ci conduce a Betania, dove, proprio « sei giorni prima della Pasqua » — come annota l’evangelista Giovanni — Lazzaro, Marta e Maria offrirono una cena al Maestro. Il racconto evangelico conferisce un intenso clima pasquale alla nostra meditazione: la cena di Betania è preludio alla morte di Gesù, nel segno dell’unzione che Maria fece in omaggio al Maestro e * Die 2 Aprilis 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 225 che Egli accettò in previsione della sua sepoltura.1 Ma è anche annuncio della risurrezione, mediante la presenza stessa del redivivo Lazzaro, testimonianza eloquente del potere di Cristo sulla morte. Oltre alla pregnanza di significato pasquale, la narrazione della cena di Betania reca con sé una struggente risonanza, colma di affetto e di devozione; un misto di gioia e di dolore: gioia festosa per la visita di Gesù e dei suoi discepoli, per la risurrezione di Lazzaro, per la Pasqua ormai vicina; amarezza profonda perché quella Pasqua poteva essere l’ultima, come facevano temere le trame dei Giudei che volevano la morte di Gesù e le minacce contro lo stesso Lazzaro di cui si progettava l’eliminazione. C’è un gesto, in questa pericope evangelica, sul quale viene attirata la nostra attenzione, e che anche ora parla in modo singolare ai nostri cuori: Maria di Betania a un certo punto, « presa una libbra di olio profumato di vero nardo, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli ».2 È uno di quei dettagli della vita di Gesù che san Giovanni ha raccolto nella memoria del suo cuore e che contengono una inesauribile carica espressiva. Esso parla dell’amore per Cristo, un amore sovrabbondante, prodigo, come quell’unguento « assai prezioso » versato sui suoi piedi. Un fatto che sintomaticamente scandalizzò Giuda Iscariota: la logica dell’amore si scontra con quella del tornaconto. Per noi, riuniti in preghiera nel ricordo del mio venerato Predecessore, il gesto dell’unzione di Maria di Betania è ricco di echi e di suggestioni spirituali. Evoca la luminosa testimonianza che Giovanni Paolo II ha offerto di un amore per Cristo senza riserve e senza risparmio. Il « profumo » del suo amore « ha riempito tutta la casa »,3 cioè tutta la Chiesa. Certo, ne abbiamo approfittato noi che gli siamo stati vicini, e di questo ringraziamo Iddio, ma ne hanno potuto godere anche quanti l’hanno conosciuto da lontano, perché l’amore di Papa Wojtyła per Cristo è traboccato, potremmo dire, in ogni regione del mondo, tanto era forte ed intenso. La stima, il rispetto e l’affetto che credenti e non credenti gli hanno espresso alla sua morte non ne sono forse una eloquente testimonianza? Scrive sant’Agostino, commentando questo passo del Vangelo di Giovanni: « La casa si riempı̀ di profumo; cioè il 1 2 3 Cfr Gv 12, 7. Gv 12, 3. Gv 12, 3. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 226 mondo si è riempito della buona fama. Il buon odore è la buona fama... Per merito dei buoni cristiani il nome del Signore viene lodato ».4 È proprio vero: l’intenso e fruttuoso ministero pastorale, e ancor più il calvario dell’agonia e la serena morte dell’amato nostro Papa, hanno fatto conoscere agli uomini del nostro tempo che Gesù Cristo era veramente il suo « tutto ». La fecondità di questa testimonianza, noi lo sappiamo, dipende dalla Croce. Nella vita di Karol Wojtyła la parola « croce » non è stata solo una parola. Fin dall’infanzia e dalla giovinezza egli conobbe il dolore e la morte. Come sacerdote e come Vescovo, e soprattutto da Sommo Pontefice, prese molto sul serio quell’ultima chiamata di Cristo risorto a Simon Pietro, sulla riva del lago di Galilea: « Seguimi... Tu seguimi ».5 Specialmente con il lento, ma implacabile progredire della malattia, che a poco a poco lo ha spogliato di tutto, la sua esistenza si è fatta interamente un’offerta a Cristo, annuncio vivente della sua passione, nella speranza colma di fede della risurrezione. Il suo pontificato si è svolto nel segno della « prodigalità », dello spendersi generoso senza riserve. Che cosa lo muoveva se non l’amore mistico per Cristo, per Colui che, il 16 ottobre 1978, lo aveva fatto chiamare, con le parole del cerimoniale: « Magister adest et vocat te — Il Maestro è qui e ti chiama »? Il 2 aprile 2005, il Maestro tornò, questa volta senza intermediari, a chiamarlo per portarlo a casa, alla casa del Padre. Ed egli, ancora una volta, rispose prontamente col suo cuore intrepido, e sussurrò: « Lasciatemi andare dal Signore ».6 Da lungo tempo egli si preparava a quest’ultimo incontro con Gesù, come documentano le diverse stesure del suo Testamento. Durante le lunghe soste nella Cappella privata parlava con Lui, abbandonandosi totalmente alla sua volontà, e si affidava a Maria, ripetendo il Totus tuus. Come il suo divino Maestro, egli ha vissuto la sua agonia in preghiera. Durante l’ultimo giorno di vita, vigilia della Domenica della Divina Misericordia, chiese che gli fosse letto proprio il Vangelo di Giovanni. Con l’aiuto delle persone che lo assistevano, volle prender parte a tutte le preghiere quotidiane e alla Liturgia delle Ore, fare l’adorazione e la meditazione. È morto pregando. Davvero, si è addormentato nel Signore. 4 5 6 In Io. evang. tr. 50, 7. Gv 21, 19.22. Cfr S. Dziwisz, Una vita con Karol, p. 223. Acta Benedicti Pp. XVI 227 « ... E tutta la casa si riempı̀ del profumo dell’unguento ».7 Ritorniamo a questa annotazione, tanto suggestiva, dell’evangelista Giovanni. Il profumo della fede, della speranza e della carità del Papa riempı̀ la sua casa, riempı̀ Piazza San Pietro, riempı̀ la Chiesa e si propagò nel mondo intero. Quello che è accaduto dopo la sua morte è stato, per chi crede, effetto di quel « profumo » che ha raggiunto tutti, vicini e lontani, e li ha attratti verso un uomo che Dio aveva progressivamente conformato al suo Cristo. Per questo possiamo applicare a lui le parole del primo Carme del Servo del Signore, che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: « Ecco il mio servo che io sostengo, / il mio eletto in cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; / egli porterà il diritto alle nazioni... ».8 « Servo di Dio »: questo egli è stato e cosı̀ lo chiamiamo ora nella Chiesa, mentre speditamente progredisce il suo processo di beatificazione, di cui è stata chiusa proprio questa mattina l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità. « Servo di Dio »: un titolo particolarmente appropriato per lui. Il Signore lo ha chiamato al suo servizio nella strada del sacerdozio e gli ha aperto via via orizzonti sempre più ampi: dalla sua Diocesi fino alla Chiesa universale. Questa dimensione di universalità ha raggiunto la massima espansione nel momento della sua morte, avvenimento che il mondo intero ha vissuto con una partecipazione mai vista nella storia. Cari fratelli e sorelle, il Salmo responsoriale ci ha posto sulla bocca parole colme di fiducia. Nella comunione dei santi, ci sembra di ascoltarle dalla viva voce dell’amato Giovanni Paolo II, che dalla casa del Padre — ne siamo certi — non cessa di accompagnare il cammino della Chiesa: « Spera nel Signore, sii forte, / si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore ».9 Sı̀, si rinfranchi il nostro cuore, cari fratelli e sorelle, e arda di speranza! Con questo invito nel cuore proseguiamo la Celebrazione eucaristica, guardando già alla luce della risurrezione di Cristo, che rifulgerà nella Veglia pasquale dopo il drammatico buio del Venerdı̀ Santo. Il Totus tuus dell’amato Pontefice ci stimoli a seguirlo sulla strada del dono di noi stessi a Cristo per intercessione di Maria, e ce l’ottenga proprio Lei, la Vergine Santa, mentre alle sue mani materne affidiamo questo nostro padre, fratello ed amico perché in Dio riposi e gioisca nella pace. Amen. 7 8 9 Gv 12, 3. Is 42, 1. Sal 26, 13-14. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 228 VI In Celebratione Missae Chrismatis.* Cari fratelli e sorelle, lo scrittore russo Leone Tolstoi narra in un piccolo racconto di un sovrano severo che chiese ai suoi sacerdoti e sapienti di mostrargli Dio affinché egli potesse vederlo. I sapienti non furono in grado di appagare questo suo desiderio. Allora un pastore, che stava giusto tornando dai campi, si offrı̀ di assumere il compito dei sacerdoti e dei sapienti. Il re apprese da lui che i suoi occhi non erano sufficienti per vedere Dio. Allora, però, egli volle almeno sapere che cosa Dio faceva. « Per poter rispondere a questa tua domanda — disse il pastore al sovrano — dobbiamo scambiare i vestiti ». Con esitazione, spinto tuttavia dalla curiosità per l’informazione attesa, il sovrano acconsentı̀; consegnò i suoi vestiti regali al pastore e si fece rivestire del semplice abito dell’uomo povero. Ed ecco allora arrivare la risposta: « Questo è ciò che Dio fa ». Di fatto, il Figlio di Dio — Dio vero da Dio vero — ha lasciato il suo splendore divino: « ...spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso ... fino alla morte di croce ».1 Dio ha — come dicono i Padri — compiuto il sacrum commercium, il sacro scambio: ha assunto ciò che era nostro, affinché noi potessimo ricevere ciò che era suo, divenire simili a Dio. San Paolo, per quanto accade nel Battesimo, usa esplicitamente l’immagine del vestito: « Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo ».2 Ecco ciò che si compie nel Battesimo: noi ci rivestiamo di Cristo, Egli ci dona i suoi vestiti e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione esistenziale con Lui, che il suo e il nostro essere confluiscono, si compenetrano a vicenda. « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me » — cosı̀ Paolo stesso nella Lettera ai Galati 3 descrive l’avvenimento del suo Battesimo. Cristo ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’essere uomo, la fame, la sete, la stanchezza, le speranze e le delu* Die 5 Aprilis 2007. 1 2 3 Fil 2, 6ss. Gal 3, 27. Cfr 2, 2. Acta Benedicti Pp. XVI 229 sioni, la paura della morte, tutte le nostre angustie fino alla morte. E ha dato a noi i suoi « vestiti ». Ciò che nella Lettera ai Galati espone come semplice « fatto » del battesimo — il dono del nuovo essere — Paolo ce lo presenta nella Lettera agli Efesini come un compito permanente: « Dovete deporre l’uomo vecchio con la condotta di prima! ... [Dovete] rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna: dite ciascuno la verità al proprio prossimo; perché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira, non peccate... ».4 Questa teologia del Battesimo ritorna in modo nuovo e con una nuova insistenza nell’Ordinazione sacerdotale. Come nel Battesimo viene donato uno « scambio dei vestiti », uno scambio del destino, una nuova comunione esistenziale con Cristo, cosı̀ anche nel sacerdozio si ha uno scambio: nell’amministrazione dei Sacramenti, il sacerdote agisce e parla ora « in persona Christi ». Nei sacri misteri egli non rappresenta se stesso e non parla esprimendo se stesso, ma parla per l’Altro — per Cristo. Cosı̀ nei Sacramenti si rende visibile in modo drammatico ciò che l’essere sacerdote significa in generale; ciò che abbiamo espresso con il nostro « Adsum — sono pronto » durante la consacrazione sacerdotale: io sono qui perché tu possa disporre di me. Ci mettiamo a disposizione di Colui « che è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi... ».5 Metterci a disposizione di Cristo significa che ci lasciamo attirare dentro il suo « per tutti »: essendo con Lui possiamo esserci davvero « per tutti ». In persona Christi — nel momento dell’Ordinazione sacerdotale, la Chiesa ci ha reso visibile ed afferrabile questa realtà dei « vestiti nuovi » anche esternamente mediante l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici. In questo gesto esterno essa vuole renderci evidente l’evento interiore e il compito che da esso ci viene: rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi. Questo evento, il « rivestirsi di Cristo », viene rappresentato sempre di nuovo in ogni Santa Messa mediante il rivestirci dei paramenti liturgici. Indossarli deve essere per noi più di un fatto esterno: è l’entrare sempre di nuovo nel « sı̀ » del nostro incarico — in quel « non più io » del Battesimo che l’Ordinazione sacerdotale ci dona in modo nuovo e al contempo ci chiede. Il fatto che 4 5 Ef 4, 22-26. 2 Cor 5, 15. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 230 stiamo all’altare, vestiti con i paramenti liturgici, deve rendere chiaramente visibile ai presenti e a noi stessi che stiamo lı̀ « in persona di un Altro ». Gli indumenti sacerdotali, cosı̀ come nel corso del tempo si sono sviluppati, sono una profonda espressione simbolica di ciò che il sacerdozio significa. Vorrei pertanto, cari confratelli, spiegare in questo Giovedı̀ Santo l’essenza del ministero sacerdotale interpretando i paramenti liturgici che, appunto, da parte loro vogliono illustrare che cosa significhi « rivestirsi di Cristo », parlare ed agire in persona Christi. L’indossare le vesti sacerdotali era una volta accompagnato da preghiere che ci aiutano a capire meglio i singoli elementi del ministero sacerdotale. Cominciamo con l’amitto. In passato — e negli ordini monastici ancora oggi — esso veniva posto prima sulla testa, come una specie di cappuccio, diventando cosı̀ un simbolo della disciplina dei sensi e del pensiero necessaria per una giusta celebrazione della Santa Messa. I pensieri non devono vagare qua e là dietro le preoccupazioni e le attese del mio quotidiano; i sensi non devono essere attirati da ciò che lı̀, all’interno della chiesa, casualmente vorrebbe sequestrare gli occhi e gli orecchi. Il mio cuore deve docilmente aprirsi alla parola di Dio ed essere raccolto nella preghiera della Chiesa, affinché il mio pensiero riceva il suo orientamento dalle parole dell’annuncio e della preghiera. E lo sguardo del mio cuore deve essere rivolto verso il Signore che è in mezzo a noi: ecco cosa significa ars celebrandi — il giusto modo del celebrare. Se io sono col Signore, allora con il mio ascoltare, parlare ed agire attiro anche la gente dentro la comunione con Lui. I testi della preghiera che interpretano il camice e la stola vanno ambedue nella stessa direzione. Evocano il vestito festivo che il padre donò al figlio prodigo tornato a casa cencioso e sporco. Quando ci accostiamo alla liturgia per agire nella persona di Cristo ci accorgiamo tutti quanto siamo lontani da Lui; quanta sporcizia esiste nella nostra vita. Egli solo può donarci il vestito festivo, renderci degni di presiedere alla sua mensa, di stare al suo servizio. Cosı̀ le preghiere ricordano anche la parola dell’Apocalisse secondo cui i vestiti dei 144.000 eletti non per merito loro erano degni di Dio. L’Apocalisse commenta che essi avevano lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e che in questo modo esse erano diventate candide come la luce.6 Già da piccolo mi 6 Cfr Ap 7, 14. Acta Benedicti Pp. XVI 231 sono chiesto: Ma quando si lava una cosa nel sangue, non diventa certo bianca! La risposta è: il « sangue dell’Agnello » è l’amore del Cristo crocifisso. È questo amore che rende candide le nostre vesti sporche; che rende verace ed illuminato il nostro spirito oscurato; che, nonostante tutte le nostre tenebre, trasforma noi stessi in « luce nel Signore ». Indossando il camice dovremmo ricordarci: Egli ha sofferto anche per me. E soltanto perché il suo amore è più grande di tutti i miei peccati, posso rappresentarlo ed essere testimone della sua luce. Ma con il vestito di luce che il Signore ci ha donato nel Battesimo e, in modo nuovo, nell’Ordinazione sacerdotale, possiamo pensare anche al vestito nuziale, di cui Egli ci parla nella parabola del banchetto di Dio. Nelle omelie di san Gregorio Magno ho trovato a questo riguardo una riflessione degna di nota. Gregorio distingue tra la versione di Luca della parabola e quella di Matteo. Egli è convinto che la parabola lucana parli del banchetto nuziale escatologico, mentre — secondo lui — la versione tramandata da Matteo tratterebbe dall’anticipazione di questo banchetto nuziale nella liturgia e nella vita della Chiesa. In Matteo — e solo in Matteo — infatti il re viene nella sala affollata per vedere i suoi ospiti. Ed ecco che in questa moltitudine trova anche un ospite senza abito nuziale, che viene poi buttato fuori nelle tenebre. Allora Gregorio si domanda: « Ma che specie di abito è quello che gli mancava? Tutti coloro che sono riuniti nella Chiesa hanno ricevuto l’abito nuovo del battesimo e della fede; altrimenti non sarebbero nella Chiesa. Che cosa, dunque, manca ancora? Quale abito nuziale deve ancora essere aggiunto? ». Il Papa risponde: « Il vestito dell’amore ». E purtroppo, tra i suoi ospiti ai quali aveva donato l’abito nuovo, la veste candida della rinascita, il re trova alcuni che non portano il vestito color porpora del duplice amore verso Dio e verso il prossimo. « In quale condizione vogliamo accostarci alla festa del cielo, se non indossiamo l’abito nuziale — cioè l’amore, che solo può renderci belli? », domanda il Papa. Una persona senza l’amore è buia dentro. Le tenebre esterne, di cui parla il Vangelo, sono solo il riflesso della cecità interna del cuore.7 Ora che ci apprestiamo alla celebrazione della Santa Messa, dovremmo domandarci se portiamo questo abito dell’amore. Chiediamo al Signore di 7 Cfr Hom. 38, 8-13. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 232 allontanare ogni ostilità dal nostro intimo, di toglierci ogni senso di autosufficienza e di rivestirci veramente con la veste dell’amore, affinché siamo persone luminose e non appartenenti alle tenebre. Infine ancora una breve parola riguardo alla casula. La preghiera tradizionale quando si riveste la casula vede rappresentato in essa il giogo del Signore che a noi come sacerdoti è stato imposto. E ricorda la parola di Gesù che ci invita a portare il suo giogo e a imparare da Lui, che è « mite e umile di cuore ».8 Portare il giogo del Signore significa innanzitutto: imparare da Lui. Essere sempre disposti ad andare a scuola da Lui. Da Lui dobbiamo imparare la mitezza e l’umiltà — l’umiltà di Dio che si mostra nel suo essere uomo. San Gregorio Nazianzeno una volta si è chiesto perché Dio abbia voluto farsi uomo. La parte più importante e per me più toccante della sua risposta è: « Dio voleva rendersi conto di che cosa significa per noi l’obbedienza e voleva misurare il tutto in base alla propria sofferenza, questa invenzione del suo amore per noi. In questo modo, Egli può conoscere direttamente su se stesso ciò che noi sperimentiamo — quanto è richiesto da noi, quanta indulgenza meritiamo — calcolando in base alla sua sofferenza la nostra debolezza ».9 A volte vorremmo dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero. È anzi tremendamente pesante in questo mondo. Ma guardando poi a Lui che ha portato tutto — che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il buio, allora questi nostri lamenti si spengono. Il suo giogo è quello di amare con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero diventa per noi il suo giogo apparentemente pesante. Preghiamolo di aiutarci a diventare insieme con Lui persone che amano, per sperimentare cosı̀ sempre di più quanto è bello portare il suo giogo. Amen. 8 9 Mt 11, 29. Discorso 30; Disc. teol. IV, 6. Acta Benedicti Pp. XVI 233 VII In Cena Domini.* Cari fratelli e sorelle, nella lettura dal Libro dell’Esodo, che abbiamo appena ascoltato, viene descritta la celebrazione della Pasqua di Israele cosı̀ come nella Legge mosaica aveva trovato la sua forma vincolante. All’origine può esserci stata una festa di primavera dei nomadi. Per Israele, tuttavia, ciò si era trasformato in una festa di commemorazione, di ringraziamento e, allo stesso tempo, di speranza. Al centro della cena pasquale, ordinata secondo determinate regole liturgiche, stava l’agnello come simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto. Per questo l’haggadah pasquale era parte integrante del pasto a base di agnello: il ricordo narrativo del fatto che era stato Dio stesso a liberare Israele « a mano alzata ». Egli, il Dio misterioso e nascosto, si era rivelato più forte del faraone con tutto il potere che aveva a sua disposizione. Israele non doveva dimenticare che Dio aveva personalmente preso in mano la storia del suo popolo e che questa storia era continuamente basata sulla comunione con Dio. Israele non doveva dimenticarsi di Dio. La parola della commemorazione era circondata da parole di lode e di ringraziamento tratte dai Salmi. Il ringraziare e benedire Dio raggiungeva il suo culmine nella berakha, che in greco è detta eulogia o eucaristia: il benedire Dio diventa benedizione per coloro che benedicono. L’offerta donata a Dio ritorna benedetta all’uomo. Tutto ciò ergeva un ponte dal passato al presente e verso il futuro: ancora non era compiuta la liberazione di Israele. Ancora la nazione soffriva come piccolo popolo nel campo delle tensioni tra le grandi potenze. Il ricordarsi con gratitudine dell’agire di Dio nel passato diventava cosı̀ al contempo supplica e speranza: Porta a compimento ciò che hai cominciato! Donaci la libertà definitiva! Questa cena dai molteplici significati Gesù celebrò con i suoi la sera prima della sua Passione. In base a questo contesto dobbiamo comprendere la nuova Pasqua, che Egli ci ha donato nella Santa Eucaristia. Nei racconti degli evangelisti esiste un’apparente contraddizione tra il Vangelo di Giovanni, da * Die 5 Aprilis 2007. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 234 una parte, e ciò che, dall’altra, ci comunicano Matteo, Marco e Luca. Secondo Giovanni, Gesù morı̀ sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali. La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa, però, che Egli morı̀ alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale — questo, almeno, è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserı̀ la novità del dono del suo corpo e del suo sangue. Questa contraddizione fino a qualche anno fa sembrava insolubile. La maggioranza degli esegeti era dell’avviso che Giovanni non aveva voluto comunicarci la vera data storica della morte di Gesù, ma aveva scelto una data simbolica per rendere cosı̀ evidente la verità più profonda: Gesù è il nuovo e vero agnello che ha sparso il suo sangue per tutti noi. La scoperta degli scritti di Qumran ci ha nel frattempo condotto ad una possibile soluzione convincente che, pur non essendo ancora accettata da tutti, possiede tuttavia un alto grado di probabilità. Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso. Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima — l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello — no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Cosı̀ ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: « Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso ».1 Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione. Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo cosı̀ l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso. San Giovanni Crisostomo, nelle sue catechesi eucaristiche ha scritto una volta: Che cosa stai dicendo, Mosè? Il sangue di un agnello purifica gli uomini? Li salva dalla morte? Come può il sangue di un animale purificare gli uomini, salvare gli uomini, avere potere contro la morte? Di fatto — continua il Crisostomo — l’agnello poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi 1 Gv 10, 18. Acta Benedicti Pp. XVI 235 l’espressione dell’attesa e della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il sacrificio di un animale non era capace. Gesù celebrò la Pasqua senza agnello e senza tempio e, tuttavia, non senza agnello e senza tempio. Egli stesso era l’Agnello atteso, quello vero, come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del ministero pubblico di Gesù: « Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! ».2 Ed è Egli stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva. Il gesto nostalgico, in qualche modo privo di efficacia, che era l’immolazione dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi è diventato insieme Agnello e Tempio. Cosı̀ al centro della Pasqua nuova di Gesù stava la Croce. Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E cosı̀ essa rimane sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono. « Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso ». Ora Egli la offre a noi. L’haggadah pasquale, la commemorazione dell’agire salvifico di Dio, è diventata memoria della croce e risurrezione di Cristo — una memoria che non ricorda semplicemente il passato, ma ci attira entro la presenza dell’amore di Cristo. E cosı̀ la berakha, la preghiera di benedizione e ringraziamento di Israele, è diventata la nostra Celebrazione Eucaristica, in cui il Signore benedice i nostri doni — pane e vino — per donare in essi se stesso. Preghiamo il Signore di aiutarci a comprendere sempre più profondamente questo mistero meraviglioso, ad amarlo sempre di più e in esso amare sempre di più Lui stesso. Preghiamolo di attirarci con la santa comunione sempre di più in se stesso. Preghiamolo di aiutarci a non trattenere la nostra vita per noi stessi, ma a donarla a Lui e cosı̀ ad operare insieme con Lui, affinché gli uomini trovino la vita — la vita vera che può venire solo da Colui che è Egli stesso la Via, la Verità e la Vita. Amen. 2 Gv 1, 29. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 236 ALLOCUTIONES I Ad Conferentiam Internationalem Institutorum Saecularium.* Cari fratelli e sorelle, sono felice di essere oggi tra voi, membri degli Istituti Secolari, che incontro per la prima volta dopo la mia elezione alla Cattedra dell’Apostolo Pietro. Vi saluto tutti con affetto. Saluto il Cardinale Franc Rodé, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e lo ringrazio per le espressioni di filiale devozione e spirituale vicinanza indirizzatemi anche a vostro nome. Saluto il Cardinale Cottier e il Segretario della vostra Congregazione. Saluto la Presidente della Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari, che si è fatta interprete dei sentimenti e delle attese di tutti voi che siete convenuti da diversi Paesi, da tutti i Continenti, per celebrare un Simposio internazionale sulla Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia. Sono trascorsi, come è già stato detto, 60 anni da quel 2 febbraio 1947, quando il mio Predecessore Pio XII promulgava tale Costituzione apostolica, dando cosı̀ una configurazione teologico-giuridica ad un’esperienza preparata nei decenni precedenti, e riconoscendo negli Istituti Secolari uno degli innumerevoli doni con cui lo Spirito Santo accompagna il cammino della Chiesa e la rinnova in tutti i secoli. Quell’atto giuridico non rappresentò il punto di arrivo, quanto piuttosto il punto di partenza di un cammino volto a delineare una nuova forma di consacrazione: quella di fedeli laici e presbiteri diocesani, chiamati a vivere con radicalità evangelica proprio quella secolarità in cui essi sono immersi in forza della condizione esistenziale o del ministero pastorale. Siete qui, oggi, per continuare a tracciare quel percorso iniziato sessant’anni fa, che vi vede sempre più appassionati portatori, in Cristo Gesù, del senso del mondo e della storia. La vostra passione nasce dall’aver scoperto la bellezza di Cristo, del suo modo unico di amare, incontrare, guarire la vita, allietarla, confortarla. Ed è questa bellezza che le vostre vite * Die 3 Februarii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 237 vogliono cantare, perché il vostro essere nel mondo sia segno del vostro essere in Cristo. A rendere il vostro inserimento nelle vicende umane luogo teologico è, infatti, il mistero dell’Incarnazione.1 L’opera della salvezza si è compiuta non in contrapposizione, ma dentro e attraverso la storia degli uomini. Osserva al riguardo la Lettera agli Ebrei: « Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio ».2 Lo stesso atto redentivo è avvenuto nel contesto del tempo e della storia, e si è connotato come obbedienza al disegno di Dio iscritto nell’opera uscita dalle sue mani. È ancora lo stesso testo della Lettera agli Ebrei, testo ispirato, a rilevare: « Dopo aver detto ‘‘Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato’’, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: ‘‘Ecco, io vengo a fare la tua volontà’’ ».3 Queste parole del Salmo che la Lettera agli Ebrei vede espresse nel dialogo intratrinitario, sono parole del Figlio che dice al Padre: « Ecco io vengo a fare la tua volontà ». E cosı̀ si realizza l’Incarnazione: « Ecco io vengo a fare la tua volontà ». Il Signore ci coinvolge nelle sue parole che diventano nostre: ecco io vengo con il Signore, con il Figlio, a fare la tua volontà. Viene cosı̀ delineato con chiarezza il cammino della vostra santificazione: l’adesione oblativa al disegno salvifico manifestato nella Parola rivelata, la solidarietà con la storia, la ricerca della volontà del Signore iscritta nelle vicende umane governate dalla sua provvidenza. E nello stesso tempo si individuano i caratteri della missione secolare: la testimonianza delle virtù umane, quali « la giustizia, la pace, la gioia »,4 la « bella condotta di vita », di cui parla Pietro nella sua Prima Lettera 5 echeggiando la parola del Maestro: « Cosı̀ risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli ».6 Fa inoltre parte della missione secolare l’impegno per la costruzione di una società che riconosca nei vari ambiti la dignità della persona e i valori irrinunciabili per la 1 2 3 4 5 6 « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito »: Gv 3, 16. 1, 1-2a. 10, 8-9a. Rm 14, 17. Cfr 2, 12. Mt 5, 16. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 238 sua piena realizzazione: dalla politica all’economia, dall’educazione all’impegno per la salute pubblica, dalla gestione dei servizi alla ricerca scientifica. Ogni realtà propria e specifica vissuta dal cristiano, il proprio lavoro e i propri concreti interessi, pur conservando la loro relativa consistenza, trovano il loro fine ultimo nell’essere abbracciati dallo stesso scopo per cui il Figlio di Dio è entrato nel mondo. Sentitevi, pertanto, chiamati in causa da ogni dolore, da ogni ingiustizia, cosı̀ come da ogni ricerca di verità, di bellezza e di bontà, non perché abbiate la soluzione di tutti i problemi, ma perché ogni circostanza in cui l’uomo vive e muore costituisce per voi l’occasione di testimoniare l’opera salvifica di Dio. È questa la vostra missione. La vostra consacrazione evidenzia, da un lato, la particolare grazia che vi viene dallo Spirito per la realizzazione della vocazione, dall’altro, vi impegna ad una totale docilità di mente, di cuore e di volontà al progetto di Dio Padre rivelato in Cristo Gesù, alla cui sequela radicale siete stati chiamati. Ogni incontro con Cristo chiede un cambiamento profondo di mentalità, ma per alcuni, com’è stato per voi, la richiesta del Signore è particolarmente esigente: lasciare tutto, perché Dio è tutto e sarà tutto nella vostra vita. Non si tratta semplicemente di un diverso modo di rapportarvi a Cristo e di esprimere la vostra adesione a Lui, ma di una scelta di Dio che, in modo stabile, richiede da voi una fiducia assolutamente totale in Lui. Conformare la propria vita a quella di Cristo entrando in queste parole, conformare la propria vita a quella di Cristo attraverso la pratica dei consigli evangelici, è una nota fondamentale e vincolante che, nella sua specificità, richiede impegni e gesti concreti, da « alpinisti dello spirito », come ebbe a chiamarvi il venerato Papa Paolo VI.7 Il carattere secolare della vostra consacrazione evidenzia da un lato i mezzi con cui vi adoperate per realizzarla, cioè quelli propri di ogni uomo e donna che vivono in condizioni ordinarie nel mondo, e dall’altro la forma del suo sviluppo, quella cioè di una relazione profonda con i segni del tempo che siete chiamati a discernere, personalmente e comunitariamente, alla luce del Vangelo. Più volte è stato autorevolmente individuato proprio in questo discernimento il vostro carisma, perché possiate essere laboratorio di dialogo 7 Discorso ai partecipanti al I Convegno Internazionale degli Istituti Secolari: Insegnamenti, VIII, 1970, p. 939. Acta Benedicti Pp. XVI 239 con il mondo, quel « laboratorio sperimentale nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo ».8 Proprio di qui deriva la persistente attualità del vostro carisma, perché questo discernimento deve avvenire non dal di fuori della realtà, ma dall’interno, attraverso un pieno coinvolgimento. Ciò avviene per mezzo delle relazioni feriali che potete tessere nei rapporti familiari e sociali, nell’attività professionale, nel tessuto delle comunità civile ed ecclesiale. L’incontro con Cristo, il porsi alla sua sequela spalanca e urge all’incontro con chiunque, perché se Dio si realizza solo nella comunione trinitaria, anche l’uomo solo nella comunione troverà la sua pienezza. A voi non è chiesto di istituire particolari forme di vita, di impegno apostolico, di interventi sociali, se non quelli che possono nascere nelle relazioni personali, fonti di ricchezza profetica. Come il lievito che fa fermentare tutta la farina,9 cosı̀ sia la vostra vita, a volte silenziosa e nascosta, ma sempre propositiva e incoraggiante, capace di generare speranza. Il luogo del vostro apostolato è perciò tutto l’umano, non solo dentro la comunità cristiana — dove la relazione si sostanzia di ascolto della Parola e di vita sacramentale, da cui attingete per sostenere l’identità battesimale — dico il luogo del vostro apostolato è tutto l’umano, sia dentro la comunità cristiana, sia nella comunità civile dove la relazione si attua nella ricerca del bene comune, nel dialogo con tutti, chiamati a testimoniare quell’antropologia cristiana che costituisce proposta di senso in una società disorientata e confusa dal clima multiculturale e multireligioso che la connota. Venite da diversi Paesi, diverse sono le situazioni culturali, politiche ed anche religiose in cui vivete, lavorate, invecchiate. In tutte siate cercatori della Verità, dell’umana rivelazione di Dio nella vita. È, lo sappiamo, una strada lunga, il cui presente è inquieto, ma il cui esito è sicuro. Annunciate la bellezza di Dio e della sua creazione. Sull’esempio di Cristo, siate obbedienti all’amore, uomini e donne di mitezza e misericordia, capaci di percorrere le strade del mondo facendo solo del bene. Le vostre siano vite che pongono al centro le Beatitudini, contraddicendo la logica umana, per esprimere un’incondizionata fiducia in Dio che vuole l’uomo felice. La Chiesa ha bisogno 8 Paolo VI, Discorso ai Responsabili generali degli Istituti Secolari: Insegnamenti, XIV, 1976, p. 676. 9 Cfr Mt 13, 33. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 240 anche di voi per dare completezza alla sua missione. Siate seme di santità gettato a piene mani nei solchi della storia. Radicati nell’azione gratuita ed efficace con cui lo Spirito del Signore sta guidando le vicende umane, possiate dare frutti di fede genuina, scrivendo con la vostra vita e con la vostra testimonianza parabole di speranza, scrivendole con le opere suggerite dalla « fantasia della carità ».10 Con questi auspici, assicurandovi la mia costante preghiera, vi imparto a sostegno delle vostre iniziative di apostolato e di carità una speciale Benedizione Apostolica. II Ad infirmos in Basilica Vaticana, die quo memoria recolitur beatae Mariae Virginis Lapurdensis.* Cari fratelli e sorelle, con grande gioia vi incontro qui, nella Basilica Vaticana, in occasione della festa della Madonna di Lourdes e dell’annuale Giornata Mondiale del Malato, al termine della Celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Camillo Ruini. A lui, in primo luogo, rivolgo il mio cordiale saluto, che estendo a tutti voi qui presenti: all’Arciprete della Basilica, Mons. Angelo Comastri, agli altri Vescovi, ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose. Saluto i responsabili e i membri dell’UNITALSI, che si occupano del trasporto e della cura degli ammalati nei pellegrinaggi e in altri momenti significativi. Saluto i responsabili e i pellegrini dell’Opera Romana Pellegrinaggi e quanti prenderanno parte al XV Convegno Nazionale Teologico-Pastorale, che vedrà l’adesione di molti dall’Italia e dall’estero. Saluto, inoltre, la delegazione dei rappresentanti dei « Cammini d’Europa ». Ma il saluto più cordiale vorrei indirizzarlo a voi, cari ammalati, ai vostri familiari e ai volontari che con amore vi seguono e vi accompagnano anche quest’oggi. Insieme a tutti voi desidero unirmi a coloro che in questo stesso giorno prendono parte ai vari momenti della Giornata Mondiale del Malato che si tiene nella città di Seul, in Corea. Là, 10 Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte, 50. ———————— * Die 11 Februarii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 241 a mio nome, presiede le celebrazioni il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari. Quest’oggi dunque è la festa della Beata Vergine Maria di Lourdes, che poco meno di centocinquanta anni or sono apparve a una semplice ragazza, s. Bernardetta Soubirous, manifestandosi come l’Immacolata Concezione. Anche in quella apparizione la Madonna si è mostrata tenera madre verso i suoi figli, ricordando che i piccoli, i poveri sono i prediletti di Dio ed a loro è rivelato il mistero del Regno dei cieli. Cari amici, Maria, che con la sua fede ha accompagnato il Figlio fin sotto la croce, Lei che fu associata per un disegno misterioso alle sofferenze di Cristo, suo Figlio, mai si stanca di esortarci a vivere e a condividere con serena fiducia l’esperienza del dolore e della malattia, offrendola con fede al Padre, completando cosı̀ ciò che manca nella nostra carne ai patimenti di Cristo.1 A questo riguardo, mi tornano in mente le parole con le quali il mio venerato predecessore Paolo VI concludeva l’Esortazione apostolica Marialis cultus: « All’uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra l’angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito da aspirazioni senza confini, la Beata Vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà che già possiede nella Città di Dio, offre una visione serena e una parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle temporali, della vita sulla morte ».2 Sono parole che illuminano il nostro cammino, anche quando sembra svanire il senso della speranza e la certezza della guarigione; sono parole che vorrei fossero di conforto specialmente per quanti sono colpiti da malattie gravi e dolorose. Ed è proprio a questi nostri fratelli particolarmente provati che l’odierna Giornata Mondiale del Malato dedica la sua attenzione. Ad essi vorremmo far sentire la vicinanza materiale e spirituale dell’intera comunità cristiana. È importante non lasciarli nell’abbandono e nella solitudine mentre si trovano ad affrontare un momento tanto delicato della loro vita. Meritevoli sono pertanto coloro che con pazienza ed amore mettono a loro servizio compe1 2 Cfr Col 1, 24. N. 57. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 242 tenze professionali e calore umano. Penso ai medici, agli infermieri, agli operatori sanitari, ai volontari, ai religiosi e alle religiose, ai sacerdoti che senza risparmiarsi si chinano su di essi, come il buon Samaritano, non guardando alla loro condizione sociale, al colore della pelle o all’appartenenza religiosa, ma solo a ciò di cui abbisognano. Nel volto di ogni essere umano, ancor più se provato e sfigurato dalla malattia, brilla il volto di Cristo, il quale ha detto: « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me ».3 Cari fratelli e sorelle, tra poco una suggestiva fiaccolata farà rivivere il clima che si crea tra i pellegrini e i devoti a Lourdes, al calare della sera. Il pensiero nostro va alla grotta di Massabielle, dove si incrociano il dolore umano e la speranza, la paura e la fiducia. Quanti pellegrini, confortati dallo sguardo della Madre, trovano a Lourdes la forza di compiere più facilmente la volontà di Dio anche quando costa rinuncia e dolore, consapevoli che, come afferma l’apostolo Paolo, tutto concorre al bene di coloro che amano il Signore.4 La candela, che tenete accesa tra le mani, sia anche per voi, cari fratelli e sorelle, il segno di un sincero desiderio di camminare con Gesù, fulgore di pace che rischiara le tenebre e ci spinge, a nostra volta, ad essere luce e sostegno per chi ci vive accanto. Nessuno, specialmente chi si trova in condizioni di dura sofferenza, si senta mai solo e abbandonato. Tutti vi affido questa sera alla Vergine Maria. Lei, dopo aver conosciuto indicibili sofferenze, è stata assunta in Cielo, dove ci attende e dove anche noi speriamo di poter condividere un giorno la gloria del suo divin Figlio, la gioia senza fine. Con questi sentimenti imparto la mia Benedizione a voi tutti qui presenti e a quanti vi sono cari. 3 4 Mt 25, 40. Cfr Rm 8, 28. Acta Benedicti Pp. XVI 243 III Ad Congressum Internationalem de « Lege morali naturali », quem promovit Pontificia Studiorum Universitas Lateranensis.* Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Stimati Professori, Gentili Signore e Signori! È con particolare piacere che vi accolgo all’inizio dei lavori congressuali, che vi vedranno impegnati nei prossimi giorni su un tema di rilevante importanza per l’attuale momento storico, quello della legge morale naturale. Ringrazio Mons. Rino Fisichella, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, per i sentimenti espressi nell’indirizzo con il quale ha voluto introdurre questo incontro. È fuori dubbio che viviamo un momento di straordinario sviluppo nella capacità umana di decifrare le regole e le strutture della materia e nel conseguente dominio dell’uomo sulla natura. Tutti vediamo i grandi vantaggi di questo progresso e vediamo sempre più anche le minacce di una distruzione della natura per la forza del nostro fare. C’è un altro pericolo meno visibile, ma non meno inquietante: il metodo che ci permette di conoscere sempre più a fondo le strutture razionali della materia ci rende sempre meno capaci di vedere la fonte di questa razionalità, la Ragione creatrice. La capacità di vedere le leggi dell’essere materiale ci rende incapaci di vedere il messaggio etico contenuto nell’essere, messaggio chiamato dalla tradizione lex naturalis, legge morale naturale. Una parola, questa, per molti oggi quasi incomprensibile a causa di un concetto di natura non più metafisico, ma solamente empirico. Il fatto che la natura, l’essere stesso non sia più trasparente per un messaggio morale, crea un senso di disorientamento che rende precarie ed incerte le scelte della vita di ogni giorno. Lo smarrimento, naturalmente, aggredisce in modo particolare le generazioni più giovani, che devono in questo contesto trovare le scelte fondamentali per la loro vita. È proprio alla luce di queste constatazioni che appare in tutta la sua urgenza la necessità di riflettere sul tema della legge naturale e di ritrovare * Die 12 Februarii 2007. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 244 la sua verità comune a tutti gli uomini. Tale legge, a cui accenna anche l’apostolo Paolo,1 è scritta nel cuore dell’uomo ed è, di conseguenza, anche oggi non semplicemente inaccessibile. Questa legge ha come suo primo e generalissimo principio quello di « fare il bene ed evitare il male ». È, questa, una verità la cui evidenza si impone immediatamente a ciascuno. Da essa scaturiscono gli altri principi più particolari, che regolano il giudizio etico sui diritti e sui doveri di ciascuno. Tale è il principio del rispetto per la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale, non essendo questo bene della vita proprietà dell’uomo ma dono gratuito di Dio. Tale è pure il dovere di cercare la verità, presupposto necessario di ogni autentica maturazione della persona. Altra fondamentale istanza del soggetto è la libertà. Tenendo conto, tuttavia, del fatto che la libertà umana è sempre una libertà condivisa con gli altri, è chiaro che l’armonia delle libertà può essere trovata solo in ciò che è comune a tutti: la verità dell’essere umano, il messaggio fondamentale dell’essere stesso, la lex naturalis appunto. E come non menzionare, da una parte, l’esigenza di giustizia che si manifesta nel dare unicuique suum e, dall’altra, l’attesa di solidarietà che alimenta in ciascuno, specialmente se disagiato, la speranza di un aiuto da parte di chi ha avuto una sorte migliore? Si esprimono, in questi valori, norme inderogabili e cogenti che non dipendono dalla volontà del legislatore e neppure dal consenso che gli Stati possono ad esse prestare. Sono infatti norme che precedono qualsiasi legge umana: come tali, non ammettono interventi in deroga da parte di nessuno. La legge naturale è la sorgente da cui scaturiscono, insieme a diritti fondamentali, anche imperativi etici che è doveroso onorare. Nell’attuale etica e filosofia del Diritto, sono largamente diffusi i postulati del positivismo giuridico. La conseguenza è che la legislazione diventa spesso solo un compromesso tra diversi interessi: si cerca di trasformare in diritti interessi privati o desideri che stridono con i doveri derivanti dalla responsabilità sociale. In questa situazione è opportuno ricordare che ogni ordinamento giuridico, a livello sia interno che internazionale, trae ultimamente la sua legittimità dal radicamento nella legge naturale, nel messaggio etico iscritto nello stesso essere umano. La legge naturale è, in definitiva, il solo valido baluardo contro l’arbitrio del potere o gli inganni della manipolazione ideologica. La cono1 Cfr Rm 2, 14-15. Acta Benedicti Pp. XVI 245 scenza di questa legge iscritta nel cuore dell’uomo aumenta con il progredire della coscienza morale. La prima preoccupazione per tutti, e particolarmente per chi ha responsabilità pubbliche, dovrebbe quindi essere quella di promuovere la maturazione della coscienza morale. È questo il progresso fondamentale senza il quale tutti gli altri progressi finiscono per risultare non autentici. La legge iscritta nella nostra natura è la vera garanzia offerta ad ognuno per poter vivere libero e rispettato nella propria dignità. Quanto fin qui detto ha applicazioni molto concrete se si fa riferimento alla famiglia, cioè a quell’« intima comunità di vita e d’amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie ».2 Il Concilio Vaticano II ha, al riguardo, opportunamente ribadito che l’istituto del matrimonio « ha stabilità per ordinamento divino », e perciò « questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo ».3 Nessuna legge fatta dagli uomini può perciò sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo stesso fondamento basilare. Dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e rendere precario il futuro della società. Sento infine il dovere di affermare ancora una volta che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito. La tecnica, quando riduce l’essere umano ad oggetto di sperimentazione, finisce per abbandonare il soggetto debole all’arbitrio del più forte. Affidarsi ciecamente alla tecnica come all’unica garante di progresso, senza offrire nello stesso tempo un codice etico che affondi le sue radici in quella stessa realtà che viene studiata e sviluppata, equivarrebbe a fare violenza alla natura umana con conseguenze devastanti per tutti. L’apporto degli uomini di scienza è d’importanza primaria. Insieme col progredire delle nostre capacità di dominio sulla natura, gli scienziati devono anche contribuire ad aiutarci a capire in profondità la nostra responsabilità per l’uomo e per la natura a lui affidata. Su questa base è possibile sviluppare un fecondo dialogo tra credenti e non credenti; tra teologi, filosofi, giuristi e uomini di scienza, che possono offrire anche al legislatore un materiale prezioso per il vivere personale e sociale. Auspico pertanto che queste giornate di studio possano portare non solo a una mag2 3 Cost. past. Gaudium et spes, 48. Ibid. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 246 gior sensibilità degli studiosi nei confronti della legge morale naturale, ma spingano anche a creare le condizioni perché su questa tematica si arrivi a una sempre più piena consapevolezza del valore inalienabile che la lex naturalis possiede per un reale e coerente progresso della vita personale e dell’ordine sociale. Con questo augurio, assicuro il mio ricordo nella preghiera per voi e per il vostro impegno accademico di ricerca e di riflessione, mentre a tutti imparto con affetto l’Apostolica Benedizione. IV Ad Legatos Pontificios in America Latina.* Venerati Fratelli, sono molto lieto di accogliervi, al termine della vostra riunione in preparazione alla V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano. Porgo a ciascuno il mio cordiale saluto, ad iniziare dal Signor Cardinale Tarcisio Bertone, mio Segretario di Stato, che ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei comuni sentimenti. Ringrazio i Signori Cardinali presidenti del CELAM e i responsabili dei Dicasteri della Curia Romana, che hanno offerto il loro contributo ai vostri lavori. Colgo soprattutto questa occasione per rinnovare a voi, Nunzi Apostolici presenti, e a tutti i Rappresentanti Pontifici l’espressione del mio apprezzamento per l’importante servizio ecclesiale che svolgete, spesso tra non poche difficoltà dovute alla lontananza dalla patria d’origine, ai frequenti spostamenti e, talora, anche alle tensioni socio-politiche presenti là dove operate. Nello svolgimento del vostro delicato ufficio, che certamente è sempre animato da profondo spirito di fede, ognuno di voi si senta accompagnato dalla stima, dall’affetto e dalla preghiera del Papa. Ogni Nunzio Apostolico è chiamato a consolidare i legami di comunione tra le Chiese particolari e il Successore di Pietro. A lui è affidata la responsabilità di promuovere, insieme con i Pastori e l’intero Popolo di Dio, il dialogo e la collaborazione con la società civile per realizzare il bene comune. I Rappresentanti Pontifici sono la presenza del Papa, che si fa vicino attraverso di * Die 17 Februarii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 247 loro a quanti Egli non può incontrare di persona e, in modo speciale, a chi vive in condizioni di difficoltà e di sofferenza. Il vostro, cari Fratelli, è un ministero di comunione ecclesiale e un servizio alla pace e alla concordia nella Chiesa e tra i popoli. Siate sempre consapevoli dell’importanza, della grandezza e della bellezza di questa vostra missione e tendete senza stancarvi a realizzarla con generosa dedizione. La Provvidenza divina ha chiamato voi, qui presenti, a svolgere il vostro servizio in America Latina, definita dall’amato Giovanni Paolo II — che più volte l’ha visitata — « Continente della speranza », come è già stato detto. Avrò la gioia di prendere, se Dio vuole, personalmente contatto con la realtà di quei Paesi intervenendo, a Dio piacendo, all’apertura della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, ad Aparecida, in Brasile, nel prossimo mese di maggio. In un certo senso, tale assemblea ricapitola e dà seguito alle Conferenze Generali precedenti, mentre si arricchisce dei numerosi doni « post-conciliari » del Magistero Pontificio — il pensiero va in particolare all’Esortazione apostolica postsinodale Ecclesia in America — come anche dei frutti del cammino sinodale della Chiesa Cattolica. Si propone di definire le grandi priorità e di suscitare un rinnovato slancio alla missione della Chiesa al servizio dei popoli latino-americani nelle circostanze concrete dell’inizio di questo secolo XXI. Tale ricapitolazione rinvia alla tradizione della cattolicità, la quale, grazie ad una straordinaria epopea missionaria, si è fatta presente ed ha segnato con la sua impronta la struttura culturale che caratterizza fino ad oggi l’identità latino-americana. Tale è la vocazione originale — come diceva il mio compianto predecessore Giovanni Paolo II a Santo Domingo — « di popoli che la stessa geografia, la fede cristiana, la lingua e la cultura hanno unito definitivamente nel cammino della Storia ».1 A partire proprio dal tema di tale importante riunione: « Discı́pulos y misioneros de Jesucristo para que nuestros pueblos en Él tengan vida », anche voi, in questi giorni, avete avuto modo di evidenziare alcune sfide che la Chiesa incontra nella vasta area latino-americana, inserita nelle dinamiche mondiali e condizionata sempre più dagli effetti della globalizzazione. Davanti a questa sfida le nazioni che la compongono cercano in diversi modi di 1 Discorso di apertura della IV Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano, 12.X.1992, n. 15: Insegnamenti, XV, 2 [1992], p. 326. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 248 affermare la propria identità ed il loro proprio peso nel cammino storico del mondo di oggi; cercano, non raramente tra tante difficoltà, di consolidare la pace interna della propria Nazione. Sentendosi come « sorelle », mirano a diventare anche una comunità, unita nella pace e nello sviluppo culturale ed economico. La Chiesa, segno e strumento di unità per l’intero genere umano,2 si trova naturalmente in sintonia con ogni legittima aspirazione dei popoli ad una maggiore armonia e cooperazione, e reca il contributo che le è proprio, cioè quello del Vangelo. Essa auspica che nei Paesi latinoamericani dove le Carte costituzionali si limitano a « concedere » libertà di credo e di culto, ma non « riconoscono » ancora la libertà religiosa, si possano quanto prima definire le reciproche relazioni fondate sui principi di autonomia e di sana e rispettosa collaborazione. Ciò permetterà alla Comunità ecclesiale di sviluppare tutte le sue potenzialità a vantaggio della società e di ogni singola persona umana, creata ad immagine di Dio. Una corretta formulazione giuridica di tali relazioni non potrà non tenere conto del ruolo storico, spirituale, culturale e sociale svolto dalla Chiesa Cattolica nell’America Latina. Questo ruolo continua ad essere primario, grazie pure alla felice fusione tra l’antica e ricca sensibilità dei popoli indigeni con il cristianesimo e con la cultura moderna. Alcuni ambienti, lo sappiamo, affermano un contrasto tra la ricchezza e profondità delle culture precolombiane e la fede cristiana presentata come un’imposizione esteriore o un’alienazione per i popoli dell’America Latina. In verità, l’incontro tra queste culture e la fede in Cristo fu una risposta interiormente aspettata da tali culture. Questo incontro quindi non è da rinnegare, ma da approfondire e ha creato la vera identità dei popoli dell’America Latina. Infatti, la Chiesa Cattolica è l’istituzione che gode del maggior credito da parte delle popolazioni latino-americane. È attiva nella vita della gente, stimata per il lavoro che compie negli ambiti dell’educazione, della salute e della solidarietà verso i bisognosi. L’aiuto per i poveri e la lotta contro la povertà sono e rimangono una fondamentale priorità nella vita delle Chiese in America Latina. La Chiesa è anche attiva per gli interventi di mediazione che non raramente le vengono richiesti in occasione di conflitti interni. Una cosı̀ consolidata presenza deve però oggi tener conto, tra l’altro, 2 Cfr Lumen gentium, 1. Acta Benedicti Pp. XVI 249 del proselitismo delle sette e dell’influenza crescente del secolarismo edonista postmoderno. Sulle cause dell’attrazione delle sette dobbiamo seriamente riflettere per trovare le risposte giuste. Dinanzi alle sfide dell’attuale momento storico le nostre comunità sono chiamate a rinsaldare la loro adesione a Cristo per testimoniare una fede matura e piena di gioia e veramente — nonostante tutti i problemi — enormi sono le potenzialità. E veramente enormi sono le potenzialità spirituali a cui può attingere l’America Latina, dove i misteri della fede sono celebrati con fervida devozione e la fiducia nel futuro è alimentata dall’aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose. È naturalmente necessario accompagnare con grande attenzione i giovani nel cammino della vocazione, ed aiutare i sacerdoti, i religiosi e le religiose a perseverare nella loro vocazione. Un immenso potenziale missionario ed evangelizzatore è poi offerto dai giovani, che costituiscono più dei due terzi della popolazione, mentre la famiglia resta « una caratteristica primordiale della cultura latinoamericana », come ebbe a dire il mio venerato predecessore, Giovanni Paolo II, nell’incontro di Puebla, in Messico, nel gennaio del 1979. Un’attenzione prioritaria merita proprio la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi. Divorzi e unioni libere sono in aumento, mentre l’adulterio è guardato con ingiustificabile tolleranza. Occorre ribadire che il matrimonio e la famiglia hanno il loro fondamento nel nucleo più intimo della verità sull’uomo e sul suo destino; solo sulla roccia dell’amore coniugale, fedele e stabile, tra un uomo e una donna si può edificare una comunità degna dell’essere umano. Mi piacerebbe evidenziare altre tematiche religiose e sociali sulle quali avete avuto modo di riflettere. Mi limito a citare il fenomeno della migrazione, strettamente collegato con la famiglia; l’importanza della scuola e l’attenzione ai valori e alla coscienza, per formare laici maturi che siano in grado di offrire un contributo qualificato nella vita sociale e civile; l’educazione dei giovani con piani vocazionali appropriati che accompagnino, in particolar modo, i seminaristi e gli aspiranti alla vita consacrata nel loro cammino formativo; l’impegno ad informare in modo adeguato l’opinione pubblica sulle grandi questioni etiche secondo i principi del Magistero della Chiesa e una presenza efficace nel campo degli strumenti di comunicazione anche per rispondere alle sfide delle sette. I movimenti ecclesiali costituiscono certo una valida risorsa per l’apostolato, ma vanno aiutati a mantenersi Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 250 sempre fedeli al Vangelo e all’insegnamento della Chiesa, anche quando operano nel campo sociale e politico. In particolare, sento il dovere di ribadire che non spetta agli ecclesiastici capeggiare aggregazioni sociali o politiche, ma ai laici maturi e professionalmente preparati. Cari Fratelli, in questi giorni avete pensato e dialogato insieme; insieme avete soprattutto pregato. Domandiamo al Signore, per intercessione di Maria, che i frutti di questa vostra riunione e della prossima Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano vadano a beneficio di tutta la Chiesa. A voi ancora grazie per il lavoro che avete compiuto. Tornando nei vostri Paesi fatevi interpreti dei miei cordiali sentimenti presso i Pastori e le Comunità cristiane, i Governi e le popolazioni. Assicurate la vicinanza spirituale del Papa in special modo ai vostri collaboratori, alle religiose e a quanti cooperano al buon andamento delle sedi delle vostre Nunziature. A tutti e ciascuno imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica. V Ad paenitentiarios, qui in quattuor Basilicis Pontificiis Romanis ministerium exsequuntur.* Cari Fratelli! Sono lieto di accogliervi e vi saluto tutti con affetto, ad iniziare dal Cardinale James Francis Stafford, Penitenziere Maggiore, che ringrazio per le cortesi parole poc’anzi rivoltemi. Con lui saluto il Reggente, Mons. Gianfranco Girotti, e i membri della Penitenzieria Apostolica. Questo incontro mi offre l’opportunità di esprimere vivo compiacimento soprattutto a voi, cari Padri Penitenzieri delle Basiliche Papali dell’Urbe, per il prezioso ministero pastorale, che con solerte dedizione svolgete. Al tempo stesso mi è caro estendere un cordiale pensiero a tutti i sacerdoti del mondo che si dedicano con impegno al ministero del confessionale. Il Sacramento della penitenza, che tanta importanza ha nella vita del cristiano, rende attuale l’efficacia redentrice del Mistero pasquale di Cristo. Nel gesto dell’assoluzione, pronunciata a nome e per conto della Chiesa, il confessore diventa il tramite consapevole di un meraviglioso evento di grazia. * Die 19 Februarii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 251 Ottemperando con docile adesione al Magistero della Chiesa, egli si fa ministro della consolante misericordia di Dio, evidenzia la realtà del peccato e manifesta al tempo stesso la smisurata potenza rinnovatrice dell’amore divino, amore che ridona la vita. La confessione diventa quindi una rinascita spirituale, che trasforma il penitente in una nuova creatura. Questo miracolo di grazia solo Dio può operarlo, e lo compie attraverso le parole e i gesti del sacerdote. Sperimentando la tenerezza e il perdono del Signore, il penitente è più facilmente spinto a riconoscere la gravità del peccato, più deciso nell’evitarlo per restare e crescere nella riannodata amicizia con Lui. In questo misterioso processo di rinnovamento interiore il confessore non è spettatore passivo, ma persona dramatis, cioè strumento attivo della misericordia divina. Pertanto, è necessario che egli unisca ad una buona sensibilità spirituale e pastorale una seria preparazione teologica, morale e pedagogica che lo renda capace di comprendere il vissuto della persona. Gli è poi assai utile conoscere gli ambiti sociali, culturali e professionali di quanti si accostano al confessionale, per poter offrire idonei consigli ed orientamenti spirituali e pratici. Non dimentichi, il sacerdote, che in questo Sacramento egli è chiamato a svolgere il compito di padre, di giudice spirituale, di maestro e di educatore. Ciò esige un costante aggiornamento: a questo vogliono provvedere anche i corsi del cosiddetto « foro interno » promossi dalla Penitenzieria Apostolica. Cari sacerdoti, questo vostro ministero riveste soprattutto un carattere spirituale. Alla saggezza umana, alla preparazione teologica occorre pertanto unire una profonda vena di spiritualità alimentata dal contatto orante con Cristo, Maestro e Redentore. In virtù dell’Ordinazione presbiterale, infatti, il confessore svolge un peculiare servizio « in persona Christi », con una pienezza di doti umane che vengono rafforzate dalla Grazia. Suo modello è Gesù, l’inviato del Padre; la sorgente a cui attinge abbondantemente è il soffio vivificante dello Spirito Santo. Dinanzi a cosı̀ alta responsabilità le forze umane sono sicuramente inadeguate, ma l’umile e fedele adesione ai disegni salvifici di Cristo ci rende, cari fratelli, testimoni della redenzione universale da Lui operata, attuando il monito di san Paolo che dice: « È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo... affidando a noi la parola della riconciliazione ».1 1 2 Cor 5, 19. 252 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Per adempiere tale compito dobbiamo anzitutto radicare in noi stessi questo messaggio di salvezza e lasciare che ci trasformi profondamente. Non possiamo predicare il perdono e la riconciliazione agli altri, se non ne siamo personalmente penetrati. Se è vero che nel nostro ministero ci sono vari modi e strumenti per comunicare ai fratelli l’amore misericordioso di Dio, è però nella celebrazione di questo Sacramento che possiamo farlo nella forma più completa ed eminente. Cristo ci ha scelti, cari sacerdoti, per essere i soli a poter perdonare i peccati in suo nome: si tratta allora di uno specifico servizio ecclesiale al quale dobbiamo dare la priorità. Quante persone in difficoltà cercano il conforto e la consolazione di Cristo! Quanti penitenti trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo! Come non riconoscere che anche in questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e sociali, vada riscoperto e riproposto questo Sacramento? Cari fratelli, seguiamo l’esempio dei santi, in particolare di coloro che, come voi, si dedicavano quasi esclusivamente al ministero del confessionale. Tra gli altri, san Giovanni Maria Vianney, san Leopoldo Mandić, e più vicino a noi, san Pio da Pietrelcina. Siano essi ad aiutarvi dal cielo perché sappiate dispensare abbondantemente la misericordia e il perdono di Cristo. Vi ottenga Maria, Rifugio dei peccatori, la forza, l’incoraggiamento e la speranza per continuare generosamente questa vostra indispensabile missione. Io vi assicuro di cuore la mia preghiera, mentre con affetto tutti vi benedico. VI Ad sacrorum alumnos Seminarii Romani Maioris.* Gregorpaolo Stano, Diocesi di Oria (1º Filosofia) 1. Santità, il nostro è il primo dei due anni dedicati al discernimento, durante il quale siamo impegnati a scrutare nel profondo la nostra persona. È un esercizio faticoso, per noi, perché il linguaggio di Dio è speciale e solo chi è attento può coglierlo tra le mille voci che risuonano dentro di noi. Le chiediamo dunque di * Die 19 Februarii 2007. Testus colloquii inter Benedictum XVI et sacrorum alumnos. Acta Benedicti Pp. XVI 253 aiutarci a capire come concretamente parla Dio e quali le tracce che lascia con il suo pronunciarsi in segreto. « Come prima parola, un grazie a Monsignor Rettore per il suo discorso. Sono già curioso di conoscere quel testo che scriverete e cosı̀ anche di imparare. Non sono sicuro di essere in grado di chiarire i punti essenziali della vita del seminario, ma dico quanto posso dire. Adesso questa prima questione: come possiamo discernere la voce di Dio tra le mille voci che sentiamo ogni giorno in questo nostro mondo. Direi: Dio parla in diversissimi modi con noi. Parla per mezzo di altre persone, attraverso amici, i genitori, il parroco, i sacerdoti. Qui, i sacerdoti ai quali siete affidati, che vi guidano. Parla per mezzo degli avvenimenti della nostra vita, nei quali possiamo discernere un gesto di Dio; parla anche attraverso la natura, la creazione, e parla, naturalmente e soprattutto, nella Sua Parola, nella Sacra Scrittura, letta nella comunione della Chiesa e letta personalmente in colloquio con Dio. È importante leggere la Sacra Scrittura, da una parte in un modo molto personale, e realmente, come dice San Paolo, non come parola di un uomo o come un documento del passato, come leggiamo Omero, Virgilio, ma come una Parola di Dio che è sempre attuale e parla con me. Imparare a sentire in un testo, storicamente del passato, la Parola vivente di Dio, cioè entrare in preghiera, e cosı̀ fare della lettura della Sacra Scrittura un colloquio con Dio. Sant’Agostino nelle sue omelie dice spesso: Ho bussato diverse volte alla porta di questa Parola, finché ho potuto percepire che cosa Dio stesso diceva a me. Da una parte, questa lettura molto personale, questo colloquio personale con Dio, in cui cerco che cosa il Signore dice a me, e insieme a questa lettura personale è molto importante la lettura comunitaria, perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è il Popolo di Dio, è la Chiesa. Questa Scrittura non era una cosa soltanto privata di grandi scrittori — anche se il Signore ha sempre bisogno della persona, della sua risposta personale — ma è cresciuta con persone che erano coinvolte nel cammino del Popolo di Dio e cosı̀ le loro parole sono espressione di questo cammino, di questa reciprocità della chiamata di Dio e della risposta umana. 254 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Quindi, il soggetto vive oggi come è vissuto in quel tempo, perciò la Scrittura non appartiene al passato, perché il suo soggetto, il Popolo di Dio ispirato da Dio stesso, è sempre lo stesso, e quindi la Parola è sempre viva nel soggetto vivente. Perciò è importante leggere la Sacra Scrittura e sentire la Sacra Scrittura nella comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi testimoni di questa Parola, cominciando dai primi Padri fino ai Santi di oggi, fino al Magistero di oggi. Soprattutto, è una Parola che diventa vitale e viva nella Liturgia, quindi la Liturgia direi che è il luogo privilegiato dove ciascuno di noi entra nel « noi » dei figli di Dio in colloquio con Dio. È importante: il Padre Nostro comincia con le parole « Padre Nostro »; solo se io sono inserito nel « noi » di questo « Nostro », posso trovare il Padre; solo all’interno di questo « noi », che è il soggetto della preghiera del Padre Nostro, sentiamo bene la Parola di Dio. Quindi, questo mi sembra molto importante: la Liturgia è il luogo privilegiato dove la Parola è viva, è presente, dove anzi la Parola, il Logos, il Signore, parla con noi e si dà nelle nostre mani; se ci poniamo in ascolto del Signore in questa grande comunione della Chiesa di tutti i tempi, lo troviamo. Egli ci apre la porta man mano. Direi quindi che questo è il punto in cui si concentrano tutti gli altri: siamo personalmente diretti dal Signore nel nostro cammino e, nello stesso tempo, viviamo nel grande « noi » della Chiesa, dove la Parola di Dio è viva. Poi, si associano gli altri punti, quelli del sentire gli amici, del sentire i sacerdoti che ci guidano, del sentire la viva voce della Chiesa di oggi, sentendo cosı̀ anche le voci degli avvenimenti di questo tempo e della creazione, che diventano decifrabili in questo contesto profondo. Per riassumere direi, quindi, che Dio parla in molti modi con noi. È importante, da una parte, stare nel « noi » della Chiesa, nel « noi » vissuto nella Liturgia. È importante personalizzare questo « noi » in me stesso, è importante essere attenti alle altre voci del Signore, lasciarci guidare anche da persone che hanno esperienza con Dio, per cosı̀ dire, e ci aiutano in questo cammino, affinché questo « noi » diventi il mio « noi », e io, uno che realmente appartiene a questo « noi ». Cosı̀ cresce il discernimento e cresce l’amicizia personale con Dio, la capacità di percepire, nelle mille voci di oggi, la voce di Dio, che è presente sempre e parla sempre con noi ». Acta Benedicti Pp. XVI 255 Claudio Fabbri, Diocesi di Roma (2º Filosofia) 2. Padre Santo, come era articolata la sua vita nel periodo della formazione al sacerdozio e quali interessi coltivava? Considerando l’esperienza fatta, quali sono i punti cardine della formazione al sacerdozio? In particolare, Maria, quale posto occupa in essa? « Io penso che la nostra vita, nel nostro seminario di Frisinga, era articolata in modo molto simile al vostro, anche se non conosco precisamente il vostro orario quotidiano. Si cominciava, mi sembra, alle 6.30, alle 7, con una meditazione di una mezz’ora, nella quale ognuno in silenzio parlava col Signore, cercava di predisporre l’animo alla Sacra Liturgia. Poi seguiva la Santa Messa, la colazione e poi, nella mattinata, le lezioni. Nel pomeriggio seminari, tempi di studio, e poi ancora la preghiera comune. La sera, i cosiddetti « puncta », cioè il direttore spirituale o il rettore del seminario, nelle diverse sere, ci parlavano per aiutarci a trovare il cammino della meditazione, non dandoci una meditazione già fatta, ma degli elementi che potevano aiutare ognuno a personalizzare le Parole del Signore che sarebbero state oggetto della nostra meditazione. Cosı̀ il percorso giorno per giorno; poi naturalmente c’erano le grandi feste con una bella liturgia, musica... Ma, mi sembra, e forse ritornerò su questo alla fine, che sia molto importante avere una disciplina che mi precede e non dovere ogni giorno, di nuovo, inventare cosa fare, come vivere; c’è una regola, una disciplina che già mi aspetta e mi aiuta a vivere ordinatamente questo giorno. Adesso, quanto alle mie preferenze, naturalmente seguivo con attenzione, in quanto potevo, le lezioni. Inizialmente, nei due primi anni la filosofia, mi ha affascinato, fin dall’inizio soprattutto la figura di Sant’Agostino e poi anche la corrente agostiniana nel Medioevo: San Bonaventura, i grandi francescani, la figura di San Francesco d’Assisi. Per me era affascinante soprattutto la grande umanità di Sant’Agostino, che non ebbe la possibilità semplicemente di identificarsi con la Chiesa perché catecumeno fin dall’inizio, ma che dovette invece lottare spiritualmente per trovare man mano l’accesso alla Parola di Dio, alla vita con Dio, fino al grande sı̀ detto alla sua Chiesa. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 256 Questo cammino cosı̀ umano, dove anche oggi possiamo vedere come si comincia ad entrare in contatto con Dio, come tutte le resistenze della nostra natura debbano essere prese sul serio e poi debbano anche essere canalizzate per arrivare al grande sı̀ al Signore. Cosı̀ mi ha conquistato la sua teologia molto personale, sviluppata soprattutto nella predicazione. Questo è importante, perché inizialmente Agostino voleva vivere una vita puramente contemplativa, scrivere altri libri di filosofia..., ma il Signore non l’ha voluto, l’ha fatto sacerdote e Vescovo e cosı̀ tutto il resto della sua vita, della sua opera, si è sviluppato sostanzialmente nel dialogo con un popolo molto semplice. Egli dovette sempre, da una parte, trovare personalmente il significato della Scrittura e, dall’altra, tenere conto della capacità di questa gente, del loro contesto vitale, e arrivare a un cristianesimo realistico e nello stesso tempo molto profondo. Poi, naturalmente per me era molto importante l’esegesi: abbiamo avuto due esegeti un po’ liberali, ma tuttavia grandi esegeti, anche realmente credenti, che ci hanno affascinati. Posso dire che, realmente, la Sacra Scrittura era l’anima del nostro studio teologico: abbiamo realmente vissuto con la Sacra Scrittura e imparato ad amarla, a parlare con essa. Poi ho già detto della Patrologia, dell’incontro con i Padri. Anche il nostro insegnante di dogmatica era persona allora molto famosa, aveva nutrito la sua dogmatica con i Padri e con la Liturgia. Un punto molto centrale era per noi la formazione liturgica: in quel tempo non c’erano ancora cattedre di Liturgia, ma il nostro professore di Pastorale ci ha donato grandi corsi di liturgia e lui, al momento, era anche Rettore del seminario e cosı̀, liturgia vissuta e celebrata e liturgia insegnata e pensata andavano insieme. Questi, insieme con la Sacra Scrittura, erano i punti scottanti della nostra formazione teologica. Di questo sono sempre grato al Signore, perché insieme sono realmente il centro di una vita sacerdotale. Altro interesse era la letteratura: era obbligatorio leggere Dostoevskij, era la moda del momento, poi c’erano i grandi francesi: Claudel, Mauriac, Bernanos, ma anche la letteratura tedesca; c’era anche una edizione tedesca del Manzoni: non parlavo in quel tempo italiano. Cosı̀ abbiamo un po’, in questo senso, anche formato il nostro orizzonte umano. Un grande amore era anche la musica, come pure la bellezza della natura della nostra terra. Con queste preferenze, queste realtà, in un cammino non sempre facile, sono andato Acta Benedicti Pp. XVI 257 avanti. Il Signore mi ha aiutato ad arrivare fino al sı̀ del sacerdozio, un sı̀ che mi ha accompagnato ogni giorno della mia vita ». Gianpiero Savino, Arcidiocesi di Taranto (1º Teologia) 3. Allo sguardo dei più, noi possiamo apparire come dei giovani che dicono con fermezza e coraggiosamente il loro sı̀ e lasciano tutto per seguire il Signore; ma noi sappiamo di essere ben lontani da una vera coerenza con quel sı̀. In confidenza di figli, le confessiamo la parzialità della nostra risposta alla chiamata di Gesù e la fatica quotidiana nel vivere una vocazione che sentiamo portarci sulla via della definitività e della totalità. Come fare a rispondere ad una vocazione cosı̀ esigente come quella di pastori del popolo santo di Dio, avvertendo costantemente la nostra debolezza e incoerenza? « È bene riconoscere la propria debolezza, perché cosı̀ sappiamo che abbiamo bisogno della grazia del Signore. Il Signore ci consola. Nel collegio degli Apostoli non c’era solo Giuda, ma anche gli Apostoli buoni, e tuttavia Pietro è caduto e tante volte il Signore rimprovera la lentezza, la chiusura del cuore degli Apostoli, la poca fede che avevano. Quindi ci dimostra che nessuno di noi è semplicemente all’altezza di questo grande sı̀, all’altezza di celebrare « in persona Christi », di vivere coerentemente in questo contesto, di essere unito a Cristo nella sua missione di sacerdote. Il Signore ci ha donato anche, per la nostra consolazione, queste parabole della rete con pesci buoni e non buoni, del campo dove cresce il grano ma anche la zizzania. Egli ci fa sapere di essere venuto proprio per aiutarci nella nostra debolezza, di non essere venuto, come Egli dice, per chiamare i giusti, quelli che pretendono di essere già completamente giusti, di non aver bisogno della grazia, quelli che pregano lodando se stessi, ma di essere venuto a chiamare quelli che sanno di essere manchevoli, a provocare quelli che sanno di aver bisogno ogni giorno del perdono del Signore, della sua grazia per andare avanti. Questo mi sembra molto importante: riconoscere che abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente arrivati. Sant’Agostino, nel momento della conversione, pensava di essere arrivato sulle alture ormai della vita con Dio, della bellezza del sole che è la sua Parola. Poi ha dovuto capire che anche il cammino dopo la conversione rimane un cammino Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 258 di conversione, che rimane un cammino dove non mancano le grandi prospettive, le gioie, le luci del Signore, ma dove anche non mancano valli oscure, dove dobbiamo andare avanti con fiducia appoggiandoci alla bontà del Signore. E perciò è importante anche il sacramento della Riconciliazione. Non è giusto pensare che dovremmo vivere cosı̀ da non aver mai bisogno di perdono. Accettare la nostra fragilità, ma rimanere in cammino, non arrenderci ma andare avanti e, mediante il sacramento della Riconciliazione, sempre di nuovo convertirci per un nuovo inizio e cosı̀ crescere, maturare per il Signore, nella nostra comunione con Lui. È importante, naturalmente, anche non isolarsi, non pensare di poter andare avanti da soli. Abbiamo proprio bisogno della compagnia di sacerdoti amici, anche di laici amici, che ci accompagnano, ci aiutano. Per un sacerdote è molto importante, proprio nella parrocchia, vedere come la gente abbia fiducia in lui e sperimentare con la loro fiducia anche la loro generosità nel perdonare le sue debolezze. I veri amici ci sfidano e ci aiutano ad essere fedeli in questo cammino. Mi sembra che questo atteggiamento di pazienza, di umiltà ci possa aiutare ad essere buoni con gli altri, ad avere comprensione per le debolezze degli altri, ad aiutarli, anche loro, al perdonare come noi perdoniamo. Penso di non essere indiscreto se dico che oggi ho ricevuto una bella lettera del Cardinale Martini: gli avevo espresso felicitazioni per il suo ottantesimo compleanno — siamo coetanei; nel ringraziarmi mi ha scritto: ringrazio soprattutto il Signore per il dono della perseveranza. Oggi — egli scrive — anche il bene si fa piuttosto ad tempus, ad experimentum. Il bene, secondo la sua essenza, si può solo fare in modo definitivo; ma per farlo in modo definitivo, abbiamo bisogno della grazia della perseveranza; prego ogni giorno — egli concludeva — perché il Signore mi dia questa grazia. Ritorno a Sant’Agostino: lui era inizialmente contento con la grazia della conversione; poi scoprı̀ che c’è bisogno di un’altra grazia, la grazia della perseveranza, che dobbiamo ogni giorno chiedere al Signore; ma come — ritorno a quanto dice il Cardinale Martini — « finora il Signore mi ha donato questa grazia della perseveranza; me la darà, spero, anche per questa ultima tappa del mio cammino su questa terra ». Mi sembra che dobbiamo aver fiducia in questo dono della perseveranza, ma che dobbiamo anche con tena- Acta Benedicti Pp. XVI 259 cia, con umiltà e con pazienza pregare il Signore perché ci aiuti e ci sostenga con il dono della vera definitività; che Egli ci accompagni giorno per giorno fino alla fine, anche se il cammino deve passare attraverso valli oscure. Il dono della perseveranza ci dà gioia, ci dà la certezza che siamo amati dal Signore e questo amore ci sostiene, ci aiuta e non ci lascia nelle nostre debolezze ». Koicio Dimov, Diocesi di Nicopoli (Bulgaria - 2º Teologia) 4. Beatissimo Padre, lei commentando la Via Crucis del 2005 ha parlato della sporcizia che c’è nella Chiesa, e nell’omelia per l’ordinazione dei sacerdoti romani dello scorso anno ci ha messo in guardia dal rischio « del carrierismo, del tentativo di arrivare in alto, di procurarsi una posizione mediante la Chiesa ». Come porci davanti a queste problematiche nel modo più sereno e responsabile possibile? « È una domanda non facile, ma mi sembra di aver detto già, ed è un punto importante, che il Signore sa, sapeva fin dall’inizio, che nella Chiesa c’è anche il peccato e per la nostra umiltà è importante riconoscere questo e vedere il peccato non solo negli altri, nelle strutture, negli alti incarichi gerarchici, ma anche in noi stessi per essere cosı̀ più umili ed imparare che non conta, davanti al Signore, la posizione ecclesiale, ma conta stare nel suo amore e far brillare il suo amore. Personalmente ritengo che, su questo punto, sia molto importante la preghiera di Sant’Ignazio che dice: « Suscipe, Domine, universam meam libertatem; accipe memoriam, intellectum atque voluntatem omnem; quidquid habeo vel possideo mihi largitus es; id tibi totum restituo ac tuae prorsus voluntati trado gubernandum; amorem tuum cum gratia tua mihi dones et dives sum satis, nec aliud quidquam ultra posco ». Proprio questa ultima parte mi sembra molto importante: capire che il vero tesoro della nostra vita è stare nell’amore del Signore e non perdere mai questo amore. Poi siamo realmente ricchi. Un uomo che ha trovato un grande amore si sente realmente ricco e sa che questa è la vera perla, che questo è il tesoro della sua vita e non tutte le altre cose che forse ha. Noi abbiamo trovato, anzi siamo stati trovati dall’amore del Signore e quanto più ci lasciamo toccare da questo suo amore nella vita sacramentale, nella vita di preghiera, nella vita del lavoro, del tempo libero, tanto più Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 260 possiamo capire che sı̀, ho trovato la vera perla, tutto il resto non conta, tutto il resto è importante solo nella misura in cui l’amore del Signore mi attribuisce queste cose. Io sono ricco, sono realmente ricco e in alto se sto in questo amore. Trovare qui il centro della vita, la ricchezza. Poi lasciamoci guidare, lasciamo alla Provvidenza di decidere che cosa farà con noi. Mi viene qui in mente una piccola storia di Santa Bakhita, questa bella Santa africana, che era schiava in Sudan, poi in Italia ha trovato la fede, si è fatta suora e quando era già anziana il Vescovo faceva visita al suo monastero, nella sua casa religiosa e non la conosceva; vide questa piccola, già curva, suora africana e disse a Bakhita: « Ma che cosa fa Lei, sorella? »; la Bakhita rispose: « Io faccio La stessa cosa che Lei, Eccellenza ». Il Vescovo stupito chiese: « Ma che cosa? » e Bakhita rispose: « Ma Eccellenza, noi due vogliamo fare la stessa cosa, fare la volontà di Dio ». Mi sembra una risposta bellissima, il Vescovo e la piccola suora, che quasi non poteva più lavorare, facevano, in posizioni diverse, la stessa cosa, cercavano di fare la volontà di Dio e cosı̀ erano al posto giusto. Mi viene anche in mente una parola di Sant’Agostino che dice: Noi siamo tutti sempre solo discepoli di Cristo e la sua cattedra sta più in alto, perché questa cattedra è la croce e solo questa altezza è la vera altezza, la comunione col Signore, anche nella sua passione. Mi sembra che, se cominciamo a capire questo, in una vita di preghiera ogni giorno, in una vita di dedizione, per il servizio del Signore, possiamo liberarci da queste tentazioni molto umane. Francesco Annesi, Diocesi di Roma (3º Teologia) 5. Santità, dalla Lettera Apostolica « Salvifici doloris » di Giovanni Paolo II emerge chiaramente quanto la sofferenza sia fonte di ricchezza spirituale per tutti coloro che la accolgono in unione alle sofferenze di Cristo. Come, oggi, in un mondo che cerca ogni mezzo lecito o illecito per eliminare qualsiasi forma di dolore, il sacerdote può essere testimone del senso cristiano della sofferenza e come deve comportarsi dinanzi a chi soffre senza rischiare di essere retorico o patetico? « Sı̀, come fare? Allora, mi sembra che dobbiamo riconoscere che è giusto fare il possibile per vincere le sofferenze dell’umanità e per aiutare le persone Acta Benedicti Pp. XVI 261 sofferenti — sono tante nel mondo — a trovare una vita buona e ad essere liberate dai mali che spesso causiamo noi stessi: la fame, le epidemie, ecc. Ma, nello stesso tempo, riconoscendo questo dovere di lavorare contro le sofferenze causate da noi stessi, dobbiamo anche riconoscere e capire che la sofferenza è una parte essenziale per la nostra maturazione umana. Io penso alla parabola del Signore sul chicco di grano caduto in terra, che solo cosı̀, morendo, può portare frutto, e questo cadere in terra e morire non è il fatto di un momento, ma è proprio il processo di una vita. Cadere come grano in terra e morire cosı̀, trasformarsi, essere strumenti di Dio, cosı̀ portare frutto. Il Signore non per caso dice ai suoi discepoli: il Figlio dell’Uomo deve andare a Gerusalemme per soffrire; perciò chi vuole essere mio discepolo deve prendere la sua croce sulle spalle e cosı̀ seguirmi. In realtà, noi siamo sempre un po’ come Pietro, il quale dice al Signore: No, Signore, questo non può essere il caso tuo, tu non devi soffrire. Noi non vogliamo portare la Croce, vogliamo creare un Regno più umano, più bello in terra. Questo è totalmente sbagliato: il Signore lo insegna. Ma Pietro ha avuto bisogno di molto tempo, forse di tutta la sua vita per capirlo; perché questa leggenda del Quo Vadis? ha qualcosa di vero in sé: imparare che proprio nell’andare con la Croce del Signore sta il cammino che porta frutto. Cosı̀, direi, prima di parlare agli altri, dobbiamo noi stessi capire il mistero della Croce. Certo, il cristianesimo ci dà la gioia, perché l’amore dà gioia. Ma l’amore è sempre anche un processo del perdersi e quindi anche un processo dell’uscire da se stesso; in questo senso, anche un processo doloroso. E solo cosı̀ è bello e ci fa maturare e arrivare alla vera gioia. Chi vuol affermare o chi promette una vita solo allegra e comoda, mente, perché non è questa la verità dell’uomo; la conseguenza è che poi si deve fuggire in paradisi falsi. E proprio cosı̀ non si arriva alla gioia, ma all’autodistruzione. Il cristianesimo ci annuncia la gioia, sı̀; questa gioia però cresce solo sulla via dell’amore e questa via dell’amore ha a che fare con la Croce, con la comunione con il Cristo crocefisso. Ed è rappresentata nel chicco di grano caduto in terra. Quando cominciamo a capire e ad accettare questo, ogni giorno, perché ogni giorno ci impone qualche insoddisfazione, qualche peso che crea anche dolore, quando accettiamo questa scuola della sequela di Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 262 Cristo, come gli Apostoli hanno dovuto imparare a questa scuola, allora diventiamo anche capaci di aiutare i sofferenti. È vero che è sempre problematico se uno che sta più o meno in buona salute o in buone condizioni deve consolare un altro toccato da un grande male: sia malattia, sia perdita di amore. Davanti a questi mali che conosciamo tutti, quasi inevitabilmente tutto appare come solo retorico e patetico. Ma, direi, se queste persone possono sentire che noi siamo com-pazienti, che noi vogliamo portare con loro la Croce in comunione con Cristo, soprattutto pregando con loro, assistendo anche con un silenzio pieno di simpatia, di amore, aiutandoli in quanto possiamo, possiamo divenire credibili. Dobbiamo accettare questo, che forse in un primo momento le nostre parole appaiano come pure parole. Ma se viviamo realmente in questo spirito della vera sequela di Gesù, troviamo anche il modo di essere vicini con la nostra simpatia. Simpatia etimologicamente vuol dire com-passione per l’uomo, aiutandolo, pregando, creando cosı̀ la fiducia che la bontà del Signore esiste anche nella valle più oscura. Possiamo cosı̀ aprire il cuore per il Vangelo di Cristo stesso, che è il vero consolatore; aprire il cuore per lo Spirito Santo, che è chiamato l’altro Consolatore, l’altro Paraclito, che assiste, che è presente. Possiamo aprire il cuore non per le nostre parole, ma per il grande insegnamento di Cristo, per il suo essere con noi e cosı̀ aiutare perché la sofferenza e il dolore diventino realmente grazia di maturazione, di comunione col Cristo crocefisso e risorto. Marco Ceccarelli, Diocesi di Roma, diacono 6. Santità, nei prossimi mesi, i miei compagni ed io saremo ordinati preti. Passeremo dalla vita ben strutturata dalle regole del seminario, alla situazione ben più articolata delle nostre parrocchie. Quali consigli può darci per vivere al meglio l’inizio del nostro ministero presbiterale? « Dunque, qui in seminario avete una vita ben articolata. Io direi, come primo punto, è importante anche nella vita di pastori della Chiesa, nella vita quotidiana del sacerdote, conservare, per quanto è possibile, un certo ordine: che non manchi mai la Messa — senza l’Eucaristia un giorno è incompleto e perciò cresciamo già nel seminario con questa liturgia quotidiana; mi sembra Acta Benedicti Pp. XVI 263 molto importante che sentiamo il bisogno di essere col Signore nell’Eucaristia, che non sia un dovere professionale ma sia realmente un dovere sentito interiormente, che non manchi mai l’Eucaristia. L’altro punto importante è prendersi il tempo per la Liturgia delle Ore e cosı̀ per questa libertà interiore: con tutti i pesi che ci sono, essa ci libera e ci aiuta anche ad essere più aperti e a stare in un contatto profondo col Signore. Naturalmente dobbiamo fare tutto quello che impone la vita pastorale, la vita di un vice-parroco, di un parroco o delle altre mansioni sacerdotali. Ma, direi, non dimenticare mai questi punti fissi, che sono l’Eucaristia e la Liturgia delle Ore, cosı̀ da avere nel giorno un certo ordine che, come avevo detto inizialmente, non devo inventare sempre di nuovo « Serva ordinem et ordo servabit te », abbiamo imparato. È una parola vera. Poi è importante non perdere la comunione con gli altri sacerdoti, con i compagni di via e non perdere il contatto personale con la Parola di Dio, la meditazione. Come fare? Io ho una ricetta abbastanza semplice: combinare la preparazione dell’omelia domenicale con la meditazione personale, per far sı̀ che queste parole non siano dette solo agli altri, ma siano realmente parole dette dal Signore a me stesso, e maturate in un colloquio personale col Signore. Perché ciò sia possibile, il mio consiglio è di cominciare già il lunedı̀, perché se si comincia al sabato è troppo tardi, la preparazione viene affrettata, e forse l’ispirazione manca, perché ci sono altre cose nella testa. Perciò, direi, già il lunedı̀, leggere semplicemente le letture della prossima domenica che forse appaiono molto inaccessibili. Un po’ come quelle pietre di Massa e Meriba, dove Mosè dice: « Ma come può venire acqua da queste pietre? ». Lasciamo stare, lasciamo che il cuore le digerisca, queste letture; nel subcosciente le parole lavorano e ogni giorno un po’ ritornano. Ovviamente si dovranno anche consultare dei libri, per quanto è possibile. E con questo lavorı̀o interiore, giorno per giorno, si vede come man mano matura una risposta; man mano si apre questa parola, diventa parola per me. E poiché sono un contemporaneo, essa diventa una parola anche per gli altri. Posso poi cominciare a tradurre quanto io forse vedo nel mio linguaggio teologico nel linguaggio degli altri; il pensiero fondamentale resta tuttavia lo stesso per gli altri e per me. Cosı̀ si può avere un incontro permanente, silenzioso, con la Parola, che non esige molto tempo, che forse non abbiamo. Ma riservate un po’ di tempo: 264 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale cosı̀ matura non solo un’omelia per la domenica, per gli altri, ma il mio proprio cuore viene toccato dalla Parola del Signore. Rimango in contatto anche in una situazione dove forse il tempo a disposizione è poco. Non oserei adesso dare troppi consigli, perché la vita nella grande città di Roma è un po’ diversa da quella che io ho vissuto cinquantacinque anni fa nella nostra Baviera. Ma penso che l’essenziale è proprio questo: Eucaristia, Ufficio delle Letture, preghiera e colloquio, anche se breve, ogni giorno, col Signore, sulle sue Parole che io devo annunciare. E non perdere mai, da una parte, l’amicizia con i sacerdoti, l’ascolto della voce della Chiesa viva e, naturalmente, la disponibilità per la gente affidatami, perché proprio da questa gente, con le sue sofferenze, le sue esperienze di fede, i suoi dubbi e difficoltà, possiamo anche noi imparare, cercare e trovare Dio. Trovare il nostro Signore Gesù Cristo ». VII Ad parochos et ad clerum Romanae dioecesis.* La prima domanda è stata posta da Mons. Pasquale Silla, Parroco Rettore del Santuario di Santa Maria del Divino Amore a Castel di Leva, il quale ha ricordato la visita compiuta da Benedetto XVI il 1o maggio 2006 e la consegna lasciata alla comunità parrocchiale: svolgere nel Santuario e dal Santuario una fervente preghiera per il Vescovo di Roma, per i suoi Collaboratori, per tutto il Clero e i fedeli della Diocesi. In risposta a questa richiesta, la comunità del Divino Amore si è impegnata a qualificare al massimo la preghiera in tutte le sue forme — soprattutto quella liturgica — perché sia assidua e concorde: uno dei frutti di questo impegno è l’adorazione eucaristica perpetua che dal prossimo 25 marzo sarà avviata nel Santuario. Anche sul fronte della carità, il Santuario si sta impegnando ad allargare i suoi orizzonti, soprattutto nel campo dell’accoglienza dei minori, delle famiglie, degli anziani. In questa prospettiva, Mons. Silla ha chiesto a Benedetto XVI indicazioni concrete per poter realizzare sempre più efficacemente la missione del Santuario mariano nella Diocesi. * Die 22 Februarii 2007. Synthesis interventuum sacerdotum et responsa Summi Pontificis. Acta Benedicti Pp. XVI 265 Vorrei innanzitutto dire che sono contento e felice di sentirmi qui realmente Vescovo di una grande Diocesi. Il Cardinale Vicario ha detto che vi aspettate luce e conforto. E devo dire che vedere tanti sacerdoti di tutte le generazioni è luce e conforto per me. Già dalla prima domanda ho anche e soprattutto imparato: e questo mi sembra anche un elemento essenziale del nostro incontro. Qui posso sentire la voce viva e concreta dei Parroci, le loro esperienze pastorali, e cosı̀ posso soprattutto apprendere anch’io la vostra situazione concreta, le questioni che avete, le esperienze che fate, le difficoltà. Cosı̀ posso viverle non solo in modo astratto, ma in un concreto colloquio con la vita reale delle parrocchie. Vengo a questa prima domanda. Mi sembra che Lei abbia dato essenzialmente anche la risposta riguardo a quello che può fare questo Santuario... So che è il Santuario mariano più amato dai romani. Io stesso, quando sono venuto diverse volte nel Santuario antico, ho fatto esperienza di questa pietà secolare. Si sente la presenza della preghiera di generazioni e si tocca quasi con mano la presenza materna della Madonna. Si può realmente vivere un incontro con la devozione mariana dei secoli, con i desideri, le necessità, i bisogni, le sofferenze, anche le gioie delle generazioni nell’incontro con Maria. Cosı̀ questo Santuario, al quale vengono le persone con le loro speranze, questioni, domande, sofferenze, è un fatto essenziale per la Diocesi di Roma. Sempre più vediamo che i Santuari sono una fonte di vita e di fede nella Chiesa universale, e cosı̀ anche nella Chiesa di Roma. Nella mia terra ho avuto l’esperienza dei pellegrinaggi a piedi al nostro Santuario nazionale di Altötting. È una grande missione popolare. Ci vanno soprattutto i giovani e, pellegrinando a piedi per tre giorni, vivono nell’atmosfera della preghiera, dell’esame di coscienza, quasi riscoprono la loro coscienza cristiana di fede. Questi tre giorni di pellegrinaggio a piedi sono giorni di confessione, di preghiera, sono un vero cammino verso la Madonna, verso la famiglia di Dio e poi verso l’Eucaristia. Andando a piedi, vanno alla Madonna e vanno, con la Madonna, al Signore, all’incontro eucaristico, preparandosi con la confessione al rinnovamento interiore. Vivono di nuovo la realtà eucaristica del Signore che dà se stesso, come la Madonna ha dato la propria carne al Signore, aprendo cosı̀ la porta all’Incarnazione. La Madonna ha dato la carne per l’Incarnazione e cosı̀ ha reso possibile l’Eucaristia, nella quale riceviamo la Carne che è il Pane per il mondo. Andando all’incontro con la Madonna, gli Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 266 stessi giovani imparano ad offrire la propria carne, la vita di ogni giorno perché sia consegnata al Signore. E imparano a credere, a dire, man mano, « Sı̀ » al Signore. Perciò direi, per ritornare alla domanda, che il Santuario come tale, come luogo di preghiera, di confessione, di celebrazione dell’Eucaristia, è un grande servizio, nella Chiesa di oggi, per la Diocesi di Roma. Quindi penso che l’essenziale servizio, del quale Lei, del resto, ha parlato in modo concreto, è proprio quello di offrirsi come luogo di preghiera, di vita sacramentale e di vita di carità realizzata. Lei, se ho capito bene, ha parlato di quattro dimensioni della preghiera. La prima è quella personale. E qui Maria ci mostra la strada. San Luca ci dice due volte che la Vergine « serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore ».1 Era una persona in colloquio con Dio, con la Parola di Dio, e anche con gli avvenimenti tramite i quali Dio parlava con Lei. Il « Magnificat » è un « tessuto » fatto di parole della Sacra Scrittura e ci mostra come Maria abbia vissuto in un colloquio permanente con la Parola di Dio e, cosı̀, con Dio stesso. Naturalmente, poi, nella vita insieme con il Signore, è stata sempre in colloquio con Cristo, con il Figlio di Dio e con il Dio trinitario. Quindi impariamo da Maria a parlare personalmente con il Signore, ponderando e conservando nella nostra vita e nel nostro cuore le parole di Dio, perché diventino nutrimento vero per ciascuno. Cosı̀ Maria ci guida in una scuola di preghiera, in un contatto personale e profondo con Dio. La seconda dimensione della quale Lei ha parlato è la preghiera liturgica. Nella Liturgia il Signore ci insegna a pregare, prima dandoci la sua Parola, poi introducendoci nella Preghiera eucaristica alla comunione con il suo mistero di vita, di Croce e di Risurrezione. San Paolo ha detto una volta che « nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare »: 2 noi non sappiamo come pregare, cosa dire a Dio. Perciò Dio ci ha dato le parole della preghiera, sia nel Salterio, sia nelle grandi preghiere della sacra Liturgia, sia proprio nella Liturgia eucaristica stessa. Qui ci insegna a pregare. Noi entriamo nella preghiera formatasi nei secoli sotto l’ispirazione dello Spirito Santo e ci uniamo al colloquio di Cristo con il Padre. Quindi la Liturgia è soprattutto preghiera: prima ascolto e poi risposta, sia nel Salmo responso1 2 2, 19; cfr 2, 51. Rm 8, 26. Acta Benedicti Pp. XVI 267 riale sia nella preghiera della Chiesa, sia nella grande Preghiera eucaristica. Noi la celebriamo bene se la celebriamo in atteggiamento « orante », unendoci al mistero di Cristo e al suo colloquio di Figlio col Padre. Se celebriamo l’Eucaristia in questo modo, come ascolto prima, poi come risposta, quindi come preghiera con le parole indicate dallo Spirito Santo, la celebriamo bene. E la gente viene attirata attraverso la nostra preghiera comune nel novero dei figli di Dio. La terza dimensione è quella della pietà popolare. Un importante Documento della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti parla di questa pietà popolare e ci indica come « guidarla ». La pietà popolare è una nostra forza, perché si tratta di preghiere molto radicate nel cuore delle persone. Anche persone che sono un po’ lontane dalla vita della Chiesa e non hanno grande comprensione della fede sono toccate nel cuore da questa preghiera. Si deve solo « illuminare » questi gesti, « purificare » questa tradizione affinché diventi vita attuale della Chiesa. Poi, l’adorazione eucaristica. Sono molto grato perché sempre più si rinnova l’adorazione eucaristica. Durante il Sinodo sull’Eucaristia i Vescovi hanno parlato molto delle loro esperienze, di come ritorna nuova vita nelle comunità con questa adorazione, anche notturna, e di come proprio cosı̀ nascono anche nuove vocazioni. Posso dire che fra poco firmerò l’Esortazione post-sinodale sull’Eucaristia, che sarà poi a disposizione della Chiesa. È un Documento che si offre proprio alla meditazione. Esso aiuterà sia nella celebrazione liturgica, sia nella riflessione personale, sia nella preparazione delle omelie, sia nella celebrazione dell’Eucaristia. E servirà anche a guidare, illuminare e rivitalizzare la pietà popolare. Infine, Lei ci ha parlato del Santuario come luogo della caritas. Questo mi sembra molto logico e necessario. Ho riletto poco tempo fa ciò che sant’Agostino dice nel Libro X delle Confessioni: io sono stato tentato e adesso capisco che era una tentazione di chiudermi nella vita contemplativa, di cercare la solitudine con Te, Signore; ma tu me lo hai impedito, mi hai tirato fuori e mi hai fatto sentire la parola di san Paolo: « Cristo è morto per tutti. Cosı̀ noi dobbiamo morire con Cristo e vivere per tutti »; ho capito che non posso chiudermi nella contemplazione; Tu sei morto per tutti, quindi devo, con Te, vivere per tutti e cosı̀ vivere le opere della carità. La vera contemplazione si dimostra nelle opere della carità. Quindi, il segno che abbiamo veramente Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 268 pregato, che abbiamo avuto l’incontro con Cristo, è che siamo « per gli altri ». Cosı̀ dev’essere un Parroco. E sant’Agostino era un grande Parroco. Egli dice: nella mia vita io volevo sempre vivere in ascolto della Parola, nella meditazione, ma adesso devo — giorno per giorno, ora per ora — stare alla porta, dove suona sempre il campanello, devo consolare gli afflitti, aiutare i poveri, ammonire quelli che sono litigiosi, creare pace, e via dicendo. Sant’Agostino elenca tutto il lavoro di un Parroco, perché in quel tempo il Vescovo era anche quello che è adesso il Kadi nei Paesi islamici. Per i problemi del diritto civile, diciamo, egli era il giudice di pace: ha dovuto favorire la pace tra i litigiosi. Quindi ha vissuto un’esistenza che per lui, uomo contemplativo, è stata molto difficile. Ma ha capito questa verità: cosı̀ sono con Cristo; essendo « per gli altri », sono nel Signore crocifisso e risorto. Questa mi sembra una grande consolazione per i Parroci e per i Vescovi. Se rimane poco tempo per la contemplazione, essendo « per gli altri » siamo col Signore. Lei ha parlato degli altri elementi concreti della carità, che sono molto importanti. Sono anche un segno per la nostra società, in particolare per i bambini, per gli anziani, per i sofferenti. Quindi penso che Lei, con queste quattro dimensioni della vita, ci ha dato la risposta alla domanda: che cosa dobbiamo fare nel nostro Santuario? Ha parlato poi Don Maurizio Secondo Mirilli, Vicario parrocchiale di Santa Bernardette Soubirous e addetto al Servizio per la Pastorale Giovanile della Diocesi, il quale ha sottolineato il compito impegnativo che spetta ai sacerdoti nella missione di formare alla fede le nuove generazioni. Al Papa Don Maurizio ha chiesto una parola di guida e di orientamento sul modo di trasmettere ai giovani la gioia della fede cristiana, soprattutto di fronte alle sfide culturali odierne, e lo ha sollecitato ad indicare le tematiche prioritarie su cui investire maggiormente le energie per aiutare i ragazzi e le ragazze ad incontrare concretamente Cristo. Grazie per il lavoro che svolge per gli adolescenti. Sappiamo che la gioventù dev’essere realmente una priorità del nostro lavoro pastorale, perché essa vive in un mondo lontano da Dio. Ed è molto difficile trovare in questo nostro contesto culturale l’incontro con Cristo, la vita cristiana, la vita della fede. I giovani hanno bisogno di tanto accompagnamento per poter realmente trovare questa strada. Direi — anche se purtroppo io vivo abbastanza Acta Benedicti Pp. XVI 269 lontano da loro e quindi non posso dare indicazioni molto concrete — che il primo elemento mi sembra proprio e soprattutto l’accompagnamento. Essi devono vedere che si può vivere la fede in questo tempo, che non si tratta di una cosa del passato, ma che è possibile vivere oggi da cristiani e trovare cosı̀ realmente il bene. Mi ricordo di un elemento autobiografico negli scritti di san Cipriano. Io ho vissuto in questo nostro mondo — egli dice — totalmente lontano da Dio, perché le divinità erano morte e Dio non era visibile. E vedendo i cristiani ho pensato: è una vita impossibile, questo non si può realizzare nel nostro mondo! Ma poi, incontrandone alcuni, entrando nella loro compagnia, lasciandomi guidare nel catecumenato, in questo cammino di conversione verso Dio, man mano ho capito: è possibile! E adesso sono felice di aver trovato la vita. Ho capito che quell’altra non era vita, e in verità — confessa — sapevo anche prima che quella non era la vera vita. Mi sembra molto importante che i giovani trovino persone — sia della loro età che più mature — nelle quali possano vedere che la vita cristiana oggi è possibile ed è anche ragionevole e realizzabile. Su entrambi questi ultimi elementi mi sembra che ci siano dubbi: sulla realizzabilità, perché le altre strade sono molto lontane dal modo di vivere cristiano, e sulla ragionevolezza, perché a prima vista sembra che la scienza ci dica cose totalmente diverse e quindi non si possa aprire un percorso ragionevole verso la fede, cosı̀ da mostrare che essa è una cosa in sintonia col nostro tempo e con la ragione. Il primo punto è quindi l’esperienza, che apre poi la porta anche alla conoscenza. In questo senso, il « catecumenato » vissuto in modo nuovo — cioè come cammino comune di vita, come comune esperienza del fatto che è possibile vivere cosı̀ — è di grande importanza. Solo se c’è una certa esperienza si può poi anche capire. Mi ricordo di un consiglio che Pascal dava ad un amico non credente. Gli diceva: prova un po’ a fare le cose che fa un credente, e poi con questa esperienza vedrai che tutto ciò è logico ed è vero. Direi che un aspetto importante ci è mostrato proprio adesso dalla Quaresima. Non possiamo pensare di vivere subito una vita cristiana al cento per cento, senza dubbi e senza peccati. Dobbiamo riconoscere che siamo in cammino, che dobbiamo e possiamo imparare, che dobbiamo anche convertirci man mano. Certo, la conversione fondamentale è un atto che è per sempre. Ma la realizzazione della conversione è un atto di vita, che si realizza nella Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 270 pazienza di una vita. È un atto nel quale non dobbiamo perdere la fiducia e il coraggio del cammino. Proprio questo dobbiamo riconoscere: non possiamo fare di noi stessi dei cristiani perfetti da un momento all’altro. Tuttavia, vale la pena andare avanti, tener fede all’opzione fondamentale, per cosı̀ dire, e poi permanere con perseveranza in un cammino di conversione che talvolta diventa difficile. Può capitare infatti che mi senta scoraggiato, cosı̀ da voler lasciare tutto e restare in uno stato di crisi. Non ci si deve subito lasciar cadere, ma con coraggio bisogna ricominciare. Il Signore mi guida, il Signore è generoso e con il suo perdono vado avanti, diventando anch’io generoso con gli altri. Cosı̀ impariamo realmente l’amore per il prossimo e la vita cristiana, che implica questa perseveranza dell’andare avanti. Quanto ai grandi temi, direi che è importante conoscere Dio. Il tema « Dio » è essenziale. San Paolo dice nella Lettera agli Efesini: « Ricordatevi che in quel tempo eravate... senza speranza e senza Dio. Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini ».3 Cosı̀ la vita ha un senso che mi guida anche nelle difficoltà. Quindi bisogna ritornare al Dio Creatore, al Dio che è la ragione creatrice, e poi trovare Cristo, che è il Volto vivo di Dio. Diciamo che qui c’è una reciprocità. Da una parte, l’incontro con Gesù, con questa figura umana, storica, reale; mi aiuta a conoscere man mano Dio; e, dall’altra parte, conoscere Dio mi aiuta a capire la grandezza del mistero di Cristo, che è il Volto di Dio. Solo se riusciamo a capire che Gesù non è un grande profeta, una delle personalità religiose del mondo, ma è il Volto di Dio, è Dio, allora abbiamo scoperto la grandezza di Cristo e abbiamo trovato chi è Dio. Dio non è solo un’ombra lontana, la « Causa prima », ma ha un Volto: è il Volto della misericordia, il Volto del perdono e dell’amore, il Volto dell’incontro con noi. Quindi questi due temi si compenetrano reciprocamente e devono andare sempre insieme. Poi, naturalmente, dobbiamo capire che la Chiesa è la grande compagna del cammino nel quale siamo. In essa la Parola di Dio rimane viva e Cristo non è solo una figura del passato, ma è presente. Cosı̀ dobbiamo riscoprire la vita sacramentale, il perdono sacramentale, l’Eucaristia, il Battesimo come nascita nuova. Sant’Ambrogio nella Notte Pasquale, nell’ultima Catechesi mistagogica, ha detto: Finora abbiamo parlato delle cose morali, adesso è il 3 Ef 2, 12-13. Acta Benedicti Pp. XVI 271 momento di parlare del Mistero. Aveva offerto una guida all’esperienza morale, naturalmente alla luce di Dio, che poi si apre al Mistero. Penso che oggi queste due cose debbano compenetrarsi: un cammino con Gesù che sempre più scopre la profondità del suo Mistero. Cosı̀ si impara a vivere in modo cristiano, si impara la grandezza del perdono e la grandezza del Signore che si dona a noi nell’Eucaristia. In questo cammino, naturalmente, ci accompagnano i santi. Essi, pur con tanti problemi, hanno vissuto e sono stati le « interpretazioni » vere e vive della Sacra Scrittura. Ognuno ha il suo santo, dal quale può meglio imparare che cosa comporta il vivere da cristiano. Sono soprattutto i santi del nostro tempo. E poi, naturalmente, c’è sempre Maria, che rimane la Madre della Parola. Riscoprire Maria ci aiuta ad andare avanti da cristiani e a conoscere il Figlio. Padre Franco Incampo, Rettore della Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone, ha presentato l’esperienza della lettura integrale della Bibbia che stanno facendo la sua Comunità insieme con la Chiesa valdese. « Ci siamo messi in ascolto della Parola — ha detto —. È un progetto ampio. Qual è il valore della Parola nella Comunità ecclesiale? Perché noi conosciamo cosı̀ poco la Bibbia? Come promuovere la conoscenza della Bibbia perché la Parola formi la comunità anche per un cammino ecumenico? ». Lei ha certamente un’esperienza più concreta di come fare questo. Posso, innanzitutto, dire che avremo il prossimo Sinodo sulla Parola di Dio. Ho già potuto vedere i « Lineamenta » elaborati dal Consiglio del Sinodo e penso che appariranno bene le diverse dimensioni della presenza della Parola nella Chiesa. Naturalmente la Bibbia, nella sua integralità, è una cosa grandissima e da scoprire a mano a mano. Perché se prendiamo solo le singole parti spesso può essere difficile capire che si tratta di Parola di Dio: penso a certe parti dei Libri dei Re con le cronistorie, con lo sterminio dei popoli esistenti in Terra Santa. Molte altre cose sono difficili. Anche proprio il Qoelet può essere isolato e può risultare molto difficile: sembra proprio teorizzare la disperazione perché niente rimane e anche il saggio alla fine muore con gli stolti. Ne abbiamo avuto ora la lettura nel Breviario. 272 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Un primo punto mi sembra proprio quello di leggere la Sacra Scrittura nella sua unità e integralità. Le singole parti sono parti di un cammino e solo vedendole nella loro integralità come un cammino unico, dove una parte spiega l’altra, possiamo capire questo. Rimaniamo per esempio nel Qoelet. Vi era in precedenza la parola della saggezza secondo cui chi è buono vive anche bene. Cioè Dio premia chi è buono. E poi viene Giobbe e si vede che non è cosı̀ e che proprio chi vive bene soffre di più. Sembra proprio dimenticato da Dio. Vengono i Salmi di quel periodo dove si dice: ma che cosa fai Dio? Gli atei, i superbi vivono bene, sono grassi, si nutrono bene e ridono di noi e dicono: ma dov’è Dio? Non s’interessa a noi e noi siamo stati venduti come pecore da macello. Che cosa fai con noi, perché è cosı̀? Arriva il momento dove il Qoelet dice: ma tutta questa saggezza alla fine dove rimane? È un Libro quasi esistenzialista, in cui si afferma: tutto è vano. Questo primo cammino non perde il suo valore, ma si apre alla nuova prospettiva che, alla fine, guida alla croce di Cristo, « il Santo di Dio », come dice San Pietro nel capitolo sesto del Vangelo di Giovanni. Finisce con la Croce. E proprio cosı̀ si dimostra la saggezza di Dio, che poi ci descriverà San Paolo. E, quindi, solo se prendiamo tutto come un unico cammino, passo dopo passo, e impariamo a leggere la Scrittura nella sua unità, possiamo anche realmente trovare l’accesso alla bellezza e alla ricchezza della Sacra Scrittura. Leggere quindi tutto, ma sempre tener presente la totalità della Sacra Scrittura, dove una parte spiega l’altra, un passo del cammino spiega l’altro. Su questo punto l’esegesi moderna può anche aiutare molto. Prendiamo, per esempio, il Libro di Isaia, quando gli esegeti scoprirono che dal capitolo 40 l’autore è un altro — il "Deutero-Isaia", come si disse in quel tempo. Per la teologia cattolica vi fu un momento di grande terrore. Qualcuno pensò che cosı̀ si distruggeva Isaia e alla fine, nel capitolo 53, la visione del servo di Dio non era più dell’Isaia che era vissuto quasi 800 anni prima di Cristo. Che cosa facciamo, ci si domandò? Adesso abbiamo capito che tutto il Libro è un cammino di sempre nuove riletture, dove sempre più si entra nel mistero proposto all’inizio e si apre sempre più quanto era inizialmente presente, ma ancora chiuso. Possiamo capire proprio in un Libro tutto il cammino della Sacra Scrittura, che è un permanente rileggere, un ricapire meglio quanto è stato detto prima. Passo per passo la luce si accende e il cristiano può capire quanto il Signore ha detto ai discepoli di Emmaus, spiegando loro che tutti i Acta Benedicti Pp. XVI 273 profeti avevano parlato di Lui. Il Signore ci apre l’ultima rilettura, Cristo è la chiave di tutto e solo unendosi nel cammino ai discepoli di Emmaus, solo camminando con Cristo, rileggendo tutto nella sua luce, con Lui crocifisso e risorto, entriamo nella ricchezza e nella bellezza della Sacra Scrittura. Perciò, direi, il punto importante è non frammentare la Sacra Scrittura. Proprio la moderna critica, come vediamo adesso, ci ha fatto capire che è un cammino permanente. E possiamo anche vedere che è un cammino che ha una direzione e che Cristo realmente è il punto di arrivo. Cominciando da Cristo possiamo riprendere tutto il cammino ed entrare nella profondità della Parola. Riassumendo, direi, la lettura della Sacra Scrittura deve essere sempre una lettura nella luce di Cristo. Solo cosı̀ possiamo leggere e capire, anche nel nostro contesto attuale, la Sacra Scrittura e avere realmente luce dalla Sacra Scrittura. Dobbiamo comprendere questo: la Sacra Scrittura è un cammino con una direzione. Chi conosce il punto di arrivo può anche, adesso di nuovo, fare tutti i passi e imparare cosı̀ in modo più profondo il mistero di Cristo. Comprendendo questo abbiamo anche capito l’ecclesialità della Sacra Scrittura, perché questi cammini, questi passi del cammino, sono passi di un popolo. È il popolo di Dio che va avanti. Il vero proprietario della Parola è sempre il popolo di Dio, guidato dallo Spirito Santo, e l’ispirazione è un processo complesso: lo Spirito Santo guida avanti, il popolo riceve. È, quindi, il cammino di un popolo, del popolo di Dio. Sempre la Sacra Scrittura va letta bene. Ma ciò può avvenire solo se camminiamo all’interno di questo soggetto che è il popolo di Dio che vive, è rinnovato, è rifondato da Cristo, ma rimane sempre nella sua identità. Quindi, direi che vi sono tre dimensioni in rapporto tra loro. La dimensione storica, la dimensione cristologica e la dimensione ecclesiologica — del popolo in cammino — si compenetrano. Una lettura completa è quella in cui le tre dimensione sono presenti. Perciò la liturgia — la lettura comune, orante, del popolo di Dio — rimane il luogo privilegiato per la comprensione della Parola, anche perché proprio qui la lettura diventa preghiera e si unisce con la preghiera di Cristo nella Preghiera eucaristica. Vorrei ancora aggiungere una cosa che hanno sottolineato tutti i Padri della Chiesa. Penso soprattutto a un bellissimo testo di Sant’Efrem e a un altro di Sant’Agostino nei quali si dice: se tu hai capito poco, accetta, e non Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 274 pensare di aver capito tutto. La Parola rimane sempre molto più grande di quanto tu hai potuto capire. E questo va detto adesso in modo critico nei confronti di una certa parte dell’esegesi moderna, che pensa di aver capito tutto e che perciò, dopo l’interpretazione da essa elaborata, non si possa ormai dire null’altro di più. Questo non è vero. La Parola è sempre più grande dell’esegesi dei Padri e dell’esegesi critica, perché anche questa capisce solo una parte, direi anzi una parte minima. La Parola è sempre più grande, questa è la nostra grande consolazione. E da una parte è bello sapere di aver capito soltanto un po’. È bello sapere che c’è ancora un tesoro inesauribile e che ogni nuova generazione riscoprirà nuovi tesori e andrà avanti con la grandezza della Parola di Dio, che è sempre davanti a noi, ci guida ed è sempre più grande. È con questa consapevolezza che si deve leggere la Scrittura. Sant’Agostino ha detto: beve dalla fonte la lepre e beve l’asino. L’asino beve di più, ma ognuno beve secondo la sua capacità. Sia che siamo lepri o che siamo asini, siamo grati che il Signore ci faccia bere dalla sua acqua. Il tema dei Movimenti Ecclesiali e delle Nuove Comunità, come dono provvidenziale per i nostri tempi, è stato proposto da Padre Gerardo Raul Carcar, appartenente alla Comunità dei Padri di Schönstatt, arrivato a Roma sei mesi fa dall’Argentina, e oggi vicario cooperatore della Parrocchia di San Girolamo a Corviale. Si tratta di realtà che hanno uno slancio creativo, vivono la fede e cercano nuove forme di vita per trovare una giusta collocazione missionaria nella Chiesa. Al Papa il religioso ha chiesto un consiglio su come inserirsi per sviluppare realmente un ministero di unità nella Chiesa universale. Dunque, vedo che devo essere più breve. Grazie per questa domanda. Mi sembra che Lei abbia citato le fonti essenziali di quanto posso dire sui Movimenti. In questo senso la sua domanda è anche una risposta. Vorrei subito precisare che in questi mesi ricevo i Vescovi italiani in visita « ad limina » e cosı̀ posso un po’ meglio imparare la geografia della fede in Italia. Vedo tante belle cose insieme con i problemi che conosciamo tutti. Vedo soprattutto come la fede sia ancora profondamente radicata nel cuore italiano, anche se, naturalmente, in molti modi è minacciata nelle odierne situazioni. I Movimenti accettano anche bene la mia funzione paterna di Pastore. Altri sono più critici e dicono che i Movimenti non si inseriscono. Acta Benedicti Pp. XVI 275 Penso che realmente le situazioni sono diverse, dipende tutto dalle persone in questione. Mi sembra che abbiamo due regole fondamentali, delle quali Lei ha parlato. La prima regola ce l’ha data San Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: non spegnere i carismi. Se il Signore ci dà nuovi doni dobbiamo essere grati, anche se a volte sono scomodi. Ed è una bella cosa che, senza iniziativa della gerarchia, con una iniziativa dal basso, come si dice, ma con una iniziativa anche realmente dall’Alto, cioè come dono dello Spirito Santo, nascono nuove forme di vita nella Chiesa, come del resto sono nate in tutti i secoli. Inizialmente erano sempre scomode: anche San Francesco era molto scomodo e per il Papa era molto difficile dare, finalmente, una forma canonica ad una realtà che era molto più grande dei regolamenti giuridici. Per San Francesco era un grandissimo sacrificio lasciarsi incastrare in questo scheletro giuridico, ma alla fine è nata cosı̀ una realtà che vive ancor oggi e che vivrà in futuro: essa dà forza e nuovi elementi alla vita della Chiesa. Voglio solo dire questo: in tutti i secoli sono nati Movimenti. Anche San Benedetto, inizialmente, era un Movimento. Si inseriscono nella vita della Chiesa non senza sofferenze, non senza difficoltà. San Benedetto stesso ha dovuto correggere l’iniziale direzione del monachesimo. E cosı̀ anche nel nostro secolo il Signore, lo Spirito Santo, ci ha dato nuove iniziative con nuovi aspetti della vita cristiana: vissuti da persone umane con i loro limiti, esse creano anche difficoltà. Prima regola dunque: non spegnere i carismi, essere grati anche se sono scomodi. La seconda regola è questa: la Chiesa è una; se i Movimenti sono realmente doni dello Spirito Santo, si inseriscono e servono la Chiesa e nel dialogo paziente tra Pastori e Movimenti nasce una forma feconda dove questi elementi diventano elementi edificanti per la Chiesa di oggi e di domani. Questo dialogo è a tutti i livelli. Cominciando dal parroco, dal Vescovo e dal Successore di Pietro è in corso la ricerca delle opportune strutture: in molti casi la ricerca ha già dato i suoi frutti. In altri si sta ancora studiando. ad esempio, ci si domanda se dopo cinque anni di esperimento, si debbano confermare in modo definitivo gli Statuti per il Cammino Neocatecumenale o se ancora ci voglia un tempo di esperimento o se si debbano forse un po’ ritoccare alcuni elementi di questa struttura. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 276 In ogni caso, io ho conosciuto i Neocatecumenali dall’inizio. È stato un Cammino lungo, con molte complicazioni che esistono anche oggi, ma abbiamo trovato una forma ecclesiale che ha già molto migliorato il rapporto tra il Pastore e il Cammino. E andiamo avanti cosı̀! Lo stesso vale per gli altri Movimenti. Adesso come sintesi delle due regole fondamentali direi: gratitudine, pazienza e accettazione anche delle sofferenze che sono inevitabili. Anche in un matrimonio ci sono sempre sofferenze e tensioni. E tuttavia vanno avanti e cosı̀ matura il vero amore. Lo stesso avviene nella comunità della Chiesa: abbiamo pazienza insieme. Anche i diversi livelli della gerarchia — dal parroco, al Vescovo, al Sommo Pontefice — devono avere insieme un continuo scambio di idee, devono promuovere il colloquio per trovare insieme la strada migliore. Le esperienze dei parroci sono fondamentali, ma poi anche le esperienze del Vescovo e, diciamo, la prospettiva universale del Papa hanno un proprio luogo teologico e pastorale nella Chiesa. Quindi, da una parte, questo insieme di diversi livelli della gerarchia; dall’altra, l’insieme vissuto nelle parrocchie, con pazienza e apertura, in obbedienza al Signore, crea realmente la vitalità nuova della Chiesa. Siamo grati allo Spirito Santo per i doni che ci ha dato. Siamo obbedienti alla voce dello Spirito, ma siamo anche chiari nell’integrare questi elementi nella vita: questo criterio serve, alla fine, la Chiesa concreta e cosı̀ con pazienza, con coraggio e con generosità certamente il Signore ci guiderà e ci aiuterà. Don Angelo Mangano, Parroco di San Gelasio, parrocchia affidata alla cura pastorale della Comunità « Missione Chiesa Mondo » dal 2003, ha significativamente parlato della pastorale nella festa della Cattedra di San Pietro. Ha indicato l’importanza di sviluppare una unicità tra quella che è la vita spirituale e la vita pastorale che non è un tecnica organizzativa ma coincide con la vita stessa della Chiesa. Gesù stesso si fa sintesi, ha detto il sacerdote che ha chiesto al Santo Padre come far passare nel Popolo di Dio il concetto della pastorale come vera vita della Chiesa e come fare perché la pastorale si nutra sempre più dell’ecclesiologia conciliare. Sono, mi sembra, diverse domande. Una domanda è come ispirare la parrocchia con la ecclesiologia conciliare, far vivere dai fedeli questa eccle- Acta Benedicti Pp. XVI 277 siologia; l’altra è come dobbiamo noi agire e in noi stessi rendere spirituale il lavoro pastorale. Cominciamo con quest’ultima domanda. Una certa tensione tra che cosa devo assolutamente fare e quali riserve spirituali devo avere rimane sempre. Io lo vedo sempre in Sant’Agostino che si lamenta nelle prediche. Ho già citato: io amerei tanto vivere con la Parola di Dio, ma devo dal mattino fino alla sera stare con voi. Agostino tuttavia trova questo equilibrio essendo sempre a disposizione, ma riservandosi anche momenti di preghiera, di meditazione della sacra Parola, perché altrimenti non potrebbe più dire niente. Vorrei qui, in particolare, sottolineare quanto Lei ha detto circa il fatto che la pastorale non dovrebbe mai essere una semplice strategia, un lavoro amministrativo, ma sempre restare un lavoro spirituale. Certamente anche l’altro non può totalmente mancare, perché siamo su questa terra e questi problemi ci sono: come amministrare bene i soldi ecc. Anche questo è un settore che non può essere totalmente mancante. Ma l’accento fondamentale deve essere proprio quello che l’essere pastore è in se stesso un atto spirituale. Lei ha giustamente accennato al Vangelo di Giovanni, cap. 10, dove il Signore si definisce il buon Pastore. E come primo momento definitivo, Gesù dice che il Pastore precede. Cioè Lui mostra la strada, fa prima quanto devono fare gli altri, prende prima la strada che è la strada per gli altri. Il Pastore precede. Questo vuol dire che Lui stesso vive innanzitutto la Parola di Dio: è un uomo di preghiera, è un uomo di perdono, è un uomo che riceve e celebra i Sacramenti come atti di preghiera e di incontro con il Signore. È un uomo di carità, vissuta e realizzata E cosı̀ tutti gli atti semplici di colloqui, di incontri, di tutto quanto si deve fare, diventano atti spirituali in comunione con Cristo. Il suo « pro omnibus » diventa il nostro « pro meis ». Allora precede e mi sembra che in questo precedere è già detto l’essenziale. Il capitolo 10 di San Giovanni continua poi riferendo che Gesù ci precede donando se stesso alla Croce. E questo è anche inevitabile per il sacerdote. Questo offrire se stesso è anche una partecipazione alla Croce di Cristo ed è grazie a questo che possiamo anche noi in modo credibile consolare i sofferenti, stare con i poveri, con gli emarginati, eccetera. Quindi in questo programma che Lei ha sviluppato, la spiritualizzazione del lavoro quotidiano della pastorale è fondamentale. È più facile dirlo che farlo, ma dobbiamo tentarlo. E per poter spiritualizzare il nostro lavoro, di Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 278 nuovo dobbiamo seguire il Signore. I Vangeli ci dicono che di giorno lavorava e di notte era sul monte con il Padre e pregava. Io devo qui confessare la mia debolezza. Di notte non posso pregare, vorrei dormire di notte. Ma, tuttavia, un po’ di tempo libero per il Signore ci vuole realmente: sia la celebrazione della Messa, sia la preghiera della Liturgia delle Ore e la meditazione quotidiana, anche se breve, seguendo la Liturgia, il Rosario. Ma questo colloquio personale con la Parola di Dio è importante. E solo cosı̀ possiamo avere le riserve per rispondere alle esigenze della vita pastorale. Secondo punto: Lei giustamente ha sottolineato l’ecclesiologia del Concilio. Mi sembra che dobbiamo ancora molto di più interiorizzare questa ecclesiologia, sia quella della « Lumen gentium » sia quella della « Ad gentes », che è anche un Documento ecclesiologico, sia anche quella dei Documenti minori, e poi quella della « Dei Verbum ». E interiorizzando questa visione possiamo anche attirare il nostro popolo in questa visione, che capisca che la Chiesa non è semplicemente una grande struttura, uno di questi enti sovranazionali che esistono. La Chiesa, pur essendo corpo, è corpo di Cristo e quindi un corpo spirituale, come dice San Paolo. È una realtà spirituale. Mi sembra questo molto importante: che la gente possa vedere che la Chiesa non è una organizzazione sovranazionale, non è un corpo amministrativo o di potere, non è una agenzia sociale, benché faccia un lavoro sociale e sovranazionale, ma è un corpo spirituale. Mi sembra che il nostro pregare con il popolo, l’ascoltare insieme con il popolo la Parola di Dio, celebrare con il popolo di Dio i Sacramenti, agire con Cristo nella carità ecc. Soprattutto nelle omelie dobbiamo distribuire questa visione. Mi sembra, in questo senso, l’omelia rimane un’occasione meravigliosa di essere vicino alla gente e di comunicare la spiritualità insegnata dal Concilio. E cosı̀ mi sembra che se l’omelia è cresciuta nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, è comunicazione del contenuto della Parola di Dio. Il Concilio realmente arriva alla nostra gente. Non quei frammenti della pubblicistica che hanno dato un’immagine sbagliata del Concilio. Ma la vera realtà spirituale del Concilio. E cosı̀ dobbiamo sempre e di nuovo con il Concilio e nello spirito del Concilio, interiorizzando la sua visione, imparare la Parola di Dio. Facendo questo possiamo anche comunicare con la nostra gente e cosı̀ realmente fare un lavoro pastorale e spirituale. Acta Benedicti Pp. XVI 279 Don Alberto Pacini, Rettore della Basilica di sant’Anastasia, ha parlato dell’adorazione eucaristica perpetua — in particolare della possibilità di organizzare turni notturni — ed ha chiesto al Papa di spiegare il senso e il valore della riparazione eucaristica di fronte ai furti sacrileghi e alle sette sataniche. Non parliamo più in generale dell’adorazione eucaristica, che è penetrata realmente nei nostri cuori e penetra nel cuore del popolo. Lei ha posto questa domanda specifica sulla riparazione eucaristica. È un discorso che è divenuto difficile. Mi ricordo, quando ero giovane, che nella festa del Sacro Cuore si pregava con una bella preghiera di Leone XIII e poi una di Pio XI, nella quale la riparazione aveva un posto particolare, proprio in riferimento, già a quel tempo, agli atti sacrileghi che dovevano essere riparati. Mi sembra che dobbiamo andare a fondo, arrivare al Signore stesso che ha offerto la riparazione per il peccato del mondo, e cercare di riparare: diciamo, di mettere equilibrio tra il plus del male e il plus del bene. Cosı̀, nella bilancia del mondo, non dobbiamo lasciare questo grande plus al negativo, ma dare un peso almeno equivalente al bene. Questa idea fondamentale si appoggia su quanto è stato fatto da Cristo. Questo, per quanto posso capire, è il senso del sacrificio eucaristico. Contro questo grande peso del male che esiste nel mondo e che tira giù il mondo, il Signore pone un altro peso più grande, quello dell’amore infinito che entra in questo mondo. Questo è il punto importante: Dio è sempre il bene assoluto, ma questo bene assoluto entra proprio nel gioco della storia; Cristo si rende qui presente e soffre fino in fondo il male, creando cosı̀ un contrappeso di valore assoluto. Il plus del male, che esiste sempre se vediamo solo empiricamente le proporzioni, viene superato dal plus immenso del bene, della sofferenza del Figlio di Dio. In questo senso c’è la riparazione, che è necessaria. Mi sembra che oggi sia un po’ difficile capire queste cose. Se vediamo il peso del male nel mondo, che cresce in permanenza, che sembra avere assolutamente il sopravvento nella storia, ci si potrebbe — come dice sant’Agostino in una meditazione — proprio disperare. Ma vediamo che c’è un plus ancora più grande nel fatto che Dio stesso è entrato nella storia, si è fatto partecipe della storia ed ha sofferto fino in fondo. Questo è il senso della riparazione. Questo plus del Signore è per noi una chiamata a metterci dalla sua parte, ad entrare in questo grande plus dell’amore e a renderlo presente, anche con la nostra debolezza. Sappiamo che 280 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale anche per noi c’era bisogno di questo plus, perché anche nella nostra vita c’è il male. Tutti viviamo grazie al plus del Signore. Ma Egli ci fa questo dono perché, come dice la Lettera ai Colossesi, possiamo associarci a questa sua abbondanza e, diciamo, far aumentare ancora di più questa abbondanza concretamente nel nostro momento storico. Mi sembra che la teologia dovrebbe fare di più per capire ancora meglio questa realtà della riparazione. C’erano nella storia anche idee sbagliate. Ho letto in questi giorni i discorsi teologici di san Gregorio Nazianzeno, che in un certo momento parla di questo aspetto e si chiede: a chi il Signore abbia offerto il suo sangue. Egli dice: il Padre non voleva il sangue del Figlio, il Padre non è crudele, non è necessario attribuire questo alla volontà del Padre; ma la storia lo voleva, lo volevano le necessità e gli squilibri della storia; si doveva entrare in questi squilibri e qui ricreare il vero equilibrio. Questo è proprio molto illuminante. Ma mi sembra che non abbiamo ancora sufficientemente il linguaggio per far capire questo fatto a noi e poi anche agli altri. Non si deve offrire a un Dio crudele il sangue di Dio. Ma Dio stesso, con il suo amore, deve entrare nelle sofferenze della storia per creare non solo un equilibrio, ma un plus di amore che è più forte dell’abbondanza del male che esiste. Il Signore ci invita a questo. Mi sembra una realtà tipicamente cattolica. Lutero dice: non possiamo aggiungere niente. E questo è vero. E poi dice: quindi le nostre opere non contano niente. E questo non è vero. Perché la generosità del Signore si mostra proprio nel fatto che ci invita ad entrare e dà valore anche al nostro essere con Lui. Dobbiamo imparare meglio tutto questo e sentire anche la grandezza, la generosità del Signore e la grandezza della nostra vocazione. Il Signore vuole associarci a questo suo grande plus. Se cominciamo a capirlo, saremo lieti che il Signore ci inviti a questo. Sarà la grande gioia di essere presi sul serio dall’amore del Signore. Il settimo intervento è stato quello di Don Francesco Tedeschi, docente alla Facoltà di Missiologia della Pontificia Università Urbaniana, impegnato pastoralmente nella Basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina, luogo memoriale dei nuovi martiri del XX secolo. Più che una domanda, quella di Don Tedeschi è stata una riflessione sull’esemplarità e sulla capacità attrattiva delle figure dei martiri nei confronti soprattutto dei giovani. Essi svelano la bellezza della fede Acta Benedicti Pp. XVI 281 cristiana e testimoniano dinanzi al mondo che è possibile rispondere al male con il bene fondando la propria vita sulla forza della speranza. A questa riflessione il Papa non ha voluto aggiungere ulteriori parole. Gli applausi che abbiamo sentito dimostrano che Lei stesso ci ha già dato risposte ampie... Quindi alla sua domanda potrei semplicemente rispondere: sı̀, è cosı̀ come Lei ha detto. E meditiamo le Sue parole. Successivamente Padre Krzystzof Wendlik, Vicario parrocchiale dei santi Urbano e Lorenzo a Prima Porta, ha parlato del problema del relativismo nella cultura contemporanea ed ha chiesto al Papa una parola illuminante sul rapporto tra unità di fede e pluralismo in teologia. È una grande domanda! Quando ero ancora membro della Commissione Teologica Internazionale abbiamo affrontato per un anno questo problema. Io sono stato il relatore e quindi me ne ricordo abbastanza bene. E tuttavia mi riconosco incapace di spiegare con poche parole la questione. Vorrei dire soltanto che la teologia è sempre stata molteplice. Pensiamo ai Padri, nel Medioevo la scuola francescana, la scuola domenicana, poi il tardo Medioevo e via dicendo. Come abbiamo detto, la Parola di Dio è sempre più grande di noi. Perciò non possiamo mai esaurire il raggio di questa Parola e diversi approcci, diversi tipi di riflessione sono necessari. Vorrei semplicemente dire: è importante che il teologo, da una parte, nella sua responsabilità e nella sua capacità professionale, cerchi di trovare piste che rispondano alle esigenze e alle sfide del nostro tempo; e, dall’altra, sia sempre consapevole che tutto questo è basato sulla fede della Chiesa e deve perciò sempre ritornare alla fede della Chiesa. Io penso che se un teologo sta personalmente e profondamente nella fede e capisce che il suo lavoro è riflessione sulla fede, troverà la conciliazione tra unità e pluralità. L’ultimo intervento è stato di Don Luigi Veturi, Parroco di san Giovanni Battista dei Fiorentini, il quale ha incentrato la sua domanda sul tema dell’arte sacra, chiedendo al Papa se essa non debba essere più adeguatamente valorizzata come mezzo di comunicazione della fede. La risposta potrebbe essere molto semplice: sı̀! Sono arrivato da voi con un po’ di ritardo, perché prima ho fatto visita alla Cappella Paolina, che da diversi anni è sottoposta a restauri. Mi hanno detto che dureranno ancora due Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 282 anni. Ho potuto vedere un po’ tra i ponteggi una parte di questa arte miracolosa. E vale la pena restaurarla bene, cosı̀ che risplenda di nuovo e sia una catechesi viva. Con questo volevo ricordare che l’Italia è particolarmente ricca di arte, e l’arte è un tesoro di catechesi inesauribile, incredibile. Per noi è anche un dovere conoscerla e capirla bene. Non come fanno qualche volta gli storici dell’arte, che la interpretano solo formalmente, secondo la tecnica artistica. Dobbiamo piuttosto entrare nel contenuto e far rivivere il contenuto che ha ispirato questa grande arte. Mi sembra realmente un dovere — anche nella formazione dei futuri sacerdoti — conoscere questi tesori ed essere capaci di trasformare in catechesi viva quanto è presente in essi e parla oggi a noi. Cosı̀ anche la Chiesa potrà apparire un organismo non di oppressione o di potere — come alcuni vogliono mostrare — ma di una fecondità spirituale irripetibile nella storia, o almeno, oserei dire, tale da non potersi riscontrare fuori della Chiesa Cattolica. Questo è anche un segno della vitalità della Chiesa, che, con tutte le sue debolezze e anche i suoi peccati, sempre è rimasta una grande realtà spirituale, un’ispiratrice che ci ha donato tutta questa ricchezza. Quindi è un dovere per noi entrare in questa ricchezza ed essere capaci di farci interpreti di questa arte. Ciò vale sia per l’arte pittorica e scultorea, sia per la musica sacra, che è un settore dell’arte che merita di essere vivificato. Direi che il Vangelo variamente vissuto è ancora oggi una forza ispiratrice che ci dà e ci darà arte. Ci sono anche oggi soprattutto sculture bellissime, che dimostrano che la fecondità della fede e del Vangelo non si è spenta, ci sono anche oggi composizioni musicali... Mi sembra che si possa sottolineare una situazione, diciamo, contraddittoria dell’arte, una situazione anche un po’ disperata dell’arte. Anche oggi la Chiesa ispira, perché la fede e la Parola di Dio sono inesauribili. E questo dà coraggio a noi tutti. Ci dà la speranza che anche il mondo futuro avrà nuove visioni della fede e, nello stesso tempo, la certezza che i duemila anni di arte cristiana già trascorsi sono sempre vivi e sono sempre un « oggi » della fede. Ecco, grazie per la vostra pazienza e per la vostra attenzione. Auguri per la Quaresima! Acta Benedicti Pp. XVI 283 VIII Ad Sessionem Generalem Pontificiae Academiae pro vita.* Cari fratelli e sorelle, è per me una vera gioia ricevere in questa Udienza cosı̀ affollata i Membri della Pontificia Accademia per la Vita, riuniti in occasione della XIII Assemblea Generale; e quanti hanno inteso partecipare al Congresso che ha per tema: « La coscienza cristiana a sostegno del diritto alla vita ». Saluto il Cardinale Javier Lozano Barragán, gli Arcivescovi e Vescovi presenti, i confratelli sacerdoti, i relatori del Congresso e tutti voi, convenuti da diversi Paesi. Saluto in particolare l’Arcivescovo Elio Sgreccia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ringrazio per le amabili parole rivoltemi, e per il lavoro a cui attende insieme con il Vice-Presidente, il Cancelliere e i membri del Consiglio Direttivo, per attuare i compiti delicati e vasti della Pontificia Accademia. Il tema che avete posto all’attenzione dei partecipanti, e pertanto anche della comunità ecclesiale e dell’opinione pubblica, è di grande rilevanza: la coscienza cristiana, infatti, ha una interna necessità di alimentarsi e rafforzarsi con le motivazioni molteplici e profonde che militano a favore del diritto alla vita. È un diritto che esige di essere sostenuto da tutti, perché è il diritto fondamentale in ordine agli altri diritti umani. Lo afferma con forza l’Enciclica Evangelium vitae: « Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge naturale scritta nel cuore 1 il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l’umana convivenza e la stessa comunità politica ».2 La medesima Enciclica ricorda che « questo diritto devono in modo particolare difendere e promuovere i credenti in Cristo, consapevoli della meravigliosa verità, ricordata dal Concilio Vaticano II: ‘‘con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in * Die 24 Februarii 2007. 1 2 Cfr Rm 2, 14-15. N. 2. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 284 certo modo ad ogni uomo’’.3 In questo evento di salvezza, infatti, si rivela all’umanità, non solo l’amore sconfinato di Dio, che ‘‘ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito’’,4 ma anche il valore incomparabile di ogni persona umana ».5 Continuamente, perciò, il cristiano è chiamato a mobilitarsi per far fronte ai molteplici attacchi a cui è esposto il diritto alla vita. In ciò egli sa di poter contare su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza. In questa prospettiva, soprattutto dopo la pubblicazione dell’Enciclica Evangelium vitae, molto è stato fatto perché i contenuti di tali motivazioni potessero essere meglio conosciuti nella comunità cristiana e nella società civile, ma bisogna ammettere che gli attacchi al diritto alla vita in tutto il mondo si sono estesi e moltiplicati, assumendo anche nuove forme. Sono sempre più forti le pressioni per la legalizzazione dell’aborto nei Paesi dell’America Latina e nei Paesi in via di sviluppo, anche con il ricorso alla liberalizzazione delle nuove forme di aborto chimico sotto il pretesto della salute riproduttiva: si incrementano le politiche del controllo demografico, nonostante che siano ormai riconosciute come perniciose anche sul piano economico e sociale. Nello stesso tempo, nei Paesi più sviluppati cresce l’interesse per la ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del « figlio perfetto », con la diffusione della procreazione artificiale e di varie forme di diagnosi tendenti ad assicurarne la selezione. Una nuova ondata di eugenetica discriminatoria trova consensi in nome del presunto benessere degli individui e, specie nel mondo economicamente progredito, si promuovono leggi per legalizzare l’eutanasia. Tutto questo avviene mentre, su un altro versante, si moltiplicano le spinte per la legalizzazione di convivenze alternative al matrimonio e chiuse alla procreazione naturale. In queste situazioni la coscienza, talora sopraffatta dai mezzi di pressione collettiva, non dimostra sufficiente vigilanza circa la gravità dei problemi in gioco, e il potere dei più forti indebolisce e sembra paralizzare anche le persone di buona volontà. 3 4 5 Gaudium et spes, 22. Gv 3, 16. Ibid. Acta Benedicti Pp. XVI 285 Per questo è ancor più necessario l’appello alla coscienza e, in particolare, alla coscienza cristiana. « La coscienza, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, è un giudizio della ragione mediante il quale la persona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre, sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l’uomo ha il dovere di seguire ciò che sa essere giusto e retto ».6 Da questa definizione emerge che la coscienza morale, per essere in grado di guidare rettamente la condotta umana, deve anzitutto basarsi sul solido fondamento della verità, deve cioè essere illuminata per riconoscere il vero valore delle azioni e la consistenza dei criteri di valutazione, cosı̀ da sapere distinguere il bene dal male, anche laddove l’ambiente sociale, il pluralismo culturale e gli interessi sovrapposti non aiutino a ciò. La formazione di una coscienza vera, perché fondata sulla verità, e retta, perché determinata a seguirne i dettami, senza contraddizioni, senza tradimenti e senza compromessi, è oggi un’impresa difficile e delicata, ma imprescindibile. Ed è un’impresa ostacolata, purtroppo, da diversi fattori. Anzitutto, nell’attuale fase della secolarizzazione chiamata post-moderna e segnata da discutibili forme di tolleranza, non solo cresce il rifiuto della tradizione cristiana, ma si diffida anche della capacità della ragione di percepire la verità ci si allontana dal gusto della riflessione. Addirittura, secondo alcuni, la coscienza individuale, per essere libera, dovrebbe disfarsi sia dei riferimenti alle tradizioni, sia di quelli basati sulla ragione. Cosı̀ la coscienza, che è atto della ragione mirante alla verità delle cose, cessa di essere luce e diventa un semplice sfondo su cui la società dei media getta le immagini e gli impulsi più contraddittori. Occorre rieducare al desiderio della conoscenza della verità autentica, alla difesa della propria libertà di scelta di fronte ai comportamenti di massa e alle lusinghe della propaganda, per nutrire la passione della bellezza morale e della chiarezza della coscienza. Questo è compito delicato dei genitori e degli educatori che li affiancano; ed è compito della comunità cristiana nei confronti dei suoi fedeli. Per quanto concerne la coscienza cristiana, la sua crescita e il suo nutrimento, non ci si può accontentare di un fugace contatto con le principali verità di fede nell’infanzia, ma occorre un cammino che accom6 N. 1778. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 286 pagni le varie tappe della vita, dischiudendo la mente ed il cuore ad accogliere i fondamentali doveri su cui poggia l’esistenza sia del singolo che della comunità. Solo cosı̀ sarà possibile avviare i giovani a comprendere i valori della vita, dell’amore, del matrimonio, della famiglia. Solo cosı̀ si potrà portarli ad apprezzare la bellezza e la santità dell’amore, la gioia e la responsabilità di essere genitori e collaboratori di Dio nel dare la vita. In mancanza di una formazione continua e qualificata, diventa ancor più problematica la capacità di giudizio nei problemi posti dalla biomedicina in materia di sessualità, di vita nascente, di procreazione, come anche nel modo di trattare e curare i pazienti e le fasce deboli della società. È certamente necessario parlare dei criteri morali che riguardano questi temi con professionisti, medici e giuristi, per impegnarli ad elaborare un competente giudizio di coscienza, e, nel caso, anche una coraggiosa obiezione di coscienza, ma una pari urgenza insorge a livello di base, per le famiglie e le comunità parrocchiali, nel processo di formazione della gioventù e degli adulti. Sotto questo aspetto, accanto alla formazione cristiana, finalizzata alla conoscenza della Persona di Cristo, della sua Parola e dei Sacramenti, nell’itinerario di fede dei fanciulli e degli adolescenti occorre unire coerentemente il discorso sui valori morali che riguardano la corporeità, la sessualità, l’amore umano, la procreazione, il rispetto per la vita in tutti i momenti, denunciando nel contempo con validi e precisi motivi, i comportamenti contrari a questi valori primari. In questo specifico campo l’opera dei sacerdoti dovrà essere opportunamente coadiuvata dall’impegno di laici educatori, anche specialisti, dediti al compito di guidare le realtà ecclesiali con la loro scienza illuminata dalla fede. Prego, pertanto, il Signore perché mandi fra voi, cari fratelli e sorelle, e fra quanti si dedicano alla scienza, alla medicina, al diritto, alla politica, dei testimoni forniti di coscienza vera e retta, per difendere e promuovere lo « splendore della verità » a sostegno del dono e del mistero della vita. Confido nel vostro aiuto, carissimi professionisti, filosofi, teologi, scienziati e medici. In una società talora chiassosa e violenta, con la vostra qualificazione culturale, con l’insegnamento e con l’esempio, potete contribuire a risvegliare in molti cuori la voce eloquente e chiara della coscienza. « L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio nel suo cuore — ci ha insegnato il Concilio Vaticano II —; ubbidire ad essa è la dignità stessa dell’uomo e, secondo questa, egli sarà giudicato ».7 Il Concilio ha offerto sa7 Gaudium et spes, 16. Acta Benedicti Pp. XVI 287 pienti indirizzi perché « i laici imparino a distinguere accuratamente diritti e doveri che spettano loro in quanto membri della Chiesa da quelli che competono loro in quanto membri della società umana » e « perché imparino ad armonizzarli fra loro, ricordando che in ogni cosa temporale, devono lasciarsi guidare dalla coscienza cristiana, perché nessuna attività umana, nemmeno temporale, può sottrarsi a Dio ».8 Per questa stessa ragione il Concilio esorta i laici credenti ad accogliere « quanto i pastori decidono come maestri e capi della Chiesa » e, d’altro canto, raccomanda « che i pastori riconoscano e promuovano la dignità e responsabilità dei laici nella Chiesa, si servano volentieri del loro prudente consiglio » e conclude che « da tali rapporti familiari tra laici e pastori si devono attendere molti vantaggi nella Chiesa ».9 Quando è in gioco il valore della vita umana, questa armonia tra funzione magisteriale e impegno laicale diventa singolarmente importante: la vita è il primo dei beni ricevuti da Dio ed è fondamento di tutti gli altri; garantire il diritto alla vita a tutti e in maniera uguale per tutti è dovere dal cui assolvimento dipende il futuro dell’umanità. Emerge anche da questa angolatura l’importanza di questo vostro incontro di studio. Ne affido i lavori ed i risultati all’intercessione della Vergine Maria, che la tradizione cristiana saluta come la vera « Madre di tutti i viventi ». Sia Lei ad assistervi e a guidarvi! A suggello di questo auspicio, desidero impartire a tutti voi, ai vostri familiari e collaboratori l’Apostolica Benedizione. IX Ad Sessionem Plenariam Pontificii Consilii de Communicationibus Socialibus.* Your Eminences, Dear Brother Bishops, Dear Brothers and Sisters in Christ, I am glad to welcome you to the Vatican today on the occasion of the annual Plenary Assembly of the Pontifical Council for Social Communications. My thanks go firstly to Archbishop Foley, President of the Council, for 8 9 Lumen gentium, 36. Lumen gentium, 38. ——————— * Die 10 Martii 2007. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 288 his kind introductory comments. To all of you, I wish to express my gratitude for your commitment to the apostolate of social communications, the importance of which cannot be underestimated in our increasingly technological world. The field of social communications is fast-changing. While the print media struggles to maintain circulation, other forms of media such as radio, television and the internet are developing at an extraordinary rate. Against the backdrop of globalization, this ascendancy of the electronic media coincides with its increasing concentration in the hands of a few multinational conglomerates whose influence crosses all social and cultural boundaries. What have been the outcomes and effects of this rise in the media and entertainment industries? I know this question is one that commands your close attention. Indeed, given the media’s pervasive role in shaping culture, it concerns all people who take seriously the well-being of civic society. Undoubtedly much of great benefit to civilization is contributed by the various components of the mass media. One need only think of quality documentaries and news services, wholesome entertainment, and thoughtprovoking debates and interviews. Furthermore, in regard to the internet it must be duly recognised that it has opened up a world of knowledge and learning that previously for many could only be accessed with difficulty, if at all. Such contributions to the common good are to be applauded and encouraged. On the other hand, it is also readily apparent that much of what is transmitted in various forms to the homes of millions of families around the world is destructive. By directing the light of Christ’s truth upon such shadows the Church engenders hope. Let us strengthen our efforts to encourage all to place the lit lamp on the lamp-stand where it shines for everyone in the home, the school, and society! 1 In this regard, my message for this year’s World Communications Day draws attention to the relationship between the media and young people. My concerns are no different from those of any mother or father, or teacher, or responsible citizen. We all recognise that “beauty, a kind of mirror of the divine, inspires and vivifies young hearts and minds, while ugliness and 1 Cfr Mt 5:14-16. Acta Benedicti Pp. XVI 289 coarseness have a depressing impact on attitudes and behaviour”.2 The responsibility to introduce and educate children and young people into the ways of beauty, truth and goodness is therefore a grave one. It can be supported by media conglomerates only to the extent that they promote fundamental human dignity, the true value of marriage and family life, and the positive achievements and goals of humanity. I appeal again to the leaders of the media industry to advise producers to safeguard the common good, to uphold the truth, to protect individual human dignity and promote respect for the needs of the family. And in encouraging all of you gathered here today, I am confident that care will be taken to ensure that the fruits of your reflections and study are effectively shared with particular Churches through parish, school and diocesan structures. To all of you, your colleagues and the members of your families at home I impart my Apostolic Blessing. X Ad Plenariam Sessionem Pontificii Consilii pro Pastorali Valetudinis cura.* Signor Cardinale, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Sono lieto di accogliervi, in occasione della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Rivolgo il mio cordiale saluto a ciascuno di voi, venuti da varie parti del mondo, quali valide espressioni dell’impegno delle Chiese particolari, degli Istituti di Vita Consacrata e delle numerose opere della comunità cristiana in campo sanitario. Ringrazio il Cardinale Javier Lozano Barragán, Presidente del Dicastero, per le cortesi parole con cui si è fatto interprete dei comuni sentimenti, illustrandomi gli obiettivi che al momento sono oggetto del vostro lavoro. Saluto con riconoscenza il Segretario, il Sotto-Segretario, gli Officiali e i Consultori presenti, e gli altri collaboratori. 2 N. 2. ———————— * Die 22 Martii 2007. 290 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Questa vostra riunione non si propone di approfondire uno specifico tema, bensı̀ di verificare lo stato di attuazione del programma da voi precedentemente stabilito e di determinare conseguentemente gli obiettivi futuri. Incontrarvi, perciò, in una circostanza come l’attuale, mi dà la gioia, per cosı̀ dire, di far sentire a ciascuno di voi la concreta vicinanza del Successore di Pietro e, per il suo tramite, dell’intero Collegio episcopale nel vostro servizio ecclesiale. La pastorale della salute è infatti un ambito squisitamente evangelico, che richiama immediatamente l’opera di Gesù, buon Samaritano dell’umanità. Quando passava attraverso i villaggi della Palestina annunciando la buona novella del Regno di Dio, Egli accompagnava sempre la predicazione con i segni che compiva sui malati, guarendo tutti coloro che erano prigionieri di ogni sorta di malattie e di infermità. La salute dell’uomo, di tutto l’uomo, è stato il segno che Cristo ha prescelto per manifestare la prossimità di Dio, il suo amore misericordioso che risana lo spirito, l’anima e il corpo. Questo, cari amici, sia sempre il riferimento fondamentale di ogni vostra iniziativa: la sequela di Cristo, che i Vangeli ci presentano quale « medico » divino. È questa prospettiva biblica che valorizza il principio etico naturale del dovere della cura del malato, in base al quale ogni esistenza umana va difesa secondo le particolari difficoltà in cui si trova e secondo le nostre possibilità concrete di aiuto. Soccorrere l’essere umano è un dovere sia in risposta a un diritto fondamentale della persona, sia perché la cura degli individui ridonda a beneficio della collettività. La scienza medica progredisce in quanto accetta di rimettere sempre in discussione la diagnosi e il metodo di cura, nel presupposto che i precedenti dati acquisiti e i presunti limiti possano essere superati. Del resto, la stima e la fiducia nei confronti del personale sanitario sono proporzionati alla certezza che tali difensori di ufficio della vita non disprezzeranno mai un’esistenza umana, per quanto menomata, e sapranno sempre incoraggiare tentativi di cura. L’impegno della cura va quindi esteso ad ogni essere umano, nell’intento di coprire l’intera sua esistenza. Il concetto moderno di cura sanitaria è, infatti, la promozione umana: dalla cura del malato alla cura preventiva, con la ricerca del maggiore sviluppo umano, favorendo un adeguato ambiente familiare e sociale. Questa prospettiva etica, basata sulla dignità della persona umana e sui diritti e doveri fondamentali ad essa connessi, viene confermata e potenziata dal comandamento dell’amore, centro del messaggio cristiano. Gli operatori Acta Benedicti Pp. XVI 291 sanitari cristiani, pertanto, sanno bene che vi è un legame strettissimo e indissolubile tra la qualità del loro servizio professionale e la virtù della carità alla quale Cristo li chiama: è proprio nel compiere bene il loro lavoro che essi portano alle persone la testimonianza dell’amore di Dio. La carità come compito della Chiesa, che ho fatto oggetto di riflessione nella mia Enciclica Deus caritas est, trova un’attuazione particolarmente significativa nella cura dei malati. Lo attesta la storia della Chiesa, con innumerevoli testimonianze di uomini e donne che, in forma sia individuale che associata, hanno operato in questo campo. Perciò, tra i Santi che hanno esercitato in modo esemplare la carità, ho potuto menzionare nell’Enciclica figure emblematiche come quelle di Giovanni di Dio, di Camillo de Lellis e del Cottolengo, che hanno servito Cristo povero e sofferente nelle persone dei malati. Cari fratelli e sorelle, permettetemi dunque di riconsegnarvi idealmente oggi le riflessioni che ho proposto nell’Enciclica con i relativi orientamenti pastorali sul servizio caritativo della Chiesa quale « comunità d’amore ». E all’Enciclica posso ora aggiungere anche l’Esortazione apostolica post-sinodale da poco pubblicata, che tratta in modo ampio e articolato dell’Eucaristia quale « Sacramento della carità ». È proprio dall’Eucaristia che la pastorale della salute può continuamente attingere la forza per soccorrere efficacemente l’uomo e promuoverlo secondo la dignità che gli è propria. Negli ospedali e nelle case di cura, la Cappella è il cuore pulsante in cui Gesù si offre incessantemente al Padre celeste per la vita dell’umanità. L’Eucaristia, distribuita decorosamente e con spirito di preghiera ai malati, è la linfa vitale che li conforta e infonde nel loro animo luce interiore per vivere con fede e con speranza la condizione di infermità e di sofferenza. Vi affido, dunque, anche questo recente documento: fatelo vostro, applicatelo al campo della pastorale della salute, traendone indicazioni spirituali e pastorali appropriate. Mentre vi auguro ogni bene per i vostri lavori di questi giorni, li accompagno con un particolare ricordo nella preghiera, invocando la materna protezione di Maria Santissima, Salus infirmorum, e con la Benedizione Apostolica, che imparto di cuore a voi qui presenti, a quanti collaborano con voi nelle rispettive sedi e a tutti i vostri cari. 292 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale XI Ad Commissionem Episcopatuum Communitatis Europaeae (COMECE).* Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato, Onorevoli Parlamentari, Gentili Signore e Signori! Sono particolarmente lieto di ricevervi cosı̀ numerosi in questa Udienza, che si svolge alla vigilia del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, avvenuta il 25 marzo 1957. Si compiva allora una tappa importante per l’Europa, uscita stremata dal secondo conflitto mondiale e desiderosa di costruire un futuro di pace e di maggiore benessere economico e sociale, senza dissolvere o negare le diverse identità nazionali. Saluto Mons. Adrianus Herman van Luyn, Vescovo di Rotterdam, Presidente della Commissione degli Episcopati della Comunità Europea, e lo ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto. Saluto gli altri Presuli, le distinte personalità e quanti prendono parte al Convegno promosso in questi giorni dalla COMECE per riflettere sull’Europa. Dal marzo di cinquant’anni or sono, questo Continente ha percorso un lungo cammino, che ha condotto alla riconciliazione dei due « polmoni » — l’Oriente e l’Occidente — legati da una storia comune, ma arbitrariamente separati da una cortina d’ingiustizia. L’integrazione economica ha stimolato quella politica e ha favorito la ricerca, ancora faticosamente in corso, di una struttura istituzionale adeguata per un’Unione Europea che, ormai, conta 27 Paesi ed aspira a diventare nel mondo un attore globale. In questi anni si è avvertita sempre più l’esigenza di stabilire un sano equilibrio fra la dimensione economica e quella sociale, attraverso politiche capaci di produrre ricchezza e d’incrementare la competitività, senza tuttavia trascurare le legittime attese dei poveri e degli emarginati. Sotto il profilo demografico, si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia. Ciò, oltre a mettere a rischio la crescita economica, può anche causare enormi difficoltà alla coesio* Die 24 Martii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 293 ne sociale e, soprattutto, favorire un pericoloso individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro. Si potrebbe quasi pensare che il Continente europeo stia di fatto perdendo fiducia nel proprio avvenire. Inoltre, per quanto riguarda, ad esempio, il rispetto dell’ambiente oppure l’ordinato accesso alle risorse ed agli investimenti energetici, la solidarietà viene incentivata a fatica, non soltanto nell’ambito internazionale ma anche in quello strettamente nazionale. Il processo stesso di unificazione europea si rivela non da tutti condiviso, per l’impressione diffusa che vari « capitoli » del progetto europeo siano stati « scritti » senza tener adeguato conto delle attese dei cittadini. Da tutto ciò emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica « casa comune » europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo cosı̀ un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come « fermento » di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il « vecchio » Continente continuare a svolgere la funzione di « lievito » per il mondo intero? Se, in occasione del 50º dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano « avvicinarsi » ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce a porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di « apostasia » da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la « ponderazione dei beni » sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogniqualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo. Una comunità che si costruisce senza rispettare l’autentica dignità dell’essere umano, dimenticando che ogni persona è creata ad immagine di Dio, Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 294 finisce per non fare il bene di nessuno. Ecco perché appare sempre più indispensabile che l’Europa si guardi da quell’atteggiamento pragmatico, oggi largamente diffuso, che giustifica sistematicamente il compromesso sui valori umani essenziali, come se fosse l’inevitabile accettazione di un presunto male minore. Tale pragmatismo, presentato come equilibrato e realista, in fondo tale non è, proprio perché nega quella dimensione valoriale ed ideale, che è inerente alla natura umana. Quando, poi, su un tale pragmatismo si innestano tendenze e correnti laicistiche e relativistiche, si finisce per negare ai cristiani il diritto stesso d’intervenire come tali nel dibattito pubblico o, per lo meno, se ne squalifica il contributo con l’accusa di voler tutelare ingiustificati privilegi. Nell’attuale momento storico e di fronte alle molte sfide che lo segnano, l’Unione Europea per essere valida garante dello stato di diritto ed efficace promotrice di valori universali, non può non riconoscere con chiarezza l’esistenza certa di una natura umana stabile e permanente, fonte di diritti comuni a tutti gli individui, compresi coloro stessi che li negano. In tale contesto, va salvaguardato il diritto all’obiezione di coscienza, ogniqualvolta i diritti umani fondamentali fossero violati. Cari amici, so quanto difficile sia per i cristiani difendere strenuamente questa verità dell’uomo. Non stancatevi però e non scoraggiatevi! Voi sapete di avere il compito di contribuire a edificare con l’aiuto di Dio una nuova Europa, realistica ma non cinica, ricca d’ideali e libera da ingenue illusioni, ispirata alla perenne e vivificante verità del Vangelo. Per questo siate presenti in modo attivo nel dibattito pubblico a livello europeo, consapevoli che esso fa ormai parte integrante di quello nazionale, ed affiancate a tale impegno un’efficace azione culturale. Non piegatevi alla logica del potere fine a se stesso! Vi sia di costante stimolo e sostegno l’ammonimento di Cristo: se il sale perde il suo sapore a null’altro serve che ad essere buttato via e calpestato.1 Il Signore renda fecondo ogni vostro sforzo e vi aiuti a riconoscere e valorizzare gli elementi positivi presenti nell’odierna civiltà, denunciando però con coraggio tutto ciò che è contrario alla dignità dell’uomo. Sono certo che Iddio non mancherà di benedire lo sforzo generoso di quanti, con spirito di servizio, operano per costruire una casa comune europea dove ogni apporto culturale, sociale e politico sia finalizzato al bene 1 Cfr Mt 5, 13. Acta Benedicti Pp. XVI 295 comune. A voi, già coinvolti in diversi modi in tale importante impresa umana ed evangelica, esprimo il mio sostegno e rivolgo il mio più vivo incoraggiamento. Soprattutto vi assicuro un ricordo nella preghiera e, mentre invoco la materna protezione di Maria, Madre del Verbo incarnato, imparto di cuore a voi ed alle vostre famiglie e comunità la mia affettuosa Benedizione. NUNTII SCRIPTO DATI I Occasione XXII Diei Internationalis Iuventuti dicati.* Cari giovani, in occasione della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, che sarà celebrata nelle Diocesi la prossima Domenica delle Palme, vorrei proporre alla vostra meditazione le parole di Gesù: « Come io vi ho amato, cosı̀ amatevi anche voi gli uni gli altri ».1 È possibile amare? Ogni persona avverte il desiderio di amare e di essere amata. Eppure quant’è difficile amare, quanti errori e fallimenti devono registrarsi nell’amore! C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma se carenze affettive o delusioni sentimentali possono far pensare che amare sia un’utopia, un sogno irraggiungibile, bisogna forse rassegnarsi? No! L’amore è possibile e scopo di questo mio messaggio è di contribuire a ravvivare in ciascuno di voi, che siete il futuro e la speranza dell’umanità, la fiducia nell’amore vero, fedele e forte; un amore che genera pace e gioia; un amore che lega le persone, facendole sentire libere nel reciproco rispetto. Lasciate allora che percorra insieme a voi un itinerario, in tre momenti, alla « scoperta » dell’amore. * Die 27 Ianuarii 2007. 1 Gv 13, 34. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 296 Dio, sorgente dell’amore Il primo momento riguarda la sorgente dell’amore vero, che è unica: è Dio. Lo pone bene in evidenza san Giovanni affermando che « Dio è amore »; 2 ora egli non vuol dire solo che Dio ci ama, ma che l’essere stesso di Dio è amore. Siamo qui dinanzi alla rivelazione più luminosa della fonte dell’amore che è il mistero trinitario: in Dio, uno e trino, vi è un eterno scambio d’amore tra le persone del Padre e del Figlio, e questo amore non è un’energia o un sentimento, ma una persona, è lo Spirito Santo. La Croce di Cristo rivela pienamente l’amore di Dio Come si manifesta a noi Dio-Amore? Siamo qui al secondo momento del nostro itinerario. Anche se già nella creazione sono chiari i segni dell’amore divino, la rivelazione piena del mistero intimo di Dio è avvenuta con l’Incarnazione, quando Dio stesso si è fatto uomo. In Cristo, vero Dio e vero Uomo, abbiamo conosciuto l’amore in tutta la sua portata. Infatti « la vera novità del Nuovo Testamento — ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est — non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà carne e sangue ai concetti — un realismo inaudito ».3 La manifestazione dell’amore divino è totale e perfetta nella Croce, dove, come afferma san Paolo, « Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi ».4 Ognuno di noi può pertanto dire senza tema di sbagliare: « Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me ».5 Redenta dal suo sangue, nessuna vita umana è inutile o di poco valore, perché tutti siamo amati personalmente da Lui con un amore appassionato e fedele, un amore senza limiti. La Croce, follia per il mondo, scandalo per molti credenti, è invece « sapienza di Dio » per quanti si lasciano toccare fin nel profondo del proprio essere, « perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini ».6 Anzi, il Crocifisso, che dopo la risurrezione porta per sempre i segni della propria passione, mette in luce le « contraffazioni » e le menzogne su Dio, che si ammantano di violenza, di vendetta e di esclusione. Cristo è l’Agnello di Dio, che prende su di sé il peccato del mondo e sradica l’odio dal cuore dell’uomo. Ecco la sua veritiera « rivoluzione »: l’amore. 2 3 4 5 6 1 Gv 4, 8.16. N. 12. Rm 5, 8. Cfr Ef 5, 2. 1 Cor 1, 24-25. Acta Benedicti Pp. XVI 297 Amare il prossimo come Cristo ci ama Ed eccoci ora al terzo momento della nostra riflessione. Sulla croce Cristo grida: « Ho sete »: 7 rivela cosı̀ un’ardente sete di amare e di essere amato da ognuno di noi. Solo se arriviamo a percepire la profondità e l’intensità di un tale mistero, ci rendiamo conto della necessità e dell’urgenza di amarlo a nostra volta « come » Lui ci ha amati. Questo comporta l’impegno di dare anche, se necessario, la propria vita per i fratelli sostenuti dall’amore di Lui. Già nell’Antico Testamento Dio aveva detto: « Amerai il tuo prossimo come te stesso »,8 ma la novità di Cristo consiste nel fatto che amare come Lui ci ha amati significa amare tutti, senza distinzioni, anche i nemici, « fino alla fine ».9 Testimoni dell’amore di Cristo Vorrei ora soffermarmi su tre ambiti della vita quotidiana dove voi, cari giovani, siete particolarmente chiamati a manifestare l’amore di Dio. Il primo ambito è la Chiesa che è la nostra famiglia spirituale, composta da tutti i discepoli di Cristo. Memori delle sue parole: « Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri »,10 alimentate, con il vostro entusiasmo e la vostra carità, le attività delle parrocchie, delle comunità, dei movimenti ecclesiali e dei gruppi giovanili ai quali appartenete. Siate solleciti nel cercare il bene dell’altro, fedeli agli impegni presi. Non esitate a rinunciare con gioia ad alcuni vostri svaghi, accettate di buon animo i sacrifici necessari, testimoniate il vostro amore fedele per Gesù annunciando il suo Vangelo specialmente fra i vostri coetanei. Prepararsi al futuro Il secondo ambito, dove siete chiamati ad esprimere l’amore e a crescere in esso, è la vostra preparazione al futuro che vi attende. Se siete fidanzati, Dio ha un progetto di amore sul vostro futuro di coppia e di famiglia ed è quindi essenziale che voi lo scopriate con l’aiuto della Chiesa, liberi dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga 7 8 9 10 Gv 19, 28. Lv 19, 18. Gv 13, 1. Gv 13, 35. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 298 ostacoli alla gioia dell’amore ed impedisca in particolare di gustare pienamente quella felicità che l’uomo e la donna cercano nel loro reciproco amore. L’amore dell’uomo e della donna è all’origine della famiglia umana e la coppia formata da un uomo e da una donna ha il suo fondamento nel disegno originario di Dio.11 Imparare ad amarsi come coppia è un cammino meraviglioso, che tuttavia richiede un tirocinio impegnativo. Il periodo del fidanzamento, fondamentale per costruire la coppia, è un tempo di attesa e di preparazione, che va vissuto nella castità dei gesti e delle parole. Ciò permette di maturare nell’amore, nella premura e nell’attenzione verso l’altro; aiuta ad esercitare il dominio di sé, a sviluppare il rispetto dell’altro, caratteristiche tutte del vero amore che non ricerca in primo luogo il proprio soddisfacimento né il proprio benessere. Nella preghiera comune chiedete al Signore che custodisca ed incrementi il vostro amore e lo purifichi da ogni egoismo. Non esitate a rispondere generosamente alla chiamata del Signore, perché il matrimonio cristiano è una vera e propria vocazione nella Chiesa. Ugualmente, cari giovani e care ragazze, siate pronti a dire « sı̀ », se Iddio vi chiama a seguirlo sulla via del sacerdozio ministeriale o della vita consacrata. Il vostro esempio sarà di incoraggiamento per molti altri vostri coetanei, che sono alla ricerca della vera felicità. Crescere nell’amore ogni giorno Il terzo ambito dell’impegno che l’amore comporta è quello della vita quotidiana con le sue molteplici relazioni. Mi riferisco segnatamente alla famiglia, alla scuola, al lavoro e al tempo libero. Cari giovani, coltivate i vostri talenti non soltanto per conquistare una posizione sociale, ma anche per aiutare gli altri « a crescere ». Sviluppate le vostre capacità, non solo per diventare più « competitivi » e « produttivi », ma per essere « testimoni della carità ». Alla formazione professionale unite lo sforzo di acquisire conoscenze religiose utili per poter svolgere la vostra missione in maniera responsabile. In particolare, vi invito ad approfondire la dottrina sociale della Chiesa, perché dai suoi principi sia ispirata ed illuminata la vostra azione nel mondo. Lo Spirito Santo vi renda inventivi nella carità, perseveranti negli impegni che assumete, e audaci nelle vostre iniziative, perché possiate offrire il vostro 11 Cfr Gn 2, 18-25. Acta Benedicti Pp. XVI 299 contributo per l’edificazione della « civiltà dell’amore ». L’orizzonte dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero! « Osare l’amore » seguendo l’esempio dei santi Cari giovani, vorrei invitarvi a « osare l’amore », a non desiderare cioè niente di meno per la vostra vita che un amore forte e bello, capace di rendere l’esistenza intera una gioiosa realizzazione del dono di voi stessi a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Colui che mediante l’amore ha vinto per sempre l’odio e la morte.12 L’amore è la sola forza in grado di cambiare il cuore dell’uomo e l’umanità intera, rendendo proficue le relazioni tra uomini e donne, tra ricchi e poveri, tra culture e civiltà. Questo testimonia la vita dei Santi che, veri amici di Dio, sono il canale e il riflesso di questo amore originario. Impegnatevi a conoscerli meglio, affidatevi alla loro intercessione, cercate di vivere come loro. Mi limito a citare Madre Teresa che, per affrettarsi a rispondere al grido di Cristo « Ho sete », grido che l’aveva profondamente toccata, iniziò a raccogliere i moribondi nelle strade di Calcutta, in India. Da allora l’unico desiderio della sua vita divenne quello di estinguere la sete d’amore di Gesù non a parole, ma con atti concreti, riconoscendone il volto sfigurato, assetato d’amore, nel viso dei più poveri tra i poveri. La Beata Teresa ha messo in pratica l’insegnamento del Signore: « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me ».13 E il messaggio di questa umile testimone dell’amore divino si è diffuso nel mondo intero. Il segreto dell’amore Ad ognuno di noi, cari amici, è dato di raggiungere questo stesso grado di amore, ma solo ricorrendo all’indispensabile sostegno della Grazia divina. Soltanto l’aiuto del Signore ci consente, infatti, di sfuggire alla rassegnazione davanti all’enormità del compito da svolgere e ci infonde il coraggio di realizzare quanto è umanamente impensabile. Il contatto con il Signore nella preghiera ci mantiene nell’umiltà, ricordandoci che siamo « servi inutili ».14 12 13 14 Cfr Ap 5, 13. Mt 25, 40. Lc 17, 10. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 300 Soprattutto l’Eucaristia è la grande scuola dell’amore. Quando si partecipa regolarmente e con devozione alla Santa Messa, quando si passano in compagnia di Gesù eucaristico prolungate pause di adorazione è più facile capire la lunghezza, la larghezza, l’altezza e la profondità del suo amore che sorpassa ogni conoscenza.15 Condividendo il Pane eucaristico con i fratelli della comunità ecclesiale si è poi spinti a tradurre « in fretta », come fece la Vergine con Elisabetta, l’amore di Cristo in generoso servizio ai fratelli. Verso l’incontro di Sidney Illuminante è al riguardo l’esortazione dell’apostolo Giovanni: « Figlioli, non amiamo a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità ».16 Cari giovani, è con questo spirito che vi invito a vivere la prossima Giornata Mondiale della Gioventù insieme con i vostri Vescovi nelle vostre rispettive Diocesi. Essa rappresenterà una tappa importante verso l’incontro di Sydney, il cui tema sarà: « Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni ».17 Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, vi aiuti a far risuonare ovunque il grido che ha cambiato il mondo: « Dio è amore! ». Vi accompagno con la preghiera e di cuore vi benedico. Dal Vaticano, 27 Gennaio 2007. BENEDICTUS PP. XVI II Millesimo recurrente anno a natali die Sancti Petri Damiani.* Al Rev.do P. Guido Innocenzo Gargano Superiore del Monastero di San Gregorio al Celio L’odierna festa di san Pier Damiani mi offre la gradita occasione di indirizzare un cordiale saluto a tutti i membri del benemerito Ordine dei Camal15 Cfr Ef 3, 17-18. 1 Gv 3, 18-19. 17 At 1, 8. ——————— 16 * Die 20 Februarii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 301 dolesi, come pure a coloro che con ammirazione si ispirano alla figura e all’opera di questo grande testimone del Vangelo, che fu uno dei protagonisti della storia ecclesiastica medievale e lo scrittore senza dubbio più fecondo del secolo XI. La ricorrenza millenaria della sua nascita costituisce un’occasione quanto mai opportuna per approfondire gli aspetti caratterizzanti della sua poliedrica personalità di studioso, di eremita, di uomo di Chiesa, ma soprattutto di innamorato di Cristo. Nella sua esistenza san Pier Damiani mostra una felice sintesi fra la vita eremitica e l’attività pastorale. Come eremita incarna quella radicalità evangelica e quell’amore senza riserve per Cristo, tanto felicemente espressi nella Regola di San Benedetto: « Nulla, assolutamente nulla, anteporre all’amore di Cristo ». Come uomo di Chiesa, operò con lungimirante saggezza compiendo, quando necessario, anche scelte ardite e coraggiose. Nella tensione fra la vita eremitica e gli impegni ecclesiali, è racchiusa l’intera sua vicenda umana e spirituale. San Pier Damiani fu anzitutto un eremita, anzi l’ultimo teorizzatore della vita eremitica nella Chiesa latina, nel momento stesso in cui si consumava lo scisma tra Oriente e Occidente. Nell’interessante sua opera intitolata Vita Beati Romualdi, egli ci ha lasciato uno dei frutti più significativi dell’esperienza monastica della Chiesa indivisa. Per lui la vita eremitica costituisce un forte richiamo per tutti i cristiani al primato di Cristo e alla sua signoria. È un invito a scoprire l’amore che Cristo, a partire dal suo rapporto con il Padre, ha per la Chiesa; amore che a sua volta l’eremita deve nutrire con, per e in Cristo, nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Avvertı̀ cosı̀ forte la presenza della Chiesa universale nella vita eremitica da scrivere nel trattato ecclesiologico, intitolato Dominus vobiscum, che la Chiesa è al tempo stesso una in tutti e tutta in ciascuno dei suoi membri. Questo grande Santo eremita fu anche eminente uomo di Chiesa, che si rese disponibile a muoversi dall’eremo per recarsi dovunque si rendesse necessaria la sua presenza per mediare fra contendenti, fossero essi ecclesiastici, monaci o semplici fedeli. Pur radicalmente concentrato sull’unum necessarium, non si sottraeva alle esigenze pratiche che l’amore per la Chiesa gli imponeva. Era spinto dal desiderio che la comunità ecclesiale si mostrasse sempre come sposa santa e immacolata, pronta per il suo celeste Sposo, ed esprimeva con vivace ars oratoria il suo zelo sincero e disinteressato per la santità della Chiesa. Dopo ogni missione ecclesiastica rientrava però nella Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 302 pace dell’eremo di Fonte Avellana e, libero da ogni ambizione, giunse persino a rinunziare definitivamente alla dignità cardinalizia per non allontanarsi dalla solitudine eremitica, cella della sua esistenza nascosta in Cristo. San Pier Damiani fu, infine, l’anima della « Riforma gregoriana », che segnò il passaggio dal primo al secondo millennio, e della quale san Gregorio VII rappresenta il cuore e il motore. Si trattò, in concreto, di attuare scelte di ordine istituzionale e di carattere teologico, disciplinare e spirituale, che permisero nel secondo millennio una più grande libertas Ecclesiae, recuperando il respiro della grande teologia con riferimento ai Padri della Chiesa e, in particolare, a sant’Agostino, san Girolamo e san Gregorio Magno. Con la penna e la parola egli si rivolgeva a tutti: ai suoi confratelli eremiti domandava il coraggio d’una donazione radicale al Signore che si avvicinasse il più possibile al martirio; dal Papa, dai Vescovi e dagli ecclesiastici di alto rango esigeva un evangelico distacco da onori e privilegi nel compimento delle loro funzioni ecclesiali; ai sacerdoti ricordava l’ideale altissimo della loro missione, da esercitare coltivando la purezza dei costumi e una reale povertà personale. In un’epoca segnata da particolarismi e incertezze, perché orfana di principi unificanti, Pier Damiani, consapevole dei propri limiti — amava definirsi peccator monachus — trasmise ai suoi contemporanei la consapevolezza che solo attraverso una costante tensione armonica tra due poli fondamentali della vita — la solitudine e la comunione — può svilupparsi un’efficace testimonianza cristiana. Non è forse valido anche per il nostro tempo questo insegnamento? Formulo volentieri l’auspicio che la celebrazione del Millenario della sua nascita contribuisca non solo a riscoprirne l’attualità e la profondità del pensiero e dell’azione, ma sia anche occasione propizia per un rinnovamento spirituale personale e comunitario, ripartendo costantemente da Gesù Cristo, « lo stesso ieri, oggi, sempre ».1 Assicuro un ricordo nella preghiera per Lei e per tutti i monaci Camaldolesi, ai quali invio una speciale Benedizione Apostolica, estendendola volentieri a quanti ne condividono la spiritualità. Dal Vaticano, 20 Febbraio 2007 BENEDICTUS PP. XVI 1 Eb 13, 8. Congregatio de Causis Sanctorum 303 ACTA CONGREGATIONUM CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM MELITENSIS Canonizationis Beati Georgii Preca Sacerdotis Archidioecesis Melitensis fundatoris Societatis Doctrinae Christianae (1880-1962) DECRETUM SUPER MIRACULO Beatus Georgius Preca die 12 mensis Februarii anno 1880 ortus est Vallettae, in Archidioecesi Melitensi, cuius presbyter ipse factus est anno 1906. Laicorum iuvenum opera adiutus, populo Christiana religione erudiendo Societatem Doctrinae Christianae fundavit, quae, viros tantum primo complexa, mox mulierum quoque sectione ditata est. Quod opus, difficultatibus aerumnisque superatis, canonicae erectionis decretum obtinuit anno 1932. Beatus vero, qui germanus Dei vir idemque christianae doctrinae quasi magnus apostolus audiebat, sancte ab hoc saeculo migravit die 26 mensis Iulii anno 1962. Quem quidem Ioannes Paulus II, Summus Pontifex, Beatorum caelitum honoribus insignivit die 9 mensis Maii anno 2001. Eius vero canonizationi prospiciens, Postulatio Causae sanationem, quae ad eiusdem Beati intercessionem divinitus patrata ferebatur, huic Congregationi subiecit expendendam. Quae res pertinet ad Ericum Catania infantem, qui, paucis diebus postquam in lucem editus est (quod quidem Melitae factum est die 15 mensis Iunii anno 2001), quodam morbo affectum iecur ostendit, quod icterus persistens et abdomen tumens et vomitus denuntiabant. 304 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Quae autem signa cum ingravescerent, sequenti die 7 mensis Iulii infans in hospitium deductus est, ubi medici, clinicis inspectionibus deinceps factis, diagnosim de « acuto iecinoris discrimine » protulerunt. Die 13 mensis Iulii idem in valetudinarium Londiniense, morbis iecinoris curandis instructissimum, translatus est; ibique, acuta iecinoris insufficientia agnita, infausta prognosis edita est, non dumtaxat aegroti aetatis intuitu, sed quia invalidae evaserant curationes adhibitae. Medici vero etiam advenerunt sanum iecur transplantari posse; organum autem, quod die 18 mensis Iulii suppeditabatur, parvulo Erico haud aptum habitum est. Interea, inde a tempore quo infans in Melitensi hospitio degebat, parentes aliique alibi complures opem divinam coeperant invocare per intercessionem Beati Georgii Preca, cuius reliquiae aegrotantis abdomini impositae sunt. Sicque ferventi animo supplicatum est donec infans sanatus est: quod quidem, qualibet medicorum provisione decepta, factum est inter diem 19 et diem 20 mensis Iulii eodem anno 2001, cum vero, insufficientiae hepaticae ascitesque indiciis imminutis, recta iecinoris perfunctio melior esse coepit. Inspectiones igitur, quae deinceps factae sunt, eiusmodi sanationem perfectam stabilemque fuisse probaverunt. Quo de casu, statim pro miro habito, in Curia Melitensi Inquisitio dioecesana ab anno 2002 ad annum 2004 peracta est; quam quidem Congregatio de Causis Sanctorum ratam duxit per decretum die 17 mensis Decembris anno 2004 latum. Deinde Consilium Medicorum, quod apud idem Dicasterium habetur, cum sederet die 23 mensis Februarii anno 2006 agnovit sanationem celerem, perfectam, stabilem fuisse, eandem vero ex arte medica explicari non posse. Subsequenti die 30 mensis Octobris Theologi Consultores in Peculiarem convenere Congressum; die autem 9 mensis Ianuarii vertentis anni 2007 Ordinaria Cardinalium Patrum Episcoporumque Sessio, Exc.mo Hieronymo Grillo, Centumcellarum-Tarquiniensi emerito Episcopo, Causae Ponente, gesta est. Et in utroque Coetu, sive Consultorum sive Cardinalium et Episcoporum, posito dubio an de miraculo divinitus patrato constaret, responsum affı̀rmativum prolatum est. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifı̀ci Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua Congregatio de Causis Sanctorum 305 vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de miraculo a Deo patrato per intercessionem Beati Georgii Preca, Sacerdotis Archidioecesis Melitensis, Fundatoris Societatis Doctrinae Christianae, videlicet de celeri, perfecta ac stabili sanatione infantis Erici Catania a « cirrosi micronodulare epatica infantile con grave scompenso epatico, ascite, colestasi e ipocoagulabilità ». Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 22 mensis Februarii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Eduardus Nowak archiep. tit. Lunensis, a Secretis 306 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale CONGREGATIO PRO EPISCOPIS PROVISIO ECCLESIARUM Latis decretis a Congregatione pro Episcopis, Sanctissimus Dominus Benedictus Pp. XVI, per Apostolicas sub plumbo Litteras, iis quae sequuntur Ecclesiis sacros praefecit praesules: die 6 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Dallasensi, Exc.mum P.D. Kevin Iosephum Farrell, hactenus Episcopum titularem Rusuccurrensem et Auxiliarem archidioecesis Vashingtonensis. — Cathedrali Ecclesiae Lacus Carolini, R.D. Glen Ioannem Provost, e clero Lafayettensi, hactenus curionem paroeciae Dominae Nostrae Fatimensis. die 7 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Nazarensi in Brasilia, Exc.mum P.D. Severinum Baptistam de França, O.F.M.Cap., hactenus Episcopum titularem Hierpinianensem et Auxiliarem dioecesis Santaremensis. die 8 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Funchalensi, Exc.mum P.D. Antonium Iosephum Cavaco Carrilho, hactenus Episcopum titularem Tamallumensem et Auxiliarem dioecesis Portugallensis. — Cathedrali Ecclesiae Ecclesiensi, R. D. Ioannem Paulum Zedda, e clero dioecesis Uxellensis-Terralbensis, ibique paroeciae Sancti Sebastiani in Arbus parochum et Vicarium Foraneum. die 10 Martii 2007. — Ecclesiae Cathedrali Cassanensi, R. D. Vincentium Bertolone, S.d.P., hactenus Congregationis pro Institutis vitae consecratae et Societatibus vitae apostolicae Subsecretarium. die 13 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Civitatis Lazari Cárdenas, R. D. Fabium Martı́nez Castilla, e clero archidioecesis Yucatanensis, hactenus curionem paroeciae « San Francisco de Ası́s » in Umán atque Directorem pro « Cursillos de Cristiandad » in eadem archidioecesi. Congregatio pro Episcopis 307 die 15 Martii 2007. — Metropolitanae Ecclesiae Agriensi, Exc.mum P.D. Csaba Ternyak, hactenus Archiepiscopum titularem Eminentianensem et Secretarium Congregationis pro Clericis. die 20 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Varasdinensi, Exc.mum P.D. Iosephum Mrzljak, hactenus Episcopum titularem Caltadriensem et Auxiliarem archidioecesis Zagrebiensis. die 21 Martii 2007. — Metropolitanae Ecclesiae Sancti Pauli in Brasilia, Exc.mum P. D. Odilonem Petrum Scherer, hactenus Episcopum titularem Novensem in Dalmatia et Auxiliarem eiusdem archidioecesis. die 22 Martii 2007. — Metropolitanae Ecclesiae Edmontonensi, Exc.mum P. D. Richardum Villelmum Smith, hactenus Episcopum Pembrokensem. die 23 Martii 2007. — Titulari Episcopali Ecclesiae Lamiggigensi, R.D. Iosephum Mendoza Corzo, e clero archidioecesis Tuxtlensis, ibique hactenus Vicarium Generalem et paroeciae vulgo « Santa Cruz » nuncupatae parochum, quem constituit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. die 27 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Tlapensi, R. D. Ansgarium Robertum Domı́nguez Couttolenc, hactenus Instituti a Sancta Maria de Guadalupe pro exteris missionibus, Vicarium Generalem. die 28 Martii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Novohamburgensi, Exc.mum P. D. Zenonem Hastenteufel, hactenus Episcopum Vestphalenianum. die 2 Aprilis 2007. — Titulari Episcopali Ecclesiae Rusaditanae, R. D. Paschalem Wintzer, e clero archidioecesis Rothomagensis, ibique hactenus Vicarium Generalem, quem deputavit Auxiliarem archidioecesis Pictaviensis. die 3 Aprilis 2007. — Titulari Episcopali Ecclesiae Satafensi in Mauretania Sitifensi, R.D. Petrum A. Libasci, e clero dioecesis Petropolitanae in Insula Longa, ibique hactenus curionem paroeciae Sanctae Teresiae Lexoviensis, quem deputavit Auxiliarem eiusdem dioecesis. — Cathedrali Ecclesiae Sulmonensi-Valvensi, R.D. Angelum Spina, e clero archidioecesis Campobassensis-Boianensis, hactenus Sanctuarii Mariae Sanctissimae Perdolentis in vulgo Castelpetroso Vicarium Episcopalem et Cumcathedralis Boianensis parochum. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 308 die 4 Aprilis 2007. — Cathedrali Ecclesiae Alexandrinae Statiellorum, R. Iosephum Versaldi, hactenus Vicarium Generalem archidioecesis Vercellensis. — Cathedrali Ecclesiae Constantiensi R.D. Stanislaum Lalanne, e clero dioecesis Versaliensis, hactenus Secretarium generalem Episcoporum Conferentiae Galliae. — Cathedrali Ecclesiae Daëtiensi, R.D. Gilbertum A. Garcera, e clero archidioecesis Cacerensis, hactenus Pontificalium Operum Missionalium in Insulis Philippinis Moderatorem. die 5 Aprilis 2007. — Cathedrali Ecclesiae Aeserniensi-Venafrensi, R.D. Salvatorem Visco, e clero dioecesis Puteolanae, hactenus ibidem Vicarium Generalem. Diarium Romanae Curiae 309 DIARIUM ROMANAE CURIAE Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza Ufficiale per la presentazione delle Lettere Credenziali: Venerdı̀, 16 marzo, S.E. il Sig. Alfonso Rivero Monsalve, Ambasciatore del Perù; Venerdı̀, 30 marzo, S.E. la Sig. Tetiana Izhevska, Ambasciatore di Ucraina. Ha, altresı̀, ricevuto in Udienza: Martedı̀, 13 marzo, S.E. il Sig. Vladimir Vladimirovich Putin, Presidente della Federazione Russa; Venerdı̀, 23 marzo, S.E. la Sig. Mary McAleese, Presidente d’Irlanda; S.E. il Sig. Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento Europeo. SEGRETERIA DI STATO NOMINE Con Brevi Apostolici il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 22 marzo 2007 S.E.R. Mons. Christophe Pierre, Arcivescovo titolare di Gunela, finora Nunzio Apostolico in Uganda, Nunzio Apostolico in Messico. 4 aprile » L’Em.mo Signor Cardinale Tarcisio Bertone, S.D.B., Segretario di Stato, Camerlengo di Santa Romana Chiesa. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 310 Con Biglietti della Segreteria di Stato il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 13 febbraio 2007 L’Em.mo Signor Cardinale Wilfrid Fox Napier, Arcivescovo di Durban (Africa), Membro del Pontificio Consiglio della Cultura « ad quinquennium ». 22 » » Il Rev.do Don Sabino Ardito, S.D.B., Vicario Giudiziale del Tribunale di Prima Istanza per le cause di nullità di matrimonio della Regione Lazio « ad quinquennium ». 24 febbraio» » I Rev.di Mons. Giovanni Vaccarotto, Difensore del Vincolo presso il Tribunale della Rota Romana e Nabih Moawad, Promotore di Giustizia Aggiunto presso il medesimo Tribunale « in aliud quinquennium ». 4 marzo » Il Rev.do Mons. Michael Xavier Leo Arokiaraj, Capo della Cancelleria della Rota Romana « ad annum ». 6 » » La Sig.ra Laura Stocco, il Sig. Armando Torno e il Sig. Domenico Siniscalco, Membri Ordinari della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. » » » Il Rev.do Mons. Alfredo Abbondi, Capo Ufficio nella Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. 7 » » L’Ecc.mo Mons. Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. 15 » » Il Rev.do P. Anthony Ward, S.M., Sotto-Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti « ad quinquennium ». » » » Il Rev.do Mons. Krzysztof Nitkiewicz, Sotto-Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali «donec aliter provideatur ». 20 » » L’Ill.mo Prof. Onorato Bucci, Consultore della Congregazione per le Chiese Orientali « ad quinquennium ». Diarium Romanae Curiae 20 marzo 2007 311 Il Rev.do Mons. Joaquı́n Llobell, Giudice della Corte di Appello dello Stato della Città del Vaticano « in aliud quinquennium ». 24 » » I Rev.di P. George Nedungatt, S.I., e Don Ádám Somorjai, O.S.B., Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi « in aliud quinquennium ». 31 » » Il Rev.do Sac. Roberto Soprano, Giudice Istruttore del Tribunale di prima istanza per le cause di nullità di matrimonio della Regione Lazio « ad quinquennium ». NECROLOGIO 5 marzo 2007 Mons. José Ivo Lorscheiter, Vescovo em. di Santa Maria (Brasile). 14 » » Mons. Miguel Ángel Lecumberri Erburu, O.C.D., Vescovo tit. di Lambiridi, già Vicario Apostolico di Tumaco (Colombia). 17 » » Mons. Frane Franić, Arcivescovo em. di Split-Makarska (Croazia). 18 » » Mons. Patrick Laurence Murphy, Vescovo em. di Broken Bay (Australia). » » » Mons. Michael Rozario, Arcivescovo em. di Dhaka (Bangladesh). 22 » » Mons. Marianus Arokiasamy, Arcivescovo em. di Madurai (India). 25 » » Mons. Eugenio Romero Pose, Vescovo tit. di Turuda, Ausiliare di Madrid (Spagna). 26 » » Mons. François Saint-Macary, Arcivescovo di Rennes (Francia). 27 » » Mons. Jonh Aloysius Ward, O.F.M. Cap., Arcivescovo em. di Cardiff (Galles). Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 312 2 aprile » Mons. Francesco Saverio Toppi, O.F.M.Cap., Arcivescovo em. di Pompei (Italia). 3 » » Mons. Félix Marı́a Torres Parra, Arcivescovo em. di Barranquilla (Colombia). » » » Mons. Michael J. Murphy, Vescovo em. di Erie (Stati Uniti di America). 5 » » Mons. José Antonio Gentico, Vescovo tit. di Mizigi ed Ausiliare di Buenos Aires (Argentina).