An. et vol. XCIX 3 Augusti 2007 N. 8 ACTA APOSTOLICAE SEDIS COMMENTARIUM OFFICIALE Directio: Palazzo Apostolico – Città del Vaticano – Administratio: Libreria Editrice Vaticana ACTA BENEDICTI PP. XVI EPISTULAE I Ad Primatem Hungariae VIII recurrente Centenario a natalibus Sanctae Elisabeth a Thuringia seu Hungaria. Al Venerato Fratello Péter Card. Erdő Arcivescovo degli Strigoni Primate di Ungheria Presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa Con vivo compiacimento ho appreso che si stanno predisponendo speciali festeggiamenti per l’VIII centenario della nascita di santa Elisabetta di Turingia o d’Ungheria, che ricorre quest’anno. In tale felice circostanza Le chiedo di rendersi interprete presso i fedeli d’Ungheria e dell’intera Europa della mia spirituale partecipazione alle celebrazioni previste: esse saranno opportuna occasione per proporre all’intero Popolo di Dio e specialmente all’Europa la splendida testimonianza di questa Santa, la cui fama ha varcato i confini della propria Patria, coinvolgendo moltissime persone anche non cristiane in tutto il Continente. Santa « europea », Elisabetta nacque in un contesto sociale di fresca evangelizzazione. Andrea e Gertrude, genitori di tale autentica gemma della nuova Ungheria cristiana, si preoccuparono di formarla alla consapevolezza della propria dignità di figlia adottiva di Dio. Elisabetta fece proprio il programma di Gesù Cristo, Figlio di Dio, che facendosi uomo, « spogliò se stesso assumen- Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 650 do la condizione di servo ».1 Grazie all’aiuto di ottimi maestri, si pose sulle orme di san Francesco d’Assisi, proponendosi come personale e ultimo obiettivo quello di conformare la sua esistenza a quella di Cristo, unico Redentore dell’uomo. Chiamata ad essere sposa del Langravio di Turingia, non cessò di dedicarsi alla cura dei poveri, nei quali riconosceva le sembianze del Maestro divino. Seppe unire le doti di sposa e di madre esemplare all’esercizio delle virtù evangeliche, apprese alla scuola del Santo di Assisi. Si rivelò vera figlia della Chiesa, offrendo una testimonianza concreta, visibile e significativa della carità di Cristo. Innumerevoli persone, lungo il corso dei secoli, hanno seguito il suo esempio, guardando a lei come a modello di specchiate virtù cristiane, vissute in modo radicale nel matrimonio, nella famiglia e pure nella vedovanza. A lei si sono ispirate anche personalità politiche, traendone incitamento a lavorare alla riconciliazione tra i popoli. L’anno internazionale elisabettiano, iniziato a Roma lo scorso 17 novembre, sta recando nuovi stimoli a meglio comprendere la spiritualità di questa figlia della Pannonia, che richiama ancora oggi ai suoi concittadini e agli abitanti del Continente europeo l’importanza dei valori imperituri del Vangelo. Signor Cardinale, formulo fervidi voti affinché la conoscenza approfondita della personalità e dell’opera di Elisabetta di Turingia possa aiutare a riscoprire con sempre più viva consapevolezza le radici cristiane dell’Ungheria e della stessa Europa, spingendo i responsabili a sviluppare in modo armonico e rispettoso il dialogo tra la Chiesa e le società civili, per costruire un mondo realmente libero e solidale. Possa l’anno internazionale elisabettiano costituire per gli Ungheresi, i Tedeschi e per tutti gli Europei occasione quanto mai propizia per evidenziare l’eredità cristiana ricevuta dai padri, sı̀ da continuare ad attingere da quelle radici la linfa necessaria per un’abbondante fruttificazione nel nuovo millennio da poco iniziato. Mentre invoco su tutti la costante protezione di Maria, Magna Domina Hungarorum, di santo Stefano e di santa Elisabetta, imparto a Lei, Signor Cardinale, all’Episcopato, al clero, ai religiosi e ai fedeli tutti una speciale Benedizione Apostolica, pegno di copiosi favori celesti. Dal Vaticano, 27 Maggio 2007. BENEDICTUS PP. XVI 1 Fil 2, 7. Acta Benedicti Pp. XVI 651 II Ad Ministrum Generalem Ordinis Fratrum Minorum Conventualium. Al Rev.mo P. Marco Tasca Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali È con grande gioia che porgo il mio saluto a Lei, Rev.mo Padre, e a tutti i Frati Minori Conventuali, convenuti in Assisi per il 199o Capitolo Generale. Sono lieto di farlo in questa Basilica papale in cui splendide opere d’arte raccontano le meraviglie di grazia che il Signore ha compiuto in san Francesco. Trovo provvidenziale che ciò avvenga nel contesto dell’VIII centenario della conversione di Francesco. Con la mia odierna Visita, infatti, ho voluto sottolineare il significato di questo evento, al quale occorre sempre ritornare, per comprendere Francesco e il suo messaggio. Egli stesso, quasi a sintetizzare con una sola parola la sua vicenda interiore, non trovò concetto più pregnante di quello di « penitenza »: « Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza cosı̀ ».1 Egli dunque si percepı̀ essenzialmente come un « penitente », in stato, per cosı̀ dire, di conversione permanente. Abbandonandosi all’azione dello Spirito, Francesco si converti sempre più a Cristo, trasformandosi in un’immagine viva di Lui, sulle vie della povertà, della carità, della missione. A voi dunque il compito di testimoniare con slancio e coerenza il suo messaggio! Siete chiamati a farlo con quella sintonia ecclesiale che contraddistinse Francesco nel suo rapporto con il Vicario di Cristo e con tutti i Pastori della Chiesa. A tal proposito, vi sono grato per la pronta obbedienza con cui, insieme con i Frati Minori, corrispondendo allo speciale legame di affetto che da sempre vi lega alla Sede Apostolica, avete accolto le disposizioni del Motu Proprio Totius Orbis circa i nuovi rapporti delle due Basiliche Papali di San Francesco e di Santa Maria degli Angeli con questa Chiesa particolare che al Poverello diede i natali e che tanta parte ebbe nella sua vita. Un saluto speciale rivolgo a Lei, Fra Marco Tasca, che la fiducia dei Confratelli ha chiamato all’impegnativo compito di Ministro Generale. Le sia di buon auspicio anche la ricorrenza dei 750 anni dall’elezione di San Bonaventura quale ministro dell’Ordine. Sull’esempio di San Francesco e di San Bonaventura, insieme con i Definitori eletti, possa Ella guidare con 1 Testamento, 1: FF 110. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 652 saggia prudenza la grande Famiglia dell’Ordine nella fedeltà alle radici dell’esperienza francescana e nell’attenzione ai « segni dei tempi ». L’evento del Capitolo Generale raccoglie Frati provenienti da tanti paesi e culture diverse per ascoltarsi e parlarsi vicendevolmente mediante l’unico linguaggio dello Spirito, rendendo cosı̀ viva la memoria della santità di Francesco. È, questa, un’occasione davvero straordinaria per condividere le « cose meravigliose » che Dio opera anche oggi attraverso i figli del Poverello sparsi nel mondo. Auspico pertanto che i Capitolari, mentre ringraziano Dio per lo sviluppo dell’Ordine soprattutto nei paesi di missione, profittino di questo confronto per interrogarsi su quanto lo Spirito chiede loro per continuare ad annunciare con passione, sulle orme del serafico Padre, il Regno di Dio in questa parte iniziale del terzo millennio cristiano. Ho appreso con interesse che, come tema centrale di riflessione durante i giorni dell’assemblea capitolare, è stato scelto quello della formazione per la missione, sottolineando che tale formazione non è data mai una volta per tutte, ma è da considerare piuttosto come un cammino permanente. Si tratta in effetti di un percorso con molteplici dimensioni, ma centrato sulla capacità di lasciarsi plasmare dallo Spirito, per essere pronti ad andare dovunque Egli chiami. Alla base non può che esserci l’ascolto della Parola in un clima di intensa e continua preghiera. Solo a questa condizione si possono cogliere le vere necessità degli uomini e delle donne del nostro tempo, offrendo ad essi risposte attinte alla sapienza di Dio e annunciando quello che si è profondamente sperimentato nella propria vita. È necessario che la grande Famiglia dei Frati Minori Conventuali si lasci ancora sospingere dalla parola che Francesco ascoltò dal Crocifisso di San Damiano: « Va’ e ripara la mia casa ».2 Occorre pertanto che ogni Frate sia un vero contemplativo, con gli occhi fissi negli occhi di Cristo. Occorre che sia capace, come Francesco di fronte al lebbroso, di vedere il volto di Cristo nei fratelli che soffrono, portando a tutti l’annuncio della pace. A questo scopo, egli dovrà far suo il cammino di conformazione al Signore Gesù che Francesco visse nei vari luoghi-simbolo del suo itinerario di santità: da San Damiano a Rivotorto, da Santa Maria degli Angeli alla Verna. Sia dunque per ogni figlio di san Francesco saldo principio quello che il Poverello esprimeva con le semplici parole: « La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo ».3 A tale proposito, sono felice di sapere che anche i Minori Conventuali, insieme 2 3 2 Cel I, 6, 10: FF 593. Rb I, 1: FF 75. Acta Benedicti Pp. XVI 653 con tutta la grande Famiglia francescana, sono impegnati a rivivere le tappe che portarono Francesco a formulare il « propositum vitae » confermato da Innocenzo III verso l’anno 1209. Chiamato a vivere « secondo la forma del santo Vangelo »,4 il Poverello comprese se stesso interamente alla luce del Vangelo. Proprio di qui nasce la perenne attualità della sua testimonianza. La sua « profezia » insegna a fare del Vangelo il criterio per affrontare le sfide di ogni tempo, anche del nostro, resistendo al fascino ingannevole di mode passeggere, per radicarsi nel disegno di Dio e discernere cosı̀ i veri bisogni degli uomini. Il mio augurio è che i Frati sappiano accogliere con rinnovato slancio e coraggio questo « programma », fidando nella forza che viene dall’Alto. Ai Minori Conventuali è chiesto di essere innanzitutto annunciatori di Cristo: avvicinino tutti con mitezza e fiducia, in atteggiamento dialogico, ma sempre offrendo la testimonianza ardente dell’unico Salvatore. Siano testimoni della « bellezza » di Dio, che Francesco seppe cantare contemplando le meraviglie del creato: tra gli stupendi cicli pittorici che ornano questa Basilica e in ogni altro angolo di quel meraviglioso tempio che è la natura, si levi dalle loro labbra la preghiera che Francesco pronunciò dopo il mistico rapimento della Verna, e che per due volte gli fece esclamare: « Tu sei bellezza! ».5 Sı̀, Francesco è un grande maestro della « via pulchritudinis ». Sappiano i Frati imitarlo nell’irradiare la bellezza che salva; lo facciano in particolare in questa stupenda Basilica, non solo mediante la fruizione dei tesori d’arte che vi sono custoditi, ma anche e soprattutto mediante l’intensità e il decoro della liturgia e il fervido annuncio del mistero cristiano. Ai Religiosi capitolari auguro di tornare alle rispettive comunità recando la freschezza e l’attualità del messaggio francescano. A tutti dico: portate ai vostri Confratelli l’esperienza di fraternità di questi giorni come luce e forza, capace di illuminare l’orizzonte non sempre privo di nubi della vita quotidiana; portate ad ogni persona la pace ricevuta e donata. Con il pensiero rivolto alla Vergine Immacolata, la « Tota pulchra », ed implorando l’intercessione di san Francesco e di santa Chiara ai quali affido l’esito dei lavori di questo Capitolo Generale, imparto a Lei, Rev.mo Padre, ai Religiosi capitolari e a tutti i membri dell’Ordine, quale pegno di speciale affetto, l’Apostolica Benedizione. Assisi, 17 giugno 2007. BENEDICTUS PP. XVI 4 5 Testamento, 14: FF 116. Lodi di Dio altissimo, 4.6: FF 261. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 654 HOMILIAE I In ritu canonizationis beatorum Georgii Preca, Simonis de Lipnica, Caroli a Sancto Andrea Houben et Mariae Eugeniae a Iesu Milleret.* Cari fratelli e sorelle, celebriamo oggi la solennità della Santissima Trinità. Dopo il tempo pasquale, dopo aver rivissuto l’avvenimento della Pentecoste, che rinnova il battesimo della Chiesa nello Spirito Santo, volgiamo per cosı̀ dire lo sguardo verso « i cieli aperti » per entrare con gli occhi della fede nelle profondità del mistero di Dio, Uno nella sostanza e Trino nelle persone: Padre e Figlio e Spirito Santo. Mentre ci lasciamo avvolgere da questo sommo mistero, ammiriamo la gloria di Dio, che si riflette nella vita dei Santi; la contempliamo soprattutto in quelli che poc’anzi ho proposto alla venerazione della Chiesa universale: Giorgio Preca, Szymon di Lipnica, Karel van Sint Andries Houben e Marie Eugénie de Jésus Milleret. A tutti i pellegrini, qui convenuti per rendere omaggio a questi testimoni esemplari del Vangelo, rivolgo il mio cordiale saluto. Saluto, in particolare, i Signori Cardinali, i Signori Presidenti delle Filippine, di Irlanda, di Malta e di Polonia, i venerati Fratelli nell’Episcopato, le Delegazioni governative e le altre Autorità civili, che prendono parte a questa celebrazione. Nella prima Lettura, tratta dal Libro dei Proverbi, entra in scena la Sapienza, che sta al fianco di Dio come assistente, come « architetto ».1 Stupenda è la « panoramica » sul cosmo osservato con i suoi occhi. La Sapienza stessa confessa: « Mi ricreavo sul globo terrestre, / ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo ».2 È in mezzo agli esseri umani che essa ama dimorare, perché in essi riconosce l’immagine e la somiglianza del Creatore. Questa relazione preferenziale della Sapienza con gli uomini fa pensare ad un celebre passo di un altro libro sapienziale, il Libro della Sapienza: « La sapienza — vi leggiamo — è un’emanazione della potenza di Dio / ... Pur rimanendo in se stessa, tutto rinnova / e attraverso le età entrando * Die 3 Iunii 2007. 1 2 8, 30. 8, 31. Acta Benedicti Pp. XVI 655 nelle anime sante, / forma amici di Dio e profeti ».3 Quest’ultima suggestiva espressione invita a considerare la multiforme e inesauribile manifestazione della santità nel popolo di Dio lungo i secoli. La Sapienza di Dio si manifesta nel cosmo, nella varietà e bellezza dei suoi elementi, ma i suoi capolavori, dove realmente appare molto più la sua bellezza e la sua grandezza, sono i santi. Nel brano della Lettera dell’apostolo Paolo ai Romani troviamo un’immagine simile: quella dell’amore di Dio « riversato nei cuori » dei santi, cioè dei battezzati, « per mezzo dello Spirito Santo » che è stato loro donato.4 È attraverso Cristo che passa il dono dello Spirito, « Persona-amore, Personadono », come l’ha definito il Servo di Dio Giovanni Paolo II.5 Per mezzo di Cristo, lo Spirito di Dio giunge a noi quale principio di vita nuova, « santa ». Lo Spirito pone l’amore di Dio nel cuore dei credenti nella forma concreta che aveva nell’uomo Gesù di Nazaret. Si realizza cosı̀ quanto dice san Paolo nella Lettera ai Colossesi: « Cristo in voi, speranza della gloria ».6 Le « tribolazioni » non sono in contrasto con questa speranza, anzi, concorrono a realizzarla, attraverso la « pazienza » e la « virtù provata »: 7 è la via di Gesù, la via della Croce. Nella medesima prospettiva, della Sapienza di Dio incarnata in Cristo e comunicata dallo Spirito Santo, il Vangelo ci ha suggerito che Dio Padre continua a manifestare il suo disegno d’amore mediante i santi. Anche qui, accade quanto abbiamo già notato a proposito della Sapienza: lo Spirito di verità rivela il disegno di Dio nella molteplicità degli elementi del cosmo — siamo grati per questa visibilità della bellezza e della bontà di Dio negli elementi del cosmo — e lo fa soprattutto mediante le persone umane, in modo speciale mediante i santi e le sante, dove traspare con grande forza la sua luce, la sua verità, il suo amore. In effetti, « l’immagine del Dio invisibile » 8 è propriamente solo Gesù Cristo, « il Santo e il Giusto ».9 Egli è la Sapienza incarnata, il Logos creatore che trova la sua gioia nel dimorare tra i figli dell’uomo, in mezzo ai quali ha posto la sua tenda.10 In Lui è piaciuto a 3 4 5 6 7 8 9 10 Sap 7, 25-27. Cf. Rm 5, 5. Enc. Dominum et vivificantem, 10. 1, 27. Rm 5, 3-4. Col 1, 15. At 3, 14. Cf. Gv 1, 14. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 656 Dio riporre « ogni pienezza »; 11 o, come dice Egli stesso nel brano evangelico odierno: « Tutto quello che il Padre possiede è mio ».12 Ogni singolo Santo partecipa della ricchezza di Cristo ripresa dal Padre e comunicata a tempo opportuno. È sempre la stessa santità di Gesù, è sempre Lui, il « Santo », che lo Spirito plasma nelle « anime sante », formando amici di Gesù e testimoni della sua santità. E Gesù vuol fare anche di noi degli amici suoi. Proprio in questo giorno apriamo il nostro cuore perché anche nella nostra vita cresca l’amicizia per Gesù, cosı̀ che possiamo testimoniare la sua santità, la sua bontà e la sua verità. Un amico di Gesù e testimone della santità che viene da Lui fu Giorgio Preca, nato a La Valletta nell’isola di Malta. Fu un sacerdote tutto dedito all’evangelizzazione: con la predicazione, con gli scritti, con la guida spirituale e l’amministrazione dei Sacramenti e prima di tutto con l’esempio della sua vita. L’espressione del Vangelo di Giovanni « Verbum caro factum est » orientò sempre la sua anima e la sua azione, e cosı̀ il Signore ha potuto servirsi di lui per dar vita ad un’opera benemerita, la « Società della Dottrina Cristiana » — grazie per il vostro impegno! —, che mira ad assicurare alle parrocchie il servizio qualificato di catechisti ben preparati e generosi. Anima profondamente sacerdotale e mistica, egli si effondeva in slanci d’amore verso Dio, verso Gesù, la Vergine Maria e i Santi. Amava ripetere: « Signore Dio, quanto ti sono obbligato! Grazie, Signore Dio, e perdonami, Signore Dio! ». Una preghiera che potremmo ripetere anche noi, della quale potremmo appropriarci. San Giorgio Preca aiuti la Chiesa ad essere sempre, a Malta e nel mondo, l’eco fedele della voce del Cristo, Verbo incarnato. Nowy świe˛ty, Szymon z Lipnicy, wielki syn ziemi polskiej i świadek Chrystusa o duchowości św. Franciszka z Asyżu, żył w odległych czasach, ale właśnie dziś jest dany Kościołowi jako aktualny wzór chrześcijanina, który — zainspirowany duchem Ewangelii — gotów jest oddać życie za braci. Tak też, przepełniony miłosierna˛ miłościa˛, która˛ czerpał z Eucharystii, nie ocia˛gał sie˛ z niesieniem pomocy chorym dotknie˛tym zaraza˛, która i jego doprowadziła do śmierci. Dziś w sposób szczególny zawierzamy jego opiece tych, którzy cierpia˛ z powodu ubóstwa, choroby, osamotnienia i niesprawiedliwości społecznej. Przez jego wstawiennictwo prosimy dla nas o łaske˛ wytrwałej, czynnej miłości do Chrystusa i do braci. 11 12 Cf. Col 1, 19. Gv 16, 15. Acta Benedicti Pp. XVI 657 “The love of God has been poured into our hearts by the Holy Spirit which has been given us”. Truly, in the case of the Passionist priest, Charles of Saint Andrew Houben, we see how that love overflowed in a life totally dedicated to the care of souls. During his many years of priestly ministry in England and Ireland, the people flocked to him to seek out his wise counsel, his compassionate care and his healing touch. In the sick and the suffering he recognized the face of the Crucified Christ, to whom he had a lifelong devotion. He drank deeply from the rivers of living water that poured forth from the side of the Pierced One, and in the power of the Spirit he bore witness before the world to the Father’s love. At the funeral of this much loved priest, affectionately known as Father Charles of Mount Argus, his superior was moved to observe: “The people have already declared him a saint”. Marie-Eugénie Milleret nous rappelle tout d’abord l’importance de l’Eucharistie dans la vie chrétienne et dans la croissance spirituelle. En effet, comme elle le souligne elle-même, sa première communion fut un temps fort, même si elle ne s’en aperçut pas complètement à ce moment-là. Le Christ, présent au plus profond de son cœur, travaillait en elle, lui laissant le temps de marcher à son rythme, de poursuivre sa quête intérieure qui la conduirait jusqu’à se donner totalement au Seigneur dans la vie religieuse, en réponse aux appels de son temps. Elle percevait notamment l’importance de transmettre aux jeunes générations, en particulier aux jeunes filles, une formation intellectuelle, morale et spirituelle, qui ferait d’elles des adultes capables de prendre en charge la vie de leur famille, sachant apporter leur contribution à l’Église et à la société. Tout au long de sa vie elle trouva la force pour sa mission dans la vie d’oraison, associant sans cesse contemplation et action. Puisse l’exemple de sainte Marie-Eugénie inviter les hommes et les femmes d’aujourd’hui à transmettre aux jeunes les valeurs qui les aideront à devenir des adultes forts et des témoins joyeux du Ressuscité. Que les jeunes n’aient pas peur d’accueillir ces valeurs morales et spirituelles, de les vivre dans la patience et la fidélité. C’est ainsi qu’ils construiront leur personnalité et qu’ils prépareront leur avenir. Cari fratelli e sorelle, rendiamo grazie a Dio per le meraviglie che ha compiuto nei Santi, nei quali risplende la sua gloria. Lasciamoci attrarre dai loro esempi, lasciamoci guidare dai loro insegnamenti, perché tutta la nostra esistenza diventi, come la loro, un cantico di lode a gloria della Santissima Trinità. Ci ottenga questa grazia Maria, la Regina dei Santi, e l’intercessione di questi quattro nuovi « Fratelli maggiori » che oggi con gioia veneriamo. Amen. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 658 II In sollemnitate Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi.* Cari fratelli e sorelle! Poco fa abbiamo cantato nella Sequenza: « Dogma datur christianis, / quod in carnem transit panis, / et vinum in sanguinem — È certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino ». Quest’oggi riaffermiamo con grande gioia la nostra fede nell’Eucaristia, il Mistero che costituisce il cuore della Chiesa. Nella recente Esortazione post-sinodale Sacramentum caritatis ho ricordato che il Mistero eucaristico « è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo ».1 Pertanto quella del Corpus Domini è una festa singolare e costituisce un importante appuntamento di fede e di lode per ogni comunità cristiana. È festa che ha avuto origine in un determinato contesto storico e culturale: è nata con lo scopo ben preciso di riaffermare apertamente la fede del Popolo di Dio in Gesù Cristo vivo e realmente presente nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia. È festa istituita per adorare, lodare e ringraziare pubblicamente il Signore, che « nel Sacramento eucaristico continua ad amarci “fino alla fine”, fino al dono del suo corpo e del suo sangue ».2 La Celebrazione eucaristica di questa sera ci riconduce al clima spirituale del Giovedı̀ Santo, il giorno in cui Cristo, alla vigilia della sua Passione, istituı̀ nel Cenacolo la santissima Eucaristia. Il Corpus Domini costituisce cosı̀ una ripresa del mistero del Giovedı̀ Santo, quasi in obbedienza all’invito di Gesù di « proclamare sui tetti » ciò che Egli ci ha trasmesso nel segreto.3 Il dono dell’Eucaristia, gli Apostoli lo ricevettero dal Signore nell’intimità dell’Ultima Cena, ma era destinato a tutti, al mondo intero. Ecco perché va proclamato ed esposto apertamente, perché ognuno possa incontrare « Gesù che passa » come avveniva per le strade della Galilea, della Samaria e della Giudea; perché ognuno, ricevendolo, possa essere sanato e rinnovato dalla forza del suo amore. Questa, cari amici, è la perpetua e vivente eredità che Gesù ci ha lasciato nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Eredità che * Die 7 Iunii 2007. 1 2 3 N. 1. Sacramentum caritatis, 1. Cf. Mt 10, 27. Acta Benedicti Pp. XVI 659 domanda di essere costantemente ripensata, rivissuta, affinché, come ebbe a dire il venerato Papa Paolo VI, possa « imprimere la sua inesauribile efficacia su tutti i giorni della nostra vita mortale ».4 Sempre nell’Esortazione post-sinodale, commentando l’esclamazione del sacerdote dopo la consacrazione: « Mistero della fede! », osservavo: con queste parole egli « proclama il mistero celebrato e manifesta il suo stupore di fronte alla conversione sostanziale del pane e del vino nel corpo e sangue del Signore Gesù, una realtà che supera ogni comprensione umana ».5 Proprio perché si tratta di una realtà misteriosa che oltrepassa la nostra comprensione, non dobbiamo meravigliarci se anche oggi molti fanno fatica ad accettare la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia. Non può essere altrimenti. Fu cosı̀ fin dal giorno in cui, nella sinagoga di Cafarnao, Gesù dichiarò apertamente di essere venuto per darci in cibo la sua carne e il suo sangue.6 Il linguaggio apparve « duro » e molti si tirarono indietro. Allora come adesso, l’Eucaristia resta « segno di contraddizione » e non può non esserlo, perché un Dio che si fa carne e sacrifica se stesso per la vita del mondo pone in crisi la sapienza degli uomini. Ma con umile fiducia, la Chiesa fa propria la fede di Pietro e degli altri Apostoli, e con loro proclama, e proclamiamo noi: « Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna ».7 Rinnoviamo pure noi questa sera la professione di fede nel Cristo vivo e presente nell’Eucaristia. Sı̀, « è certezza a noi cristiani: / si trasforma il pane in carne, / si fa sangue il vino ». La Sequenza, nel suo punto culminante, ci ha fatto cantare: « Ecce panis angelorum, / factus cibus viatorum: / vere panis filiorum — Ecco il pane degli angeli, / pane dei pellegrini, / vero pane dei figli ». E per la grazia del Signore, noi siamo figli. L’Eucaristia è il cibo riservato a coloro che nel Battesimo sono stati liberati dalla schiavitù e sono diventati figli; è il cibo che li sostiene nel lungo cammino dell’esodo attraverso il deserto dell’umana esistenza. Come la manna per il popolo d’Israele, cosı̀ per ogni generazione cristiana l’Eucaristia è l’indispensabile nutrimento che la sostiene mentre attraversa il deserto di questo mondo, inaridito da sistemi ideologici ed economici che non promuovono la vita, ma piuttosto la mortificano; un mondo dove domina la logica del potere e dell’avere piuttosto che quella del servizio e dell’amore; un mon4 5 6 7 Insegnamenti, V [1967], p. 779. N. 6. Cf. Gv 6, 26-58. Gv 6, 68. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 660 do dove non di rado trionfa la cultura della violenza e della morte. Ma Gesù ci viene incontro e ci infonde sicurezza: Egli stesso è « il pane della vita ».8 Ce lo ha ripetuto nelle parole del Canto al Vangelo: « Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane vivrà in eterno ».9 Nel brano evangelico poc’anzi proclamato san Luca, narrandoci il miracolo della moltiplicazione dei cinque pani e due pesci con cui Gesù sfamò la folla « in una zona deserta », conclude dicendo: « Tutti ne mangiarono e si saziarono ».10 Vorrei in primo luogo sottolineare questo « tutti ». È infatti desiderio del Signore che ogni essere umano si nutra dell’Eucaristia, perché l’Eucaristia è per tutti. Se nel Giovedı̀ Santo viene posto in evidenza lo stretto rapporto che esiste tra l’Ultima Cena e il mistero della morte di Gesù in croce, quest’oggi, festa del Corpus Domini, con la processione e l’adorazione corale dell’Eucaristia si richiama l’attenzione sul fatto che Cristo si è immolato per l’intera umanità. Il suo passaggio fra le case e per le strade della nostra Città sarà per coloro che vi abitano un’offerta di gioia, di vita immortale, di pace e di amore. Nel brano evangelico, un secondo elemento salta all’occhio: il miracolo compiuto dal Signore contiene un esplicito invito ad offrire ciascuno il proprio contributo. I cinque pesci e i due pani stanno ad indicare il nostro apporto, povero ma necessario, che Egli trasforma in dono di amore per tutti. « Cristo ancora oggi — ho scritto nella citata Esortazione post-sinodale — continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona ».11 L’Eucaristia è dunque una chiamata alla santità e al dono di sé ai fratelli, perché « la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo ».12 Questo invito, il nostro Redentore lo rivolge in particolare a noi, cari fratelli e sorelle di Roma, raccolti in questa storica Piazza intorno all’Eucaristia: vi saluto tutti con affetto. Il mio saluto è innanzitutto per il Cardinale Vicario e i Vescovi Ausiliari, per gli altri venerati Fratelli Cardinali e Vescovi, come pure per i numerosi presbiteri e diaconi, i religiosi e le religiose, e i tanti fedeli laici. Al termine della Celebrazione eucaristica ci uniremo in processione, quasi a portare idealmente il Signore Gesù per tutte le vie e i quartieri di 8 9 10 11 12 Gv 6, 35.48. Cf. Gv 6, 51. Cf. Lc 9, 11b-17. N. 88. Ibid. Acta Benedicti Pp. XVI 661 Roma. Lo immergeremo, per cosı̀ dire, nella quotidianità della nostra vita, perché Egli cammini dove noi camminiamo, perché Egli viva dove noi viviamo. Sappiamo infatti, come ci ha ricordato l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, che in ogni Eucaristia, anche in quella di stasera, noi « annunziamo la morte del Signore finché egli venga ».13 Noi camminiamo sulle strade del mondo sapendo di aver Lui al fianco, sorretti dalla speranza di poterlo un giorno vedere a viso svelato nell’incontro definitivo. Intanto già ora noi ascoltiamo la sua voce che ripete, come leggiamo nel Libro dell’Apocalisse: « Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me ».14 La festa del Corpus Domini vuole rendere percepibile, nonostante la durezza del nostro udito interiore, questo bussare del Signore. Gesù bussa alla porta del nostro cuore e ci chiede di entrare non soltanto per lo spazio di un giorno, ma per sempre. Lo accogliamo con gioia elevando a Lui la corale invocazione della Liturgia: « Buon Pastore, vero pane, / o Gesù, pietà di noi (...). Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra, / conduci i tuoi fratelli / alla tavola del cielo / nella gioia dei tuoi santi ». Amen! III Assisii habita in celebratione VIII Centenarii a conversione Sancti Francisci Assisiensis.* Cari fratelli e sorelle! che cosa ci dice oggi il Signore, mentre celebriamo l’Eucaristia nel suggestivo scenario di questa piazza, in cui si raccolgono otto secoli di santità, di devozione, di arte e di cultura, legati al nome di Francesco di Assisi? Oggi tutto qui parla di conversione, come ci ha ricordato Mons. Domenico Sorrentino, che ringrazio di cuore, per le gentili parole a me rivolte. Saluto con lui tutta la Chiesa di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, nonché i Pastori delle Chiese dell’Umbria. Un grato pensiero va al Cardinale Attilio Nicora, mio Legato per le due Basiliche papali di questa Città. Un saluto affettuoso 13 Cf. 1 Cor 11, 26. Ap 3, 20. ————————— 14 * Die 17 Iunii 2007. 662 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale rivolgo ai figli di Francesco, qui presenti con i loro Ministri generali dei vari Ordini. Esprimo il mio cordiale ossequio al Presidente del Consiglio dei Ministri e a tutte le Autorità civili che hanno voluto onorarci della loro presenza. Parlare di conversione, significa andare al cuore del messaggio cristiano ed insieme alle radici dell’esistenza umana. La Parola di Dio appena proclamata ci illumina, mettendoci davanti agli occhi tre figure di convertiti. La prima è quella di Davide. Il brano che lo riguarda, tratto dal secondo libro di Samuele, ci presenta uno dei colloqui più drammatici dell’Antico Testamento. Al centro di questo dialogo c’è un verdetto bruciante, con cui la Parola di Dio, proferita dal profeta Natan, mette a nudo un re giunto all’apice della sua fortuna politica, ma caduto pure al livello più basso della sua vita morale. Per cogliere la tensione drammatica di questo dialogo, occorre tener presente l’orizzonte storico e teologico in cui esso si pone. È un orizzonte disegnato dalla vicenda di amore con cui Dio sceglie Israele come suo popolo, stabilendo con esso un’alleanza e preoccupandosi di assicurargli terra e libertà. Davide è un anello di questa storia della continua premura di Dio per il suo popolo. Viene scelto in un momento difficile e posto a fianco del re Saul, per diventare poi suo successore. Il disegno di Dio riguarda anche la sua discendenza, legata al progetto messianico, che troverà in Cristo, « figlio di Davide », la sua piena realizzazione. La figura di Davide è cosı̀ immagine di grandezza storica e religiosa insieme. Tanto più contrasta con ciò l’abiezione in cui egli cade, quando, accecato dalla passione per Betsabea, la strappa al suo sposo, uno dei suoi più fedeli guerrieri, e di quest’ultimo ordina poi freddamente l’assassinio. È cosa che fa rabbrividire: come può, un eletto di Dio, cadere tanto in basso? L’uomo è davvero grandezza e miseria: è grandezza perché porta in sé l’immagine di Dio ed è oggetto del suo amore; è miseria perché può fare cattivo uso della libertà che è il suo grande privilegio, finendo per mettersi contro il suo Creatore. Il verdetto di Dio, pronunciato da Natan su Davide, rischiara le intime fibre della coscienza, lı̀ dove non contano gli eserciti, il potere, l’opinione pubblica, ma dove si è soli con Dio solo. « Tu sei quell’uomo »: è parola che inchioda Davide alle sue responsabilità. Profondamente colpito da questa parola, il re sviluppa un pentimento sincero e si apre all’offerta della misericordia. Ecco il cammino della conversione. Ad invitarci a questo cammino, accanto a Davide, si pone oggi Francesco. Da quanto i biografi narrano dei suoi anni giovanili, nulla fa pensare a cadute Acta Benedicti Pp. XVI 663 cosı̀ gravi come quella imputata all’antico re d’Israele. Ma lo stesso Francesco, nel Testamento redatto negli ultimi mesi della sua esistenza, guarda ai suoi primi venticinque anni come ad un tempo in cui « era nei peccati ».1 Al di là delle singole manifestazioni, peccato era il suo concepire e organizzarsi una vita tutta centrata su di sé, inseguendo vani sogni di gloria terrena. Non gli mancava, quando era il « re delle feste » tra i giovani di Assisi,2 una naturale generosità d’animo. Ma questa era ancora ben lontana dall’amore cristiano che si dona senza riserve all’altro. Com’egli stesso ricorda, gli sembrava amaro vedere i lebbrosi. Il peccato gli impediva di dominare la ripugnanza fı̀sica per riconoscere in loro altrettanti fratelli da amare. La conversione lo portò ad esercitare misericordia e gli ottenne insieme misericordia. Servire i lebbrosi, fino a baciarli, non fu solo un gesto di filantropia, una conversione, per cosı̀ dire, « sociale », ma una vera esperienza religiosa, comandata dall’iniziativa della grazia e dall’amore di Dio: « Il Signore — egli dice — mi condusse tra di loro ».3 Fu allora che l’amarezza si mutò in « dolcezza di anima e di corpo ».4 Sı̀, miei cari fratelli e sorelle, convertirci all’amore è passare dall’amarezza alla « dolcezza », dalla tristezza alla gioia vera. L’uomo è veramente se stesso, e si realizza pienamente, nella misura in cui vive con Dio e di Dio, riconoscendolo e amandolo nei fratelli. Nel brano della Lettera ai Galati, emerge un altro aspetto del cammino di conversione. A spiegarcelo è un altro grande convcrtito, l’apostolo Paolo. Il contesto delle sue parole è il dibattito in cui la comunità primitiva si trovò coinvolta: in essa molti cristiani provenienti dal giudaismo tendevano a legare la salvezza al compimento delle opere dell’antica Legge, vanificando cosı̀ la novità di Cristo e l’universalità del suo messaggio. Paolo si erge come testimone e banditore della grazia. Sulla via di Damasco, il volto radioso e la voce forte di Cristo lo avevano strappato al suo zelo violento di persecutore e avevano acceso in lui il nuovo zelo del Crocifisso, che riconcilia i vicini ed i lontani nella sua croce.5 Paolo aveva capito che in Cristo tutta la legge è adempiuta e chi aderisce a Cristo si unisce a Lui, adempie la legge. Portare Cristo, e con Cristo l’unico Dio, a tutte le genti era divenuta la sua missione. Cristo « infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, 1 2 3 4 5 Cf. 2 Test 1: FF 110. Cf. 2 Cel I, 3, 7: FF 588. 2 Test 2: FF 110. 2 Test 3: FF 110. Cf. Ef 2, 11-22. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 664 abbattendo il muro della separazione ... ».6 La sua personalissima confessione di amore esprime nello stesso tempo anche la comune essenza della vita cristiana: « Questa vita che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me ».7 E come si può rispondere a questo amore, se non abbracciando Cristo crocifisso, fino a vivere della sua stessa vita? « Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ».8 Parlando del suo essere crocifisso con Cristo, San Paolo non solo accenna alla sua nuova nascita nel battesimo, ma a tutta la sua vita a servizio di Cristo. Questo nesso con la sua vita apostolica appare con chiarezza nelle parole conclusive della sua difesa della libertà cristiana alla fine della Lettera ai Galati: « D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo ».9 È la prima volta, nella storia del cristianesimo, che appare la parola « stigmate di Gesù ». Nella disputa sul modo retto di vedere e di vivere il Vangelo, alla fine, non decidono gli argomenti del nostro pensiero; decide la realtà della vita, la comunione vissuta e sofferta con Gesù, non solo nelle idee o nelle parole, ma fin nel profondo dell’esistenza, coinvolgendo anche il corpo, la carne. I lividi ricevuti in una lunga storia di passione sono la testimonianza della presenza della croce dı̀ Gesù nel corpo di San Paolo, sono le sue stigmate. E cosı̀ può dire che non è la circoncisione che lo salva: le stigmate sono la conseguenza del suo battesimo, l’espressione del suo morire con Gesù giorno per giorno, il segno sicuro del suo essere nuova creatura.10 Paolo accenna, del resto, con l’applicazione della parola « stigmate », all’uso antico di imprimere sulla pelle dello schiavo il sigillo del suo proprietario. Il servo era cosı̀ « stigmatizzato » come proprietà del suo padrone e stava sotto la sua protezione. Il segno della croce, iscritto in lunghe passioni sulla pelle di Paolo, è il suo vanto: lo legittima come vero servo di Gesù, protetto dall’amore del Signore. Cari amici, Francesco di Assisi ci riconsegna oggi tutte queste parole di Paolo, con la forza della sua testimonianza. Da quando il volto dei lebbrosi, amati per amore di Dio, gli fece intuire, in qualche modo, il mistero della 6 7 8 9 10 Ef 2, 14. Gal 2, 20b. Gal 2, 20a. 6, 17. Cf. Gal 6, 15. Acta Benedicti Pp. XVI 665 « kenosi »,11 l’abbassamento di Dio nella carne del Figlio dell’uomo, da quando poi la voce del Crocifı̀sso di San Damiano gli mise in cuore il programma della sua vita: « Va’, Francesco, ripara la mia casa »,12 il suo cammino non fu che lo sforzo quotidiano di immedesimarsi con Cristo. Egli si innamorò di Cristo. Le piaghe del Crocifisso ferirono il suo cuore, prima di segnare il suo corpo sulla Verna. Egli poteva veramente dire con Paolo: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ». E veniamo al cuore evangelico dell’odierna Parola di Dio. Gesù stesso, nel brano appena letto del Vangelo di Luca, ci spiega il dinamismo dell’autentica conversione, additandoci come modello la donna peccatrice riscattata dall’amore. Si deve riconoscere che questa donna aveva osato tanto. Il suo modo di porsi di fronte a Gesù, bagnando di lacrime i suoi piedi e asciugandoli con i capelli, baciandoli e cospargendoli di olio profumato, era fatto per scandalizzare chi, a persone della sua condizione, guardava con l’occhio impietoso del giudice. Impressiona, al contrario, la tenerezza con cui Gesù tratta questa donna, da tanti sfruttata e da tutti giudicata. Ella ha trovato finalmente in Gesù un occhio puro, un cuore capace di amare senza sfruttare. Nello sguardo e nel cuore di Gesù ella riceve la rivelazione di Dio-Amore! A scanso di equivoci, è da notare che la misericordia di Gesù non si esprime mettendo tra parentesi la legge morale. Per Gesù, il bene è bene, il male è male. La misericordia non cambia i connotati del peccato, ma lo brucia in un fuoco di amore. Questo effetto purificante e sanante si realizza se c’è nell’uomo una corrispondenza di amore, che implica il riconoscimento della legge di Dio, il pentimento sincero, il proposito di una vita nuova. Alla peccatrice del Vangelo è molto perdonato, perché ha molto amato. In Gesù Dio viene a donarci amore e a chiederci amore. Che cosa è stata, miei cari fratelli e sorelle, la vita di Francesco convertito se non un grande atto d’amore? Lo rivelano le sue preghiere infuocate, ricche di contemplazione e di lode, il suo tenero abbraccio del Bimbo divino a Greccio, la sua contemplazione della passione alla Verna, il suo « vivere secondo la forma del santo Vangelo »,13 la sua scelta della povertà e il suo cercare Cristo nel volto dei poveri. 11 12 13 Cf. Fil 2, 7. 2 Cel I, 6, 10: FF 593. 2 Test 14: FF 116. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 666 È questa sua conversione a Cristo, fino al desiderio di « trasformarsi » in Lui, diventandone un’immagine compiuta, che spiega quel suo tipico vissuto, in virtù del quale egli ci appare cosı̀ attuale anche rispetto a grandi temi del nostro tempo, quali la ricerca della pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra tutti gli uomini. Francesco è un vero maestro in queste cose. Ma lo è a partire da Cristo. È Cristo, infatti, « la nostra pace ».14 È Cristo il principio stesso del cosmo, giacché in lui tutto è stato fatto.15 È Cristo la verità divina, l’eterno « Logos », in cui ogni « dia-logos » nel tempo trova il suo ultimo fondamento. Francesco incarna profondamente questa verità « cristologica » che è alle radici dell’esistenza umana, del cosmo, della storia. Non posso dimenticare, nell’odierno contesto, l’iniziativa del mio Predecessore di santa memoria, Giovanni Paolo II, il quale volle riunire qui, nel 1986, i rappresentanti delle confessioni cristiane e delle diverse religioni del mondo, per un incontro di preghiera per la pace. Fu un’intuizione profetica e un momento di grazia, come ho ribadito alcuni mesi or sono nella mia lettera al Vescovo di questa Città in occasione del ventesimo anniversario di quell’evento. La scelta di celebrare quell’incontro ad Assisi era suggerita proprio dalla testimonianza di Francesco come uomo di pace, al quale tanti guardano con simpatia anche da altre posizioni culturali e religiose. Al tempo stesso, la luce del Poverello su quell’iniziativa era una garanzia di autenticità cristiana, giacché la sua vita e il suo messaggio poggiano cosı̀ visı̀bilmente sulla scelta di Cristo, da respingere a priori qualunque tentazione di indifferentismo religioso, che nulla avrebbe a che vedere con l’autentico dialogo interreligioso. Lo « spirito di Assisi », che da quell’evento continua a diffondersi nel mondo, si oppone allo spirito di violenza, all’abuso della religione come pretesto per la violenza. Assisi ci dice che la fedeltà alla propria convinzione religiosa, la fedeltà soprattutto a Cristo crocifisso e risorto non si esprime in violenza e intolleranza, ma nel sincero rispetto dell’altro, nel dialogo, in un annuncio che fa appello alla libertà e alla ragione, nell’impegno per la pace e per la riconciliazione. Non potrebbe essere atteggiamento evangelico, né francescano, il non riuscire a coniugare l’accoglienza, il dialogo e il rispetto per tutti con la certezza di fede che ogni cristiano, al pari del Santo di Assisi, è tenuto a 14 15 Cf. Ef 2, 14. Cf. Gv 1, 3. Acta Benedicti Pp. XVI 667 coltivare, annunciando Cristo come via, verità e vita dell’uomo,16 unico Salvatore del mondo. Francesco di Assisi ottenga a questa Chiesa particolare, alle Chiese che sono in Umbria, a tutta la Chiesa che è in Italia, della quale egli, insieme con Santa Caterina da Siena, è patrono, ai tanti che nel mondo si richiamano a lui, la grazia di una autentica e piena conversione all’amore di Cristo. IV Specialis Annus Sacer ad recolendum bis millesimum annum a natali die Sancti Pauli Apostoli.* Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! In questi Primi Vespri della Solennità dei santi Pietro e Paolo facciamo grata memoria di questi due Apostoli, il cui sangue, insieme a quello di tanti altri testimoni del Vangelo, ha reso feconda la Chiesa di Roma. Nel loro ricordo sono lieto di salutare tutti voi, cari fratelli e sorelle, a cominciare dal Signor Cardinale Arciprete e dagli altri Cardinali e Vescovi presenti, dal Padre Abate e dalla Comunità benedettina cui è affidata questa Basilica, fino agli ecclesiastici, alle religiose e ai religiosi e ai fedeli laici qui convenuti. Un saluto particolare dirigo alla Delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, che ricambia la presenza della Delegazione della Santa Sede ad Istanbul, in occasione della festa di sant’Andrea. Come ho avuto modo di dire qualche giorno fa, questi incontri e iniziative non costituiscono semplicemente uno scambio di cortesie tra Chiese, ma vogliono esprimere il comune impegno di fare tutto il possibile per affrettare i tempi della piena comunione tra l’Oriente e l’Occidente cristiani. Con questi sentimenti, mi dirigo con deferenza ai Metropoliti Emmanuel e Gennadios, inviati dal caro Fratello Bartolomeo I, al quale rivolgo un pensiero grato e cordiale. Questa Basilica, che ha visto eventi di profondo significato ecumenico, ci ricorda quanto sia impor16 Cf. Gv 14, 6. ————————— * Die 28 Iunii 2007. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 668 tante pregare insieme per implorare il dono dell’unità, quell’unità per la quale san Pietro e san Paolo hanno speso la loro esistenza sino al supremo sacrificio del sangue. Un’antichissima tradizione, che risale ai tempi apostolici, narra che proprio a poca distanza da questo luogo avvenne l’ultimo loro incontro prima del martirio: i due si sarebbero abbracciati, benedicendosi a vicenda. E sul portale maggiore di questa Basilica essi sono raffigurati insieme, con le scene del martirio di entrambi. Fin dall’inizio, dunque, la tradizione cristiana ha considerato Pietro e Paolo inseparabili l’uno dall’altro, anche se ebbero ciascuno una missione diversa da compiere: Pietro per primo confessò la fede in Cristo, Paolo ottenne in dono di poterne approfondire la ricchezza. Pietro fondò la prima comunità dei cristiani provenienti dal popolo eletto, Paolo divenne l’apostolo dei pagani. Con carismi diversi operarono per un’unica causa: la costruzione della Chiesa di Cristo. Nell’Ufficio delle Letture, la liturgia offre alla nostra meditazione questo noto testo di sant’Agostino: « Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguı̀... Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli ».1 E san Leone Magno commenta: « Dei loro meriti e delle loro virtù, superiori a quanto si possa dire, nulla dobbiamo pensare che li opponga, nulla che li divida, perché l’elezione li ha resi pari, la fatica simili e la fine uguali ».2 A Roma il legame che accomuna Pietro e Paolo nella missione, ha assunto sin dai primi secoli un significato molto specifico. Come la mitica coppia di fratelli Romolo e Remo, ai quali si faceva risalire la nascita di Roma, cosı̀ Pietro e Paolo furono considerati i fondatori della Chiesa di Roma. Dice in proposito san Leone Magno rivolgendosi alla Città: « Sono questi i tuoi santi padri, i tuoi veri pastori, che per farti degna del regno dei cieli, hanno edificato molto più bene e più felicemente di coloro che si adoperarono per gettare le prime fondamenta delle tue mura ».3 Per quanto umanamente diversi l’uno dall’altro, e benché il rapporto tra di loro non fosse esente da tensioni, Pietro e Paolo appaiono dunque come gli iniziatori di una nuova città, come concretizzazione di un modo nuovo e autentico di essere fratelli, reso possibile dal 1 2 3 Disc. 295, 7.8. In natali apostol., 69, 6-7. Omelie 82, 7. Acta Benedicti Pp. XVI 669 Vangelo di Gesù Cristo. Per questo si potrebbe dire che oggi la Chiesa di Roma celebra il giorno della sua nascita, giacché i due Apostoli ne posero le fondamenta. Ed inoltre Roma oggi avverte con più consapevolezza quale sia la sua missione e la sua grandezza. Scrive san Giovanni Crisostomo che « il cielo non è splendido quando il sole diffonde i suoi raggi, come lo è la città di Roma, che irradia lo splendore di quelle fiaccole ardenti (Pietro e Paolo) per tutto il mondo... Questo è il motivo per cui amiamo questa città... per queste due colonne della Chiesa ».4 Dell’apostolo Pietro faremo memoria particolarmente domani, celebrando il divin Sacrificio nella Basilica Vaticana, edificata sul luogo dove egli subı̀ il martirio. Questa sera il nostro sguardo si volge a san Paolo, le cui reliquie sono custodite con grande venerazione in questa Basilica. All’inizio della Lettera ai Romani, come abbiamo ascoltato poco fa, egli saluta la comunità di Roma presentandosi quale « servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione ».5 Utilizza il termine servo, in greco doulos, che indica una relazione di totale e incondizionata appartenenza a Gesù, il Signore, e che traduce l’ebraico ’ebed, alludendo cosı̀ ai grandi servi che Dio ha scelto e chiamato per un’importante e specifica missione. Paolo è consapevole di essere « apostolo per vocazione », cioè non per autocandidatura né per incarico umano, ma soltanto per chiamata ed elezione divina. Nel suo epistolario, più volte l’Apostolo delle genti ripete che tutto nella sua vita è frutto dell’iniziativa gratuita e misericordiosa di Dio.6 Egli fu scelto « per annunciare il vangelo di Dio »,7 per propagare l’annuncio della Grazia divina che riconcilia in Cristo l’uomo con Dio, con se stesso e con gli altri. Dalle sue Lettere sappiamo che Paolo fu tutt’altro che un abile parlatore; anzi condivideva con Mosè e con Geremia la mancanza di talento oratorio. « La sua presenza fisica è debole e la parola dimessa »,8 dicevano di lui i suoi avversari. Gli straordinari risultati apostolici che poté conseguire non sono pertanto da attribuire ad una brillante retorica o a raffinate strategie apologetiche e missionarie. Il successo del suo apostolato dipende soprattutto da un coinvolgimento personale nell’annunciarne il Vangelo con totale dedizione a Cristo; dedizione che non temette rischi, difficoltà e persecuzioni: « Né morte 4 5 6 7 8 Comm. a Rm 32. 1, 1. Cf. 1 Cor 15, 9-10; 2 Cor 4, 1; Gal 1, 15. Rm 1, 1. 2 Cor 10, 10. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 670 né vita — scriveva ai Romani — né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore ».9 Da ciò possiamo trarre una lezione quanto mai importante per ogni cristiano. L’azione della Chiesa è credibile ed efficace solo nella misura in cui coloro che ne fanno parte sono disposti a pagare di persona la loro fedeltà a Cristo, in ogni situazione. Dove manca tale disponibilità, viene meno l’argomento decisivo della verità da cui la Chiesa stessa dipende. Cari fratelli e sorelle, come agli inizi, anche oggi Cristo ha bisogno di apostoli pronti a sacrificare se stessi. Ha bisogno di testimoni e di martiri come san Paolo: un tempo persecutore violento dei cristiani, quando sulla via di Damasco cadde a terra abbagliato dalla luce divina, passò senza esitazione dalla parte del Crocifisso e lo seguı̀ senza ripensamenti. Visse e lavorò per Cristo; per Lui soffrı̀ e morı̀. Quanto attuale è oggi il suo esempio! E proprio per questo, sono lieto di annunciare ufficialmente che all’apostolo Paolo dedicheremo uno speciale anno giubilare dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009, in occasione del bimillenario della sua nascita, dagli storici collocata tra il 7 e il 10 d. C. Questo « Anno Paolino » potrà svolgersi in modo privilegiato a Roma, dove da venti secoli si conserva sotto l’altare papale di questa Basilica il sarcofago, che per concorde parere degli esperti ed incontrastata tradizione conserva i resti dell’apostolo Paolo. Presso la Basilica Papale e presso l’attigua omonima Abbazia Benedettina potranno quindi avere luogo una serie di eventi liturgici, culturali ed ecumenici, come pure varie iniziative pastorali e sociali, tutte ispirate alla spiritualità paolina. Inoltre, una speciale attenzione potrà essere data ai pellegrinaggi che da varie parti vorranno recarsi in forma penitenziale presso la tomba dell’Apostolo per trovare giovamento spirituale. Saranno pure promossi Convegni di studio e speciali pubblicazioni sui testi paolini, per far conoscere sempre meglio l’immensa ricchezza dell’insegnamento in essi racchiuso, vero patrimonio dell’umanità redenta da Cristo. Inoltre, in ogni parte del mondo, analoghe iniziative potranno essere realizzate nelle Diocesi, nei Santuari, nei luoghi di culto da parte di Istituzioni religiose, di studio o di assistenza, che portano il nome di san Paolo o che si ispirano alla sua figura e al suo insegnamento. C’è infine un particolare aspetto che dovrà essere curato con singolare attenzione durante la celebrazione dei vari momenti del bimillenario paolino: mi riferisco 9 8, 38-39. Acta Benedicti Pp. XVI 671 alla dimensione ecumenica. L’Apostolo delle genti, particolarmente impegnato a portare la Buona Novella a tutti i popoli, si è totalmente prodigato per l’unità e la concordia di tutti i cristiani. Voglia egli guidarci e proteggerci in questa celebrazione bimillenaria, aiutandoci a progredire nella ricerca umile e sincera della piena unità di tutte le membra del Corpo mistico di Cristo. Amen! V In sollemnitate Sanctorum Petri et Pauli Apostolorum.* Cari fratelli e sorelle, Ieri pomeriggio mi sono recato nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, dove ho celebrato i Primi Vespri dell’odierna Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. Accanto al sepolcro dell’Apostolo delle genti ho reso omaggio alla sua memoria e ho annunciato l’Anno Paolino che, in occasione del bimillenario della sua nascita, si svolgerà dal 28 giugno 2008 al 29 giugno 2009. Stamani, secondo la tradizione, ci ritroviamo invece presso il sepolcro di San Pietro. Sono presenti, per ricevere il Pallio, gli Arcivescovi Metropoliti nominati durante l’ultimo anno, ai quali va il mio speciale saluto. È presente anche, inviata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, un’eminente Delegazione, che accolgo con cordiale riconoscenza ripensando allo scorso 30 novembre, quando mi trovavo a Istanbul — Costantinopoli per la festa di Sant’Andrea. Saluto il Metropolita greco ortodosso di Francia, Emmanuel, il Metropolita di Sassima, Gennadios, e il Diacono Andreas. Siate i benvenuti, cari fratelli. Ogni anno la visita che reciprocamente ci rendiamo è segno che la ricerca della piena comunione è sempre presente nella volontà del Patriarca ecumenico e del Vescovo di Roma. La festa di oggi mi offre l’opportunità di tornare ancora una volta a meditare sulla confessione di Pietro, momento decisivo del cammino dei discepoli con Gesù. I Vangeli sinottici lo collocano nei pressi di Cesarea di Filippo.1 Giovanni, per parte sua, ci conserva un’altra significativa confessione di Pietro, dopo il miracolo dei pani e il discorso di Gesù nella sinagoga di * Die 29 Iunii 2007. 1 Cf. Mt 16, 13-20; Mc 8, 27-30; Lc 9, 18-22. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 672 Cafarnao.2 Matteo, nel testo appena proclamato, ricorda l’attribuzione a Simone da parte di Gesù del soprannome di Cefa, « Pietra ». Gesù afferma di voler edificare « su questa pietra » la sua Chiesa e, in questa prospettiva, conferisce a Pietro il potere delle chiavi.3 Da questi racconti emerge chiaramente che la confessione di Pietro è inseparabile dall’incarico pastorale a lui affidato nei confronti del gregge di Cristo. Secondo tutti gli Evangelisti, la confessione di Simone avviene in un momento decisivo della vita di Gesù, quando, dopo la predicazione in Galilea, Egli si dirige risolutamente verso Gerusalemme per portare a compimento, con la morte in croce e la risurrezione, la sua missione salvifica. I discepoli sono coinvolti in questa decisione: Gesù li invita a fare una scelta che li porterà a distinguersi dalla folla per diventare la comunità dei credenti in Lui, la sua « famiglia », l’inizio della Chiesa. In effetti, ci sono due modi di « vedere » e di « conoscere » Gesù: uno — quello della folla — più superficiale, l’altro — quello dei discepoli — più penetrante e autentico. Con la duplice domanda: « Che cosa dice la gente — Che cosa dite voi di me? », Gesù invita i discepoli a prendere coscienza di questa diversa prospettiva. La gente pensa che Gesù sia un profeta. Questo non è falso, ma non basta; è inadeguato. Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazaret, la sua novità. Anche oggi è cosı̀: molti accostano Gesù, per cosı̀ dire, dall’esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, Confucio, Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Viene in mente ciò che disse Gesù a Filippo durante l’Ultima Cena: « Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? ».4 Spesso Gesù è considerato anche come uno dei grandi fondatori di religioni, da cui ognuno può prendere qualcosa per formarsi una propria convinzione. Come allora, dunque, anche oggi la « gente » ha opinioni diverse su Gesù. E come allora, anche a noi, discepoli di oggi, Gesù ripete la sua domanda: « E voi, chi dite che io sia? ». Vogliamo fare nostra la risposta di Pietro. Secondo il Vangelo di Marco Egli disse: « Tu sei il Cristo »; 5 in Luca l’affermazione è: « Il Cristo di Dio »; 6 in Matteo suona: « Tu 2 3 4 5 6 Cf. Gv 6, 66-70. Cf. Mt 16, 17-19. Gv 14, 9. 8, 29. 9, 20. Acta Benedicti Pp. XVI 673 sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente »; 7 infine in Giovanni: « Tu sei il Santo di Dio ».8 Sono tutte risposte giuste, valide anche per noi. Soffermiamoci in particolare sul testo di Matteo, riportato dalla liturgia odierna. Secondo alcuni studiosi, la formula che vi compare presuppone il contesto post-pasquale, e addirittura sarebbe legata ad un’apparizione personale di Gesù risorto a Pietro; un’apparizione analoga a quella che ebbe Paolo sulla via di Damasco. In realtà, l’incarico conferito dal Signore a Pietro è radicato nel rapporto personale che il Gesù storico ebbe con il pescatore Simone, a partire dal primo incontro con lui, quando gli disse: « Tu sei Simone... ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro) ».9 Lo sottolinea l’evangelista Giovanni, pescatore anche lui e socio, col fratello Giacomo, dei due fratelli Simone e Andrea. Il Gesù che, dopo la risurrezione chiamò Saulo, è lo stesso che — ancora immerso nella storia — avvicinò, dopo il battesimo nel Giordano, i quattro fratelli pescatori, allora discepoli del Battista.10 Egli andò a cercarli sulla riva del lago di Galilea, e li chiamò a seguirlo per essere « pescatori di uomini ».11 A Pietro poi affidò un compito particolare, riconoscendo cosı̀ in lui uno speciale dono di fede da parte del Padre celeste. Tutto questo, evidentemente, fu poi illuminato dall’esperienza pasquale, ma rimanendo sempre fermamente ancorato nelle vicende storiche precedenti la Pasqua. Il parallelismo tra Pietro e Paolo non può sminuire la portata del cammino storico di Simone con il suo Maestro e Signore, che fin dall’inizio gli attribuı̀ la caratteristica di « roccia » su cui avrebbe edificato la sua nuova comunità, la Chiesa. Nei Vangeli sinottici la confessione di Pietro è sempre seguita dall’annuncio da parte di Gesù della sua prossima passione. Un annuncio di fronte al quale Pietro reagisce, perché non riesce ancora a capire. Eppure si tratta di un elemento fondamentale, su cui perciò Gesù insiste con forza. Infatti, i titoli attribuiti a Lui da Pietro — tu sei « il Cristo », « il Cristo di Dio », « il Figlio del Dio vivente » — si comprendono autenticamente solo alla luce del mistero della sua morte e risurrezione. Ed è vero anche l’inverso: l’avvenimento della Croce rivela il suo senso pieno soltanto se « quest’uomo », che ha patito ed è morto in croce, « era veramente Figlio di Dio », per usare le parole pronunciate 7 8 9 10 11 16, 16. 6, 69. Gv 1, 42. Cf. Gv 1, 35-42. Cf. Mc 1, 16-20. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 674 dal centurione dinanzi al Crocifisso.12 Questi testi dicono chiaramente che l’integrità della fede cristiana è data dalla confessione di Pietro, illuminata dall’insegnamento di Gesù sulla sua « via » verso la gloria, cioè sul suo modo assolutamente singolare di essere il Messia e il Figlio di Dio. Una « via » stretta, un « modo » scandaloso per i discepoli di ogni tempo, che inevitabilmente sono portati a pensare secondo gli uomini e non secondo Dio.13 Anche oggi, come ai tempi di Gesù, non basta possedere la giusta confessione di fede: è necessario sempre di nuovo imparare dal Signore il modo proprio in cui egli è il Salvatore e la via sulla quale dobbiamo seguirlo. Dobbiamo infatti riconoscere che, anche per il credente, la Croce è sempre dura da accettare. L’istinto spinge ad evitarla, e il tentatore induce a pensare che sia più saggio preoccuparsi di salvare se stessi piuttosto che perdere la propria vita per fedeltà all’amore, per fedeltà al Figlio di Dio fattosi uomo. Che cosa era difficile da accettare per la gente a cui Gesù parlava? Che cosa continua ad esserlo anche per molta gente di oggi? Difficile da accettare è il fatto che Egli pretenda di essere non solo uno dei profeti, ma il Figlio di Dio, e rivendichi per sé la stessa autorità di Dio. Ascoltandolo predicare, vedendolo guarire i malati, evangelizzare i piccoli e i poveri, riconciliare i peccatori, i discepoli giunsero poco a poco a capire che Egli era il Messia nel senso più alto del termine, vale a dire non solo un uomo inviato da Dio, ma Dio stesso fattosi uomo. Chiaramente, tutto questo era più grande dı̀ loro, superava la loro capacità di comprendere. Potevano esprimere la loro fede con i titoli della tradizione giudaica: « Cristo », « Figlio di Dio », « Signore ». Ma per aderire veramente alla realtà, quei titoli dovevano in qualche modo essere riscoperti nella loro verità più profonda: Gesù stesso con la sua vita ne ha rivelato il senso pieno, sempre sorprendente, addirittura paradossale rispetto alle concezioni correnti. E la fede dei discepoli ha dovuto adeguarsi progressivamente. Essa ci si presenta come un pellegrinaggio che ha il suo momento sorgivo nell’esperienza del Gesù storico, trova il suo fondamento nel mistero pasquale, ma deve poi avanzare ancora grazie all’azione dello Spirito Santo. Tale è stata anche la fede della Chiesa nel corso della storia, tale è pure la fede di noi, cristiani di oggi. Saldamente appoggiata sulla « roccia » di Pietro, è un pellegrinaggio verso la pienezza di quella verità che il Pescatore 12 13 Cf. Mc 15, 39. Cf. Mt 16, 23. Acta Benedicti Pp. XVI 675 di Galilea professò con appassionata convinzione: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente ».14 Nella professione di fede di Pietro, cari fratelli e sorelle, possiamo sentirci ed essere tutti una cosa sola, malgrado le divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato l’unità della Chiesa con conseguenze che perdurano tuttora. Nel nome dei Santi Pietro e Paolo, rinnoviamo oggi, insieme con i nostri Fratelli venuti da Costantinopoli — che ancora ringrazio per la presenza a questa nostra celebrazione —, l’impegno ad accogliere fino in fondo il desiderio di Cristo, che ci vuole pienamente uniti. Con gli Arcivescovi concelebranti accogliamo il dono e la responsabilità della comunione tra la Sede di Pietro e le Chiese Metropolitane affidate alle loro cure pastorali. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: la sua fede indefettibile, che sostenne la fede di Pietro e degli altri Apostoli, continui a sostenere quella delle generazioni cristiane, la nostra stessa fede: Regina degli Apostoli, prega per noi! Amen. ALLOCUTIONES I Ad Generalem Sessionem sic dictae Confoederationis « Caritas Internationalis ».* Dear Friends, It is a special joy for me to welcome the participants in the Eighteenth General Assembly of Caritas Internationalis. I extend particular greetings to Doctor Denis Viénot and to the President of the Pontifical Council “Cor Unum”, Archbishop Paul Josef Cordes, thanking them for their kind words a few moments ago. I also offer prayerful best wishes to the newly elected President of the Confederation, Cardinal Rodrı́guez Maradiaga. You have all come together in Rome during these days for a significant moment in the life of the Confederation, so that your member organizations can reflect, in an atmosphere of fraternal communion, on the challenges facing you at the present time. Moreover, you have taken important steps shaping your im14 Mt 16, 16. ————————— * Die 8 Iunii 2007. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 676 mediate future by electing the major officers of Caritas Internationalis. I am confident that your deliberations during these days have been of great benefit for you personally, for the work of your member organizations worldwide, and for all those you serve. First of all, let me take this opportunity to thank you for the outstanding witness that your Confederation has given to the world, ever since the founding of the first national Caritas in Germany over a century ago. Since that time, there has been a great proliferation of organizations bearing the name — on parish, diocesan and national levels — and these have been gathered, through the initiative of the Holy See, into the Confederation Caritas Internationalis, which today numbers more than 150 national organizations. It was because of the public character of your charitable activity, rooted in the love of God, that my predecessor the Servant of God John Paul II conferred public and canonical legal personality upon Caritas Internationalis through the Pontifical Letter During the Last Supper of 16 September 2004. This status seals your organization’s ecclesial membership, giving it a specific mission within the Church. It means that your Confederation does not simply work on behalf of the Church, but is truly a part of the Church, intimately engaged in the exchange of gifts that takes place on so many levels of ecclesial life. As a sign of the Holy See’s support for your work, Caritas Internationalis has been granted its wish to be accompanied and guided by the Pontifical Council Cor Unum. So what is the particular mission of your Confederation? What aspect of the Church’s task falls to you and to your member organizations? You are called, by means of the charitable activity that you undertake, to assist in the Church’s mission to spread throughout the world the love of God that has been “poured into our hearts through the Holy Spirit”.1 The very concept of caritas draws us into the heart of Christianity, into the heart of Christ, from which “rivers of living water” flow.2 In the work of charitable organizations like yours, we see the fruits of Christ’s love. I developed this theme in my Encyclical Deus Caritas Est, which I commend to you once more as a reflection on the theological significance of your action in the world. Charity has to be understood in the light of God who is caritas: God who loved the world so much that he gave his only Son.3 In this way we come to see that love finds its greatest fulfilment in the gift of self. This is what Caritas Internationalis 1 2 3 Rom 5:5. Cf. Jn 7:38. Cf. Jn 3:16. Acta Benedicti Pp. XVI 677 seeks to accomplish in the world. The heart of Caritas is the sacrificial love of Christ, and every form of individual and organized charity in the Church must always find its point of reference in him, the source of charity. This theological vision has practical implications for the work of charitable organizations, and today I should like to single out two of them. The first is that every act of charity should be inspired by a personal experience of faith, leading to the discovery that God is Love. The Caritas worker is called to bear witness to that love before the world. Christian charity exceeds our natural capacity for love: it is a theological virtue, as Saint Paul teaches us in his famous hymn to charity.4 It therefore challenges the giver to situate humanitarian assistance in the context of a personal witness of faith, which then becomes a part of the gift offered to the poor. Only when charitable activity takes the form of Christ-like self-giving does it become a gesture truly worthy of the human person created in God’s image and likeness. Lived charity fosters growth in holiness, after the example of the many servants of the poor whom the Church has raised to the dignity of the altars. The second implication follows closely from the first. God’s love is offered to everyone, hence the Church’s charity is also universal in scope, and so it has to include a commitment to social justice. Yet changing unjust structures is not of itself sufficient to guarantee the happiness of the human person. Moreover, as I affirmed recently to the Bishops gathered in Aparecida, Brazil, the task of politics “is not the immediate competence of the Church”.5 Rather, her mission is to promote the integral development of the human person. For this reason, the great challenges facing the world at the present time, such as globalization, human rights abuses, unjust social structures, cannot be confronted and overcome unless attention is focused on the deepest needs of the human person: the promotion of human dignity, well-being and, in the final analysis, eternal salvation. I am confident that the work of Caritas Internationalis is inspired by the principles that I have just outlined. Throughout the world there are countless men and women whose hearts are filled with joy and gratitude for the service you render them. I wish to encourage each one of you to persevere in your special mission to spread the love of Christ, who came so that all may have 4 Cf. 1 Cor 13. Address to the Fifth General Conference of the Bishops of Latin America and the Caribbean, 13 May 2007. 5 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 678 life in abundance. Commending all of you to the intercession of Mary, Mother of the Church, I am pleased to impart my Apostolic Blessing. II In inauguratione Congressus Romanae Dioecesis.* Cari fratelli e sorelle, per il terzo anno consecutivo il Convegno della nostra Diocesi mi offre la possibilità di incontrarvi e di rivolgermi a voi tutti, affrontando la tematica sulla quale la Chiesa di Roma si concentrerà nel prossimo anno pastorale, in stretta continuità con il lavoro svolto nell’anno che si sta concludendo. Saluto con affetto ciascuno di voi, Vescovi, sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, laici che partecipate con generosità alla missione della Chiesa. Ringrazio in particolare il Cardinale Vicario per le parole che mi ha rivolto a nome di tutti voi. Il tema del Convegno è « Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza »: un tema che ci riguarda tutti, perché ogni discepolo confessa che Gesù è il Signore ed è chiamato a crescere nell’adesione a Lui, dando e ricevendo aiuto dalla grande compagnia dei fratelli nella fede. Il verbo « educare », posto nel titolo del Convegno, sottintende però una speciale attenzione ai bambini, ai ragazzi e ai giovani e mette in evidenza quel compito che è proprio anzitutto della famiglia: rimaniamo cosı̀ all’interno di quel percorso che ha caratterizzato negli ultimi anni la pastorale della nostra Diocesi. È importante soffermarci anzitutto sull’affermazione iniziale, che dà il tono e il senso del nostro Convegno: « Gesù è il Signore ». La ritroviamo già nella solenne dichiarazione che conclude il discorso di Pietro a Pentecoste, dove il primo degli Apostoli ha detto: « Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! ».1 Analoga è la conclusione del grande inno a Cristo contenuto nella Lettera di Paolo ai Filippesi: « Ogni lingua proclami che Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre ».2 Ancora san Paolo, nel saluto finale della Prima Lettera ai Corinzi, esclama: « Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. * Die 11 Iunii 2007. 1 2 At 2, 36. 2, 11. Acta Benedicti Pp. XVI 679 Maranà tha: vieni, o Signore »,3 tramandandoci cosı̀ l’antichissima invocazione in lingua aramaica di Gesù come Signore. Si potrebbero aggiungere diverse altre citazioni: penso al dodicesimo capitolo della stessa Lettera ai Corinzi, dove san Paolo dice: « Nessuno può dire: “Gesù è il Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo ».4 E cosı̀ dichiara che questa è la confessione fondamentale della Chiesa, guidata dallo Spirito Santo. Potremmo pensare anche al decimo capitolo della Lettera ai Romani, dove l’Apostolo dice: « Confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore »,5 ricordando anche ai cristiani di Roma che questa parola — « Gesù è il Signore » — è la confessione comune della Chiesa, il fondamento sicuro di tutta la vita della Chiesa. Da queste parole si è sviluppata tutta la confessione del Credo Apostolico, del Credo Niceno. Anche in un altro passo della Prima Lettera ai Corinzi Paolo afferma: « Anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra... — e sappiamo che anche oggi ci sono tanti cosiddetti dèi sulla terra — per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui ».6 Cosı̀, fin dall’inizio, i discepoli hanno riconosciuto in Gesù risorto colui che è nostro fratello in umanità, ma fa anche tutt’uno con Dio; colui che con la sua venuta nel mondo e in tutta la sua vita, la sua morte e risurrezione ci ha portato Dio, ha reso in maniera nuova e unica Dio presente nel mondo, colui dunque che dà significato e speranza alla nostra vita: in lui incontriamo infatti il vero volto di Dio, ciò di cui abbiamo realmente bisogno per vivere. Educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre. È questo, fin dall’inizio, il compito fondamentale della Chiesa, come comunità dei credenti, dei discepoli e degli amici di Gesù. La Chiesa, corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo, è quella compagnia affidabile nella quale siamo generati ed educati per diventare, in Cristo, figli ed eredi di Dio. In lei riceviamo quello Spirito « per mezzo del quale gridiamo “Abbà, Padre!” ».7 Abbiamo sentito ora nell’omelia di sant’Agostino che Dio non è lontano, è divenuto « via » e la « via » stessa è venuta a noi. Egli dice: « Alzati, pigro, e comincia a camminare! ». Cominciare a camminare 3 4 5 6 7 1 Cor 16, 22. 1 Cor 12, 3. Rm 10, 9. 1 Cor 8, 5-6. Rm 8, 14-17. 680 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale vuol dire inoltrarsi sulla « via » che è Cristo stesso, nella compagnia dei credenti; vuol dire camminare aiutandoci reciprocamente a divenire realmente amici di Gesù Cristo e figli di Dio. L’esperienza quotidiana ci dice — e lo sappiamo tutti — che educare alla fede proprio oggi non è un’impresa facile. Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria. Si parla perciò di una grande « emergenza educativa », della crescente difficoltà che s’incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, difficoltà che coinvolge sia la scuola sia la famiglia e si può dire ogni altro organismo che si prefı̀gga scopi educativi. Possiamo aggiungere che si tratta di un’emergenza inevitabile: in una società e in una cultura che troppo spesso fanno del relativismo il proprio credo — il relativismo è diventato una sorta di dogma —, in una simile società viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, lo si considera « autoritario », e si finisce per dubitare della bontà della vita — è bene essere uomo? è bene vivere? — e della validità dei rapporti e degli impegni che costituiscono la vita. Come sarebbe possibile, allora, proporre ai più giovani e trasmettere di generazione in generazione qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un autentico significato e convincenti obiettivi per l’umana esistenza, sia come persone sia come comunità? Perciò l’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere. Cosı̀ sia i genitori sia gli insegnanti sono facilmente tentati di abdicare ai propri compiti educativi e di non comprendere nemmeno più quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. Ma proprio cosı̀ non offriamo ai giovani, alle nuove generazioni, quanto è nostro compito trasmettere loro. Noi siamo debitori nei loro confronti anche dei veri valori che danno fondamento alla vita. Ma questa situazione evidentemente non soddisfa, non può soddisfare, perché lascia da parte lo scopo essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un’educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, lo chiedono tanti insegnanti che vivono la triste esperienza del degrado delle loro scuole, lo chiede la società nel suo complesso, in Acta Benedicti Pp. XVI 681 Italia come in molte altre nazioni, perché vede messe in dubbio dalla crisi dell’educazione le basi stesse della convivenza. In un simile contesto l’impegno della Chiesa per educare alla fede, alla sequela e alla testimonianza del Signore Gesù assume più che mai anche il valore di un contributo per far uscire la società in cui viviamo dalla crisi educativa che la affligge, mettendo un argine alla sfiducia e a quello strano « odio di sé » che sembra diventato una caratteristica della nostra civiltà. Tutto questo non diminuisce però le difficoltà che incontriamo nel condurre i fanciulli, gli adolescenti e i giovani ad incontrare Gesù Cristo e a stabilire con Lui un rapporto duraturo e profondo. Eppure proprio questa è la sfida decisiva per il futuro della fede, della Chiesa e del cristianesimo ed è quindi una priorità essenziale del nostro lavoro pastorale: avvicinare a Cristo e al Padre la nuova generazione, che vive in un mondo per gran parte lontano da Dio. Cari fratelli e sorelle, dobbiamo sempre essere consapevoli che una simile opera non può essere realizzata con le nostre forze, ma soltanto con la potenza dello Spirito. Sono necessarie la luce e la grazia che vengono da Dio e agiscono nell’intimo dei cuori e delle coscienze. Per l’educazione e formazione cristiana, dunque, è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù: solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui. E proprio mosso da questa necessità ho pensato: sarebbe utile scrivere un libro che aiuti a conoscere Gesù. Non dimentichiamoci mai della parola di Gesù: « Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga ».8 Perciò le nostre comunità potranno lavorare con frutto ed educare alla fede e alla sequela di Cristo essendo esse stesse autentiche « scuole » di preghiera,9 nelle quali si vive il primato di Dio. L’educazione inoltre, e specialmente l’educazione cristiana, l’educazione cioè a plasmare la propria vita secondo il modello del Dio che è amore,10 ha bisogno di quella vicinanza che è propria dell’amore. Soprattutto oggi, quando l’isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l’accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto. In concreto, questo accompagnamento 8 9 10 Gv 15, 15-16. Cf. Lett. ap. Novo millennio ineunte, 33. Cf. 1 Gv 4, 8.16. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 682 deve far toccare con mano che la nostra fede non è qualcosa del passato, che essa può essere vissuta oggi e che vivendola troviamo realmente il nostro bene. Cosı̀ i ragazzi e i giovani possono essere aiutati a liberarsi da pregiudizi diffusi e possono rendersi conto che il modo di vivere cristiano è realizzabile e ragionevole, anzi, di gran lunga il più ragionevole. L’intera comunità cristiana, nelle sue molteplici articolazioni e componenti, è chiamata in causa dal grande compito di condurre le nuove generazioni all’incontro con Cristo: su questo terreno, pertanto, deve esprimersi e manifestarsi con particolare evidenza la nostra comunione con il Signore e tra noi, la nostra disponibilità e prontezza a lavorare insieme, a « fare rete », a realizzare con animo aperto e sincero ogni utile sinergia, cominciando dal contributo prezioso di quelle donne e di quegli uomini che hanno consacrato la propria vita all’adorazione di Dio e all’intercessione per i fratelli. È del tutto evidente, però, che nell’educazione e nella formazione alla fede una missione propria e fondamentale ed una responsabilità primaria competono alla famiglia. I genitori infatti sono coloro attraverso i quali il bambino che si affaccia alla vita fa la prima e decisiva esperienza dell’amore, di un amore che in realtà non è soltanto umano ma è un riflesso dell’amore che Dio ha per lui. Perciò tra la famiglia cristiana, piccola « Chiesa domestica »,11 e la più grande famiglia della Chiesa deve svilupparsi la collaborazione più stretta, anzitutto riguardo all’educazione dei figli. Tutto quello che è maturato nei tre anni che la nostra pastorale diocesana ha dedicato specificamente alla famiglia va dunque non solo messo a frutto ma incrementato ulteriormente. Ad esempio, i tentativi di coinvolgere maggiormente i genitori e gli stessi padrini e madrine prima e dopo il battesimo, per aiutarli a capire e ad attuare la loro missione di educatori della fede, hanno già dato risultati apprezzabili e meritano di essere continuati e di diventare patrimonio comune di ciascuna parrocchia. Lo stesso vale per la partecipazione delle famiglie alla catechesi e a tutto l’itinerario di iniziazione cristiana dei fanciulli e degli adolescenti. Sono molte, certamente, le famiglie impreparate a un tale compito e non mancano quelle che sembrano non interessate, se non contrarie, all’educazione cristiana dei propri figli: si fanno sentire qui anche le conseguenze della crisi di tanti matrimoni. Raramente si incontrano però genitori del tutto indifferenti riguardo alla formazione umana e morale dei figli, e quindi non disponibili a farsi aiutare in un’opera educativa che essi avvertono come 11 Cf. Lumen gentium, 11. Acta Benedicti Pp. XVI 683 sempre più difficile. Si apre pertanto uno spazio di impegno e di servizio per le nostre parrocchie, oratori, comunità giovanili, e anzitutto per le stesse famiglie cristiane, chiamate a farsi prossimo di altre famiglie per sostenerle ed assisterle nell’educazione dei figli, aiutandole cosı̀ a ritrovare il senso e lo scopo della vita di coppia. Passiamo adesso ad altri soggetti dell’educazione alla fede. Man mano che i ragazzi crescono aumenta naturalmente in loro il desiderio di autonomia personale, che diventa facilmente, soprattutto nell’adolescenza, presa di distanza critica dalla propria famiglia. Si rivela allora particolarmente importante quella vicinanza che può essere assicurata dal sacerdote, dalla religiosa, dal catechista o da altri educatori capaci di rendere concreto per il giovane il volto amico della Chiesa e l’amore di Cristo. Per generare effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all’autentica libertà. Non c’è infatti vera proposta educativa che non stimoli a una decisione, per quanto rispettosamente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Come ho detto al Convegno ecclesiale di Verona, « un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà ».12 Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani, pur con la loro incostanza e fragilità, non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse. Vogliono anche mostrare la loro generosità nella dedizione ai grandi valori che sono perenni e costituiscono il fondamento della vita. L’educatore autentico prende ugualmente sul serio la curiosità intellettuale che esiste già nei fanciulli e con il passare degli anni assume forme più consapevoli. Sollecitato e spesso confuso dalla molteplicità di informazioni e dal contrasto delle idee e delle interpretazioni che gli vengono continuamente proposte, il giovane di oggi conserva tuttavia dentro di sé un grande bisogno di verità: è aperto quindi a Gesù Cristo che, come ci ricorda Tertulliano,13 « ha 12 13 Discorso del 19 ottobre 2006. De virginibus velandis, I, 1. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 684 affermato di essere la verità, non la consuetudine ». È nostro compito cercare di rispondere alla domanda di verità ponendo senza timori la proposta della fede a confronto con la ragione del nostro tempo. Aiuteremo cosı̀ i giovani ad allargare gli orizzonti della loro intelligenza, aprendosi al mistero di Dio, nel quale si trova il senso e la direzione dell’esistenza, e superando i condizionamenti di una razionalità che si fida soltanto di ciò che può essere oggetto di esperimento e di calcolo. È quindi molto importante sviluppare quella che già lo scorso anno abbiamo chiamato « pastorale dell’intelligenza ». Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò, specialmente quando si tratta di educare alla fede, è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza. Il testimone di Cristo non trasmette semplicemente informazioni, ma è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l’affidabile bontà. L’autentico educatore cristiano è dunque un testimone che trova il proprio modello in Gesù Cristo, il testimone del Padre che non diceva nulla da se stesso, ma parlava cosı̀ come il Padre gli aveva insegnato.14 Questo rapporto con Cristo e con il Padre è per ciascuno di noi, cari fratelli e sorelle, la condizione fondamentale per essere efficaci educatori alla fede. Il nostro Convegno parla molto giustamente di educazione non solo alla fede e alla sequela, ma anche alla testimonianza di Gesù Signore. La testimonianza attiva da rendere a Cristo non riguarda dunque soltanto i sacerdoti, le religiose, i laici che hanno nelle nostre comunità compiti di formatori, ma gli stessi ragazzi e giovani e tutti coloro che vengono educati alla fede. La consapevolezza di essere chiamati a diventare testimoni di Cristo non è pertanto qualcosa che si aggiunge dopo, una conseguenza in qualche modo esterna alla formazione cristiana, come purtroppo spesso si è pensato e anche oggi si continua a pensare, ma al contrario è una dimensione intrinseca ed essenziale dell’educazione alla fede e alla sequela, cosı̀ come la Chiesa è missionaria per sua stessa natura.15 Fin dall’inizio della formazione dei fanciulli, per arrivare, con un cammino progressivo, alla formazione permanente dei cristiani adulti, bisogna quindi che mettano radici nell’animo dei credenti la volontà e la convinzione di essere partecipi della vocazione missionaria della 14 15 Cf. Gv 8, 28. Cf. Ad gentes, 2. Acta Benedicti Pp. XVI 685 Chiesa, in tutte le situazioni e circostanze della propria vita: non possiamo infatti tenere per noi la gioia della fede, dobbiamo diffonderla e trasmetterla, e cosı̀ rafforzarla anche nel nostro cuore. Se la fede realmente diviene gioia di aver trovato la verità e l’amore, è inevitabile provare desiderio di trasmetterla, di comunicarla agli altri. Passa di qui, in larga misura, quella nuova evangelizzazione a cui il nostro amato Papa Giovanni Paolo II ci ha chiamati. Un’esperienza concreta, che potrà far crescere nei giovani delle parrocchie e delle varie aggregazioni ecclesiali la volontà di testimoniare la propria fede, è la « Missione giovani » che state progettando, dopo il felice risultato della grande « Missione cittadina ». Nell’educazione alla fede un compito molto importante è affidato alla scuola cattolica. Essa infatti adempie alla propria missione basandosi su un progetto educativo che pone al centro il Vangelo e lo tiene come decisivo punto di riferimento per la formazione della persona e per tutta la proposta culturale. In convinta sinergia con le famiglie e con la comunità ecclesiale, la scuola cattolica cerca dunque di promuovere quell’unità tra la fede, la cultura e la vita che è obiettivo fondamentale dell’educazione cristiana. Anche le scuole statali, secondo forme e modi diversi, possono essere sostenute nel loro compito educativo dalla presenza di insegnanti credenti — in primo luogo, ma non esclusivamente, i docenti di religione cattolica — e di alunni cristianamente formati, oltre che dalla collaborazione di tante famiglie e della stessa comunità cristiana. La sana laicità della scuola, come delle altre istituzioni dello Stato, non implica infatti una chiusura alla Trascendenza e una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di un’autentica formazione della persona. Un discorso analogo vale naturalmente per le Università ed è davvero di buon auspicio che a Roma la pastorale universitaria abbia potuto svilupparsi in tutti gli Atenei, tanto tra i docenti che tra gli studenti, e sia in atto una feconda collaborazione tra le istituzioni accademiche civili e pontificie. Oggi più che nel passato l’educazione e la formazione della persona sono influenzate da quei messaggi e da quel clima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad una mentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione, o meglio profanazione, del corpo e della sessualità. Perciò, proprio per quel grande « sı̀ » che come credenti in Cristo diciamo all’uomo amato da Dio, non possiamo certo disinteressarci dell’orientamento complessivo Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 686 della società a cui apparteniamo, delle tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sulla formazione delle nuove generazioni. La presenza stessa della comunità dei credenti, il suo impegno educativo e culturale, il messaggio di fede, di fiducia e di amore di cui è portatrice sono in realtà un servizio inestimabile verso il bene comune e specialmente verso i ragazzi e i giovani che si stanno formando e preparando alla vita. Cari fratelli e sorelle, c’è un ultimo punto sul quale desidero attirare la vostra attenzione: esso è sommamente importante per la missione della Chiesa e chiede il nostro impegno e anzitutto la nostra preghiera. Mi riferisco alle vocazioni a seguire più da vicino il Signore Gesù nel sacerdozio ministeriale e nella vita consacrata. La Diocesi di Roma negli ultimi decenni è stata allietata dal dono di molte ordinazioni sacerdotali, che hanno consentito di colmare le lacune del periodo precedente e anche di venire incontro alle richieste di non poche Chiese sorelle bisognose di clero; ma i segnali più recenti sembrano meno favorevoli e stimolano tutta la nostra comunità diocesana a rinnovare al Signore, con umiltà e fiducia, la richiesta di operai per la sua messe.16 In maniera sempre delicata e rispettosa, ma anche chiara e coraggiosa, dobbiamo rivolgere un peculiare invito alla sequela di Gesù a quei giovani e a quelle giovani che appaiono più attratti e affascinati dall’amicizia con Lui. In questa prospettiva la Diocesi destinerà qualche nuovo sacerdote specificamente alla cura delle vocazioni, ma sappiamo bene che in questo campo sono decisivi la preghiera e la qualità complessiva della nostra testimonianza cristiana, l’esempio di vita dei sacerdoti e delle anime consacrate, la generosità delle persone chiamate e delle famiglie da cui esse provengono. Cari fratelli e sorelle, vi affido queste riflessioni come contributo per il dialogo di queste serate e per il lavoro del prossimo anno pastorale. Il Signore ci doni sempre la gioia di credere in Lui, di crescere nella sua amicizia, di seguirlo nel cammino della vita e di rendergli testimonianza in ogni situazione, cosı̀ che possiamo trasmettere a chi verrà dopo di noi l’immensa ricchezza e bellezza della fede in Gesù Cristo. Il mio affetto e la mia benedizione vi accompagnano nel vostro lavoro. Grazie per la vostra attenzione! 16 Cf. Mt 9, 37-38; Lc 10, 2. Acta Benedicti Pp. XVI 687 III Ad Opus Fundatum « Populorum Progressio » pro America Latina.* Queridos hermanos en el Episcopado, Amados hermanos y hermanas: Me es muy grato recibir y saludar con afecto a los miembros del Consejo de Administración de la Fundación « Populorum Progressio » para América Latina y los Paı́ses del Caribe, con ocasión de su reunión anual. Este año celebramos el cuadragésimo aniversario de la encı́clica de mi predecesor Pablo VI, que da nombre a la Fundación. Deseo agradecer a su Presidente, el Arzobispo Mons. Paul Josef Cordes, las amables palabras que me ha dirigido en nombre también de todos vosotros. Agradezco además la presencia del Cardenal Juan Íñiguez Sandoval, de varios Obispos que vienen del « Continente de la esperanza », a algunos de los cuales he podido saludar en mi reciente visita apostólica al Brasil. Saludo asimismo a los representantes de la Conferencia Episcopal Italiana, que tan generosamente contribuye a que se hagan realidad las palabras de san Ignacio de Antioquı́a, cuando dice que la Iglesia de Roma « preside a la caridad ».1 De modo especial, doy las gracias a todos aquellos que nos ayudan a realizar esta misión tan significativa. Deseo saludar, por fin, a los colaboradores del Consejo Pontificio Cor Unum, presentes también en este encuentro con el Sucesor de Pedro. Gracias por el continuo trabajo que estáis llevando a cabo en favor de los más pobres. Desde hace quince años, cuando mi amado predecesor Juan Pablo II erigió la Fundación « Populorum Progressio » confiándola a la responsabilidad del Consejo Pontificio Cor Unum, ésta se ha dedicado a promover la misión de la Iglesia sosteniendo iniciativas especı́ficas en favor de las poblaciones indı́genas, campesinas y afroamericanas de los Paı́ses latinoamericanos y caribeños. Al instituir esta Fundación, el Papa pensaba en los pueblos que, amenazados en sus costumbres ancestrales por una cultura postmoderna, pueden ver destruı́das sus propias tradiciones, tan dispuestas a acoger la verdad del Evangelio. La Fundación es fruto de la gran sensibilidad que Juan Pablo II demostraba por los hombres y mujeres que más sufren en nuestra sociedad. Este trabajo, emprendido hace quince años, debe continuar siguiendo los * Die 14 Iunii 2007. 1 A los Romanos, Proemio. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 688 principios que han distinguido su empeño en favor de la dignidad de todo ser humano y de la lucha contra la pobreza. Quiero subrayar aquı́ dos caracterı́sticas de la Fundación. En primer lugar, el desarrollo de los pueblos debe tener como principio pastoral una visión antropológica global de la persona humana, aspecto que el artı́culo segundo de los Estatutos de la Fundación llama « promoción integral ». En este sentido, al definir este concepto el Papa Pablo VI afirmaba en su encı́clica: « Es un humanismo pleno el que hay que promover. ¿Qué quiere decir esto sino el desarrollo integral de todo el hombre y de todos los hombres? Un humanismo cerrado, impenetrable a los valores del espı́ritu y a Dios, que es la fuente de ellos, podrı́a aparentemente triunfar. [...] No hay, pues, más que un humanismo verdadero, que se abre al Absoluto en el reconocimiento de una vocación que da la idea verdadera de la vida humana ».2 Esta promoción integral tiene en cuenta el aspecto social y material de la vida, ası́ como el anuncio de fe, la cual da al hombre el sentido pleno de su ser. A menudo, la verdadera pobreza del hombre es la falta de esperanza, la ausencia de un Padre que dé sentido a la propia existencia: « con frecuencia, la raı́z más profunda del sufrimiento es precisamente la ausencia de Dios ».3 La segunda caracterı́stica es la ejemplaridad del método de trabajo de la Fundación, modelo para toda estructura de ayuda. Los proyectos son estudiados por un Consejo de Administración, compuesto por Obispos de diversas áreas de América Latina, los cuales hacen una valoración de los mismos. De este modo, la decisión está en manos de quienes conocen bien los problemas de aquellas poblaciones y sus necesidades concretas. Ası́, por un lado, se evita un cierto paternalismo, siempre humillante para los pobres y que frena su propia iniciativa y, por otro, los fondos llegan en su totalidad a los más necesitados sin perderse en grandes procesos burocráticos. Como he afirmado en mi reciente viaje pastoral a Aparecida, la Iglesia en aquellas naciones afronta enormes desafı́os, pero al mismo tiempo es la « Iglesia de la esperanza », que siente la necesidad de luchar en favor de la dignidad de todo hombre, de una verdadera justicia y contra la miseria de nuestros semejantes. América Latina es una parte del mundo, rica por sus recursos naturales, donde las diferencias en el nivel de vida deben dar paso a ese espı́ritu de compartir los bienes, como se manifiesta en la conversión y posterior actitud de Zaqueo, el publicano del Evangelio: « La mitad de mis bienes, 2 3 N. 42. Deus caritas est, 31. Acta Benedicti Pp. XVI 689 Señor, se la doy a los pobres; y si de alguno me he aprovechado, le restituiré cuatro veces más ».4 Frente a la secularización, la proliferación de las sectas y la indigencia de tantos hermanos, es apremiante formar comunidades unidas en la fe, como la Sagrada Familia de Nazaret, en las que el testimonio alegre de quien se ha encontrado con el Señor sea la luz que ilumine a quienes están buscando una vida más digna. Encomiendo los trabajos de este Consejo Pontificio Cor Unum y de la Fundación « Populorum Progressio » a la intercesión de Nuestra Señora de Guadalupe, patrona de toda América. Que Ella os asista y os guı́e siempre. Como expresión de estos vivos deseos, imparto con afecto a todos vosotros, a vuestros familiares y colaboradores, la Bendición Apostólica. IV Die quo Sua Beatitudo Chrysostomus II, Archiepiscopus Novae Iustinianae totiusque Graeciae, Summum Pontificem Benedictum XVI invisit.* Beatitudine e caro Fratello, La accolgo quest’oggi con gioia, sentendo risuonare nel cuore le parole dell’apostolo Paolo: « Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo ».1 La Sua visita è un dono del Dio della perseveranza e della consolazione, di cui san Paolo parla rivolgendosi a coloro che ascoltavano per la prima volta a Roma il Messaggio della salvezza. Del dono della perseveranza facciamo oggi esperienza poiché, nonostante la presenza di secolari divisioni, di strade divergenti, e malgrado la fatica di ricucire dolorose ferite, il Signore non ha cessato di guidare i nostri passi sulla via dell’unità e della riconciliazione. E questo è per tutti noi motivo di consolazione, poiché l’odierno nostro incontro si inserisce in un cammino di sempre più intensa ricerca di quella piena comunione tanto auspicata da Cristo: « ut omnes unum sint ». 2 4 Cf. Lc 19, 8. ————————— * Die 16 Iunii 2007. 1 2 Rm 15, 5-6. Cf. Gv 17, 21. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 690 Sappiamo bene come l’adesione a questo ardente desiderio del Signore non possa e non debba essere proclamata soltanto a parole né in maniera solo formale. Per questo Ella, Beatitudine, ripercorrendo i passi dell’Apostolo delle Genti, non è venuto da Cipro a Roma semplicemente per uno « scambio dı̀ cortesia ecumenica », ma per ribadire la ferma decisione di perseverare nell’orazione affinché il Signore ci indichi come giungere alla piena comunione. Questa Sua visita è al tempo stesso motivo di intensa gioia, poiché già nel nostro incontrarci ci è dato di assaporare la bellezza dell’auspicata piena unità dei cristiani. Grazie, Beatitudine, per questo gesto di stima e di amicizia fraterna. Nella Sua persona saluto il Pastore di una Chiesa antica ed illustre, splendente tessera di quel fulgido mosaico, l’Oriente, che, secondo l’espressione cara al Servo di Dio Giovanni Paolo II, di venerata memoria, costituisce uno dei due polmoni con cui respira la Chiesa. La Sua gradita presenza mi richiama alla memoria la fervente predicazione di san Paolo a Cipro 3 e l’avventuroso viaggio che lo condusse fino a Roma, dove annunciò lo stesso Vangelo e sigillò la sua luminosa testimonianza di fede con il martirio. Il ricordo dell’Apostolo delle Genti non ci invita forse a volgere con umiltà e speranza il cuore a Cristo, che è il nostro unico Maestro? Con il suo aiuto divino non dobbiamo stancarci di cercare insieme le vie dell’unità, superando quelle difficoltà che nel corso della storia hanno determinato tra i cristiani divisioni e reciproca diffidenza. Ci conceda il Signore di poter presto accostarci allo stesso altare per condividere tutti insieme l’unica mensa del Pane e del Vino eucaristici. AccogliendoLa, caro Fratello nel Signore, vorrei rendere omaggio all’antica e veneranda Chiesa di Cipro, ricca di santi, tra i quali mi piace ricordare particolarmente Barnaba, compagno e collaboratore dell’apostolo Paolo, ed Epifanio, Vescovo di Costanza, un tempo Salamina, oggi Famagosta. Epifanio, che svolse il suo ministero episcopale per 35 anni in un periodo turbolento per la Chiesa a causa della riviviscenza ariana e delle emergenti controversie dei « pneumatòmachi », scrisse opere con chiaro intento catechetico e apologetico, come egli stesso spiega nell’Ancoratus. Questo interessante trattato contiene due Simboli di fede, il Simbolo niceno-costantinopolitano ed il Simbolo della tradizione battesimale di Costanza, corrispondente alla fede nicena, ma diversamente formulato e ampliato, e « più atto — rileva lo stesso Epifanio — a combattere gli insorgenti errori, benché conforme a quella [fede] 3 Cf. At 13, 4 e ss. Acta Benedicti Pp. XVI 691 determinata dai suddetti Santi Padri » del Concilio di Nicea.4 In esso — egli spiega — noi affermiamo la fede nello « Spirito Santo, Spirito di Dio, Spirito perfetto. Spirito consolatorc, Increato, che procede dal Padre e prende dal Figlio, oggetto della nostra fede ».5 Da buon pastore, Epifanio indica al gregge affidatogli da Cristo le verità da credere, il cammino da percorrere e gli scogli da evitare. Ecco un metodo valido anche oggi per l’annuncio del Vangelo, specialmente alle nuove generazioni, fortemente influenzate da correnti di pensiero contrarie allo spirito evangelico. La Chiesa si trova ad affrontare in questo inizio del terzo millennio sfide e problematiche non molto dissimili da quelle con cui ebbe a confrontarsi il pastore Epifanio. Come allora, anche oggi occorre vigilare attentamente per mettere in guardia il Popolo di Dio dai falsi profeti, dagli errori e dalla superficialità di proposte non conformi all’insegnamento del divino Maestro, nostro unico Salvatore. Al tempo stesso, urge trovare un linguaggio nuovo per proclamare la fede che ci accomuna, un linguaggio condiviso, un linguaggio spirituale capace di trasmettere fedelmente le verità rivelate, aiutandoci cosı̀ a ricostruire, nella verità e nella carità, la comunione tra tutti i membri dell’unico Corpo di Cristo. Questa necessità, che tutti avvertiamo, ci spinge a proseguire senza scoraggiarci il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa nel suo insieme; essa ci orienta ad utilizzare strumenti validi e stabili, perché la ricerca della comunione non sia discontinua ed occasionale nella vita e nella missione delle nostre Chiese. Dinanzi all’opera immane che ci attende e che va al di là delle capacità umane, è necessario affidarsi innanzitutto alla preghiera. Questo non toglie che sia doveroso mettere in atto anche oggi ogni valido mezzo umano, che possa giovare allo scopo. In quest’ottica considero la Sua visita un’iniziativa quanto mai utile per farci progredire verso l’unità voluta da Cristo. Sappiamo che questa unità è dono e frutto dello Spirito Santo; ma sappiamo anche che essa domanda, allo stesso tempo, uno sforzo costante, animato da una volontà certa e da una speranza incrollabile nella potenza del Signore. Grazie, pertanto, Beatitudine, di essere venuto a farmi visita insieme con i fratelli che La accompagnano; grazie per questa presenza che esprime concretamente il desiderio di ricercare insieme la piena comunione. Da parte mia Le assicuro di condividere questo stesso desiderio, sostenuto da una ferma speranza. Sı̀, « il Dio della perseveranza e della consolazione ci conceda di avere gli uni verso gli 4 5 Ancoratus, n. 119. Ibid. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 692 altri gli stessi sentimenti ad esempio di Cristo ». Cosı̀ ci rivolgiamo fiduciosi al Signore, perché conduca i nostri passi sulla via della pace, della gioia e dell’amore. V Ad iuvenes Assisii congregatos apud Basilicam Sanctae Mariae Angelorum.* Carissimi giovani, Grazie per la vostra accoglienza cosı̀ calorosa, sento in voi la fede, sento la gioia di essere cristiani cattolici. Grazie per le parole affettuose e per le importanti domande che i vostri due rappresentanti mi hanno rivolto. Spero di dire qualcosa nel corso di questo incontro su queste domande che sono domande della vita; quindi, non posso dare adesso una risposta esauriente, ma cerco di dire qualcosa, ma soprattutto, saluto tutti voi, giovani di questa Diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino, con il vostro Vescovo, Mons. Domenico Sorrentino. Saluto voi, giovani di tutte le Diocesi dell’Umbria, qui convenuti con i vostri Pastori. Saluto naturalmente anche voi, giovani venuti da altre regioni d’Italia, accompagnati dai vostri animatori francescani. Un cordiale saluto rivolgo al Cardinale Attilio Nicora, mio Legato per le Basiliche papali di Assisi, e ai Ministri Generali dei vari Ordini francescani. Ci accoglie qui, con Francesco, il cuore della Madre, la « Vergine fatta Chiesa », come egli ama invocarla.1 Francesco aveva per la chiesetta della Porziuncola, custodita in questa Basilica di Santa Maria degli Angeli, un affetto speciale. Essa fu tra le chiese che egli si diede a riparare nei primi anni della sua conversione e dove ascoltò e meditò il Vangelo della missione.2 Dopo i primi passi di Rivotorto, fu qui che egli pose il « quartier generale » dell’Ordine, dove i frati potessero raccogliersi quasi come nel grembo materno, per rigenerarsi e ripartire pieni di slancio apostolico. Qui ottenne per tutti una sorgente di misericordia nell’esperienza del « grande perdono » del quale tutti abbiamo sempre bisogno. Qui infine visse il suo incontro con « sorella morte ». Cari giovani, voi sapete che il motivo che mi ha portato ad Assisi è stato il desiderio di rivivere il cammino interiore di Francesco, in occasione * Die 17 Iunii 2007. 1 2 Cf. Saluto alla Beata Vergine Maria, 1: FF 259. Cf. 1 Cel I, 9, 22: FF 356. Acta Benedicti Pp. XVI 693 dell’VIII centenario della sua conversione. Questo momento del mio pellegrinaggio ha un significato particolare. Ho pensato questo momento come culmine della mia giornata. San Francesco parla a tutti, ma so che ha proprio per voi giovani un’attrazione speciale. Me lo conferma la vostra presenza cosı̀ numerosa, come anche gli interrogativi che mi avete posto. La sua conversione avvenne quando era nel pieno della sua vitalità, delle sue esperienze, dei suoi sogni. Aveva trascorso venticinque anni senza venire a capo del senso della vita. Pochi mesi prima di morire, ricorderà quel periodo come il tempo in cui « era nei peccati ».3 A che cosa pensava, Francesco, parlando di peccati? Stando alle biografie, ciascuna delle quali ha un suo taglio, non è facile determinarlo. Un efficace ritratto del suo modo di vivere si trova nella Leggenda dei tre compagni, dove si legge: « Francesco era tanto più allegro e generoso, dedito ai giochi e ai canti, girovagava per la città di Assisi giorno e notte con amici del suo stampo, tanto generoso nello spendere da dissipare in pranzi e altre cose tutto quello che poteva avere o guadagnare ».4 Di quanti ragazzi anche ai nostri giorni non si potrebbe dire qualcosa di simile? Oggi poi c’è la possibilità di andare a divertirsi ben oltre la propria città. Le iniziative di svago durante i week-end raccolgono tanti giovani. Si può « girovagare » anche virtualmente « navigando » in internet, cercando informazioni o contatti di ogni tipo. Purtroppo non mancano — ed anzi sono tanti, troppi! — i giovani che cercano paesaggi mentali tanto fatui quanto distruttivi nei paradisi artificiali della droga. Come negare che sono molti i ragazzi, e non ragazzi, tentati di seguire da vicino la vita del giovane Francesco, prima della sua conversione? Sotto quel modo di vivere c’era il desiderio di felicità che abita ogni cuore umano. Ma poteva quella vita dare la gioia vera? Francesco certo non la trovò. Voi stessi, cari giovani, potete fare questa verifica a partire dalla vostra esperienza. La verità è che le cose finite possono dare barlumi di gioia, ma solo l’Infinito può riempire il cuore. Lo ha detto un altro grande convertito, Sant’Agostino: « Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te ».5 Sempre lo stesso testo biografico ci riferisce che Francesco era piuttosto vanitoso. Gli piaceva farsi confezionare abiti sontuosi e andava alla ricerca 3 4 5 Cf. 2 Test 1: FF 110. 3 Comp 1, 2: FF 1396. Confess. 1, 1. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 694 dell’originalità.6 Nella vanità, nella ricerca dell’originalità, c’è qualcosa da cui tutti siamo in qualche modo toccati. Oggi si suol parlare di « cura dell’immagine », o di « ricerca dell’immagine ». Per poter avere un minimo di successo, abbiamo bisogno di accreditarci agli occhi altrui con qualcosa di inedito, di originale. In certa misura, questo può esprimere un innocente desiderio di essere ben accolti. Ma spesso vi si insinua l’orgoglio, la ricerca smodata di noi stessi, l’egoismo e la voglia di sopraffazione. In realtà, centrare la vita su se stessi è una trappola mortale: noi possiamo essere noi stessi solo se ci apriamo nell’amore, amando Dio e i nostri fratelli. Un aspetto che impressionava i contemporanei di Francesco era anche la sua ambizione, la sua sete di gloria e di avventura. Fu questo a portarlo sul campo di battaglia, facendolo finire prigioniero per un anno a Perugia. La stessa sete di gloria, una volta libero, lo avrebbe portato nelle Puglie, in una nuova spedizione militare, ma proprio in questa circostanza, a Spoleto, il Signore si fece presente al suo cuore, lo indusse a tornare sui suoi passi, e a mettersi seriamente in ascolto della sua Parola. È interessante annotare come il Signore abbia preso Francesco per il suo verso, quello della voglia di affermarsi, per additargli la strada di un’ambizione santa, proiettata sull’infinito: « Chi può esserti più utile: il padrone o il servo? »,7 fu la domanda che egli sentı̀ risuonare nel suo cuore. È come dire: perché accontentarti di stare alle dipendenze degli uomini, quando c’è un Dio pronto ad accoglierti nella sua casa, al suo servizio regale? Cari giovani, mi avete ricordato alcuni problemi della condizione giovanile, della vostra difficoltà a costruirvi un futuro, e soprattutto della fatica a discernere la verità. Nel racconto della passione di Cristo troviamo la domanda di Pilato: « Che cos’è la verità? ».8 È la domanda di uno scettico che dice: « Ma, tu dici di essere la verità, ma che cosa è la verità? ». E cosı̀ essendo irriconoscibile la verità, Pilato lascia intendere: facciamo secondo quanto è più pratico, ha più successo e non cercando la verità. Condanna poi Gesù a morte, perché segue il pragmatismo, il successo, la sua propria fortuna. Anche oggi, tanti dicono: « ma, che cosa è la verità? Possiamo trovarne frammenti, ma la verità come potremmo trovarla? ». È realmente arduo credere che questa sia la verità: Gesù Cristo, la vera Vita, la bussola della nostra vita. E tuttavia, se cominciamo, come è una grande tentazione, a vivere solo 6 7 8 Cf. 3 Comp 1, 2: FF 1396. 3 Comp 2, 6: FF 1401. Gv 18, 38. Acta Benedicti Pp. XVI 695 secondo le possibilità del momento, senza verità, veramente perdiamo il criterio e perdiamo anche il fondamento della pace comune che può essere solo la verità. E questa verità è Cristo. La verità di Cristo si è verificata nella vita dei santi di tutti i secoli. I santi sono la grande traccia di luce nella storia che attesta: questa è la vita, questo è il cammino, questa è la verità. Perciò, abbiamo il coraggio di dire sı̀ a Gesù Cristo: « La tua verità è verifı̀cata nella vita di tanti santi. Ti seguiamo! ». Cari giovani, venendo dalla Basilica del Sacro Convento, qui, ho pensato che parlare quasi un’ora da solo, forse non è bene. Perciò, penso sarebbe adesso il momento per una pausa, per un canto. So che avete fatto tanti canti, forse posso sentire un canto vostro in questo momento. Allora, abbiamo sentito ripetere nel canto che san Francesco ha sentito la voce. Ha sentito nel suo cuore la voce di Cristo, e che cosa succede? Succede che capisce che deve mettersi al servizio dei fratelli, soprattutto dei più sofferenti. Questa è la conseguenza di questo primo incontro con la voce di Cristo. Questa mattina, passando per Rivotorto, ho dato uno sguardo al luogo in cui, secondo la tradizione, erano raccolti i lebbrosi: gli ultimi, gli emarginati, nei confronti dei quali Francesco provava un irresistibile senso di ribrezzo. Toccato dalla grazia, egli aprı̀ loro il suo cuore. E lo fece non solo attraverso un pietoso gesto di elemosina, sarebbe troppo poco, ma baciandoli e servendoli. Egli stesso confessa che quanto prima gli risultava amaro, divenne per lui « dolcezza di anima e di corpo ».9 La grazia quindi comincia a plasmare Francesco. Egli diventò sempre più capace di fissare il suo sguardo sul volto di Cristo e di ascoltarne la voce. Fu a quel punto che il Crocifisso di San Damiano gli rivolse la parola chiamandolo a un’ardita missione: « Va’, Francesco, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina ».10 Sostando questa mattina a San Damiano, e poi nella Basilica di Santa Chiara, dove si conserva il Crocifisso originale che parlò a Francesco, ho fissato anch’io i miei occhi in quegli occhi di Cristo. È l’immagine del Cristo Crocifisso-Risorto, vita della Chiesa, che parla anche in noi se siamo attenti, come duemila anni fa parlò ai suoi apostoli e ottocento anni fa parlò a Francesco. La Chiesa vive continuamente di questo incontro. Sı̀, cari giovani: lasciamoci incontrare da Cristo! Fidiamoci di Lui, ascoltiamo la sua Parola. In Lui non c’è soltanto un essere umano affascinante. Certo, egli è pienamente uomo, e in tutto simile a noi, tranne che nel pecca9 10 2 Test 3: FF 110. 2 Cel I, 6, 10: FF 593. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 696 to.11 Ma è anche molto di più: Dio si è fatto uomo in Lui e pertanto è l’unico Salvatore, come dice il suo stesso nome: Gesù, ossia « Dio salva ». Ad Assisi si viene per apprendere da San Francesco il segreto per riconoscere Gesù Cristo e fare esperienza di Lui. Ecco che cosa sentiva Francesco per Gesù, stando a ciò che narra il suo primo biografo: « Gesù portava sempre nel cuore. Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra... Anzi, trovandosi molte volte in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù ».12 Cosı̀ vediamo che la comunione con Gesù apre anche il cuore e gli occhi per il creato. Francesco, insomma, era un vero innamorato di Gesù. Lo incontrava nella Parola di Dio, nei fratelli, nella natura, ma soprattutto nella sua presenza eucaristica. Scriveva a tal proposito nel Testamento: « Dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e il santissimo sangue suo ».13 Il Natale di Greccio esprime il bisogno di contemplarlo nella sua tenera umanità di bimbo.14 L’esperienza della Verna, dove riceve le stimmate, mostra a quale grado di intimità egli fosse arrivato nel rapporto con Cristo crocifisso. Egli poteva realmente dire con Paolo: « Per me vivere è Cristo ».15 Se si spoglia di tutto e sceglie la povertà, il motivo di tutto questo è Cristo, e solo Cristo. Gesù è il suo tutto: e gli basta! Proprio perché di Cristo, Francesco è anche uomo della Chiesa. Dal Crocifisso di San Damiano aveva avuto l’indicazione di riparare la casa di Cristo, che è appunto la Chiesa. Tra Cristo e la Chiesa c’è un rapporto intimo e indissolubile. Essere chiamato a ripararla implicava, certo, nella missione di Francesco, qualcosa di proprio e di originale. Al tempo stesso, quel compito null’altro era, in fondo, che la responsabilità attribuita da Cristo ad ogni battezzato. E anche ad ognuno di noi dice: « Va’, e ripara la mia casa ». Noi tutti siamo chiamati a riparare in ogni generazione di nuovo la casa di Cristo, la Chiesa. E solo facendo cosı̀ vive la Chiesa e diventa bella. E come sappiamo, ci sono tanti modi di riparare, di edificare, di costruire la casa di Dio, la 11 12 13 14 15 Cf. Eb 4, 15. 1 Cel II, 9, 115: FF 115. 2 Test 10: FF 113. Cf. 1 Cel I, 30, 85-86: FF 469-470. Fil 1, 21. Acta Benedicti Pp. XVI 697 Chiesa. Si edifica poi attraverso le più diverse vocazioni, da quella laicale e familiare, alla vita di speciale consacrazione, alla vocazione sacerdotale. Una parola, a questo punto, desidero spendere proprio su quest’ultima vocazione. Francesco, che fu diacono, non sacerdote,16 nutriva per i sacerdoti una venerazione grande. Pur sapendo che anche nei ministri di Dio c’è tanta povertà e fragilità, li vedeva come ministri del Corpo di Cristo, e ciò bastava a far scaturire in lui un senso di amore, di riverenza e di obbedienza.17 Il suo amore per i sacerdoti è un invito a riscoprire la bellezza di questa vocazione. Essa è vitale per il popolo di Dio. Cari giovani, circondate di amore e gratitudine i vostri sacerdoti. Se il Signore dovesse chiamare qualcuno di voi a questo grande ministero, come anche a qualche forma di vita consacrata, non esitate a dire il vostro sı̀. Sı̀ non è facile, ma è bello essere ministri del Signore, è bello spendere la vita per Lui! Affetto veramente filiale il giovane Francesco sentı̀ nei confronti del suo Vescovo, e fu nelle sue mani che, spogliandosi di tutto, fece la professione di una vita ormai totalmente consacrata al Signore.18 Sentı̀ in modo speciale la missione del Vicario di Cristo, al quale sottopose la sua Regola e affidò il suo Ordine. Se i Papi hanno mostrato tanto affetto ad Assisi, lungo la storia, questo in certo senso è un ricambiare l’affetto che Francesco ha avuto per il Papa. Io sono felice, carissimi giovani, di essere qui, sulla scia dei miei Predecessori, e in particolare dell’amico, dell’amato Papa Giovanni Paolo II. Come a cerchi concentrici, l’amore di Francesco per Gesù si dilata non solo sulla Chiesa ma su tutte le cose, viste in Cristo e per Cristo. Nasce di qui il Cantico delle Creature, in cui l’occhio riposa nello splendore del Creato: da fratello sole a sorella luna, da sorella acqua a frate fuoco. Il suo sguardo interiore è diventato cosı̀ puro e penetrante da scorgere la bellezza del Creatore nella bellezza delle creature. Il Cantico di frate sole, prima di essere un’altissima pagina di poesia e un implicito invito al rispetto del creato, è una preghiera, una lode rivolta al Signore, al Creatore di tutto. All’insegna della preghiera è da vedere anche l’impegno di Francesco per la pace. Questo aspetto della sua vita è di grande attualità, in un mondo che di pace ha tanto bisogno e non riesce a trovarne la via. Francesco fu un uomo di pace e un operatore di pace. Lo mostrò anche nella mitezza con cui si pose, senza tuttavia mai tacere la sua fede, di fronte ad uomini di altre fedi, come 16 17 18 Cf. 1 Cel I, 30, 86: FF 470. Cf. 2 Test 6-10: FF 112-113. Cf. 1 Cel I, 6, 15: FF 344. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 698 dimostra il suo incontro con il Sultano.19 Se oggi il dialogo interreligioso, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, è diventato patrimonio comune e irrinunciabile della sensibilità cristiana, Francesco può aiutarci a dialogare autenticamente, senza cadere in un atteggiamento di indifferenza nei confronti della verità o nell’attenuazione del nostro annuncio cristiano. Il suo essere uomo di pace, di tolleranza, di dialogo, nasce sempre dall’esperienza di Dio-Amore. Il suo saluto di pace è, non a caso, una preghiera: « Il Signore ti dia la pace ».20 Cari giovani, la vostra numerosa presenza qui dice quanto la figura di Francesco parli al vostro cuore. Io volentieri vi riconsegno il suo messaggio, ma soprattutto la sua vita e la sua testimonianza. È tempo di giovani che, come Francesco, facciano sul serio e sappiano entrare in un rapporto personale con Gesù. È tempo di guardare alla storia di questo terzo millennio da poco iniziato come a una storia che ha più che mai bisogno di essere lievitata dal Vangelo. Faccio ancora una volta mio l’invito che il mio amato Predecessore, Giovanni Paolo II, amava sempre rivolgere, specialmente ai giovani: « Aprite le porte a Cristo ». Apritele come fece Francesco, senza paura, senza calcoli, senza misura. Siate, cari giovani, la mia gioia, come lo siete stati di Giovanni Paolo II. Da questa Basilica dedicata a Santa Maria degli Angeli vi do appuntamento alla Santa Casa di Loreto, ai primi di settembre, per l’Agorà dei giovani italiani. A voi tutti la mia benedizione. Grazie per tutto, per la vostra presenza, per la vostra preghiera. VI Ad Suam Sanctitatem Mar Dinkha IV, Catholicum Ecclesiae Assyriae Orientalis Patriarcham.* Your Holiness, I am pleased to welcome you to the Vatican, together with the Bishops and the priests who have accompanied you on this visit. My warm greetings extend to all the members of the Holy Synod, the clergy and the faithful of the Assyrian Church of the East. I pray — in the words of the Apostle Saint Paul — that “the Lord himself, who is our source of joy, may give you peace 19 Cf. 1 Cel I, 20, 57: FF 422. 2 Test 23: FF 121. ——————— 20 * Die 21 Iunii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 699 at all times and in every way”.1 On several occasions Your Holiness met with my beloved predecessor Pope John Paul II. Most significant was your visit in November 1994, when you came to Rome, accompanied by members of your Holy Synod, to sign a Common Declaration concerning Christology. This Declaration included the decision to establish a Joint Commission for Theological Dialogue between the Catholic Church and the Assyrian Church of the East. The Joint Commission has undertaken an important study of the sacramental life in our respective traditions and forged an agreement on the Anaphora of the Apostles Addai and Mari. I am most grateful for the results of this dialogue, which hold out the promise of further progress on other disputed questions. Indeed, these achievements deserve to be better known and appreciated, since they make possible various forms of pastoral cooperation between our two communities. The Assyrian Church of the East is rooted in ancient lands whose names are associated with the history of God’s saving plan for all mankind. At the time of the early Church, the Christians of these lands made a remarkable contribution to the spread of the Gospel, particularly through their missionary activity in the more remote areas of the East. Today, tragically, Christians in this region are suffering both materially and spiritually. Particularly in Iraq, the homeland of so many of the Assyrian faithful, Christian families and communities are feeling increasing pressure from insecurity, aggression and a sense of abandonment. Many of them see no other possibility than to leave the country and to seek a new future abroad. These difficulties are a source of great concern to me, and I wish to express my solidarity with the pastors and the faithful of the Christian communities who remain there, often at the price of heroic sacrifices. In these troubled areas the faithful, both Catholic and Assyrian, are called to work together. I hope and pray that they will find ever more effective ways to support and assist one another for the good of all. As a result of successive waves of emigration, many Christians from the Eastern Churches are now living in the West. This new situation presents a variety of challenges to their Christian identity and their life as a community. At the same time, when Christians from the East and West live side by side, they have a precious opportunity to enrich one another and to understand more fully the catholicity of the Church, which, as a pilgrim in this world, lives, prays and bears witness to Christ in a variety of cultural, social and 1 2 Th 3:16. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 700 human contexts. With complete respect for each other’s doctrinal and disciplinary traditions, Catholic and Assyrian Christians are called to reject antagonistic attitudes and polemical statements, to grow in understanding of the Christian faith which they share and to bear witness as brothers and sisters to Jesus Christ “the power of God and the wisdom of God”.2 New hopes and possibilities sometimes awaken new fears, and this is also true with regard to ecumenical relations. Certain recent developments in the Assyrian Church of the East have created some obstacles to the promising work of the Joint Commission. It is to be hoped that the fruitful labour which the Commission has accomplished over the years can continue, while never losing sight of the ultimate goal of our common journey towards the re-establishment of full communion. Working for Christian unity is, in fact, a duty born of our fidelity to Christ, the Shepherd of the Church, who gave his life “to gather into one the dispersed children of God”.3 However long and laborious the path towards unity may seem, we are asked by the Lord to join our hands and hearts, so that together we can bear clearer witness to him and better serve our brothers and sisters, particularly in the troubled regions of the East, where many of our faithful look to us, their Pastors, with hope and expectation. With these sentiments, I once more thank Your Holiness for your presence here today and for your commitment to continuing along the path of dialogue and unity. May the Lord abundantly bless your ministry and sustain you and the faithful whom you serve with his gifts of wisdom, joy and peace. VII Ad Sessionem motus caritatis ad Ecclesias Orientales sustinendas (ROACO).* Beatitudini, Cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari amici della R.O.A.C.O.! L’odierno incontro ravviva in me la gioia della recente visita alla Congregazione per le Chiese Orientali nel 90o anniversario della sua istituzione. In quella circostanza, Lei, Eminenza, mi aveva espresso un particolare saluto a 2 1 Cor 1:24. Jn 11:51-52. ————————— 3 * Die 21 Iunii 2007 Acta Benedicti Pp. XVI 701 nome delle Agenzı̀e legate al Dicastero ed ora si è fatto di nuovo interprete del comune omaggio cordiale. Ricambio il gradito ricordo a Sua Beatitudine il Cardinale Ignace Moussa Daoud, all’Arcivescovo Segretario Antonio Maria Vegliò, ai Collaboratori della Congregazione, ai responsabili delle Opere che compongono la R.O.A.C.O. (Riunione Opere in Aiuto alle Chiese Orientali) e a tutti i partecipanti a questo annuale ritrovo. La presenza di venerati Presuli Orientali mi consente di condividere la pena e la preoccupazione per la delicata situazione in cui versano vaste aree del Medio Oriente. La pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa. È offesa nel cuore dei singoli, e ciò compromette le relazioni interpersonali e comunitarie. La debolezza della pace si acuisce ulteriormente a motivo di ingiustizie antiche e nuove. Cosı̀ essa si spegne, lasciando spazio alla violenza, che spesso degenera in guerra più o meno dichiarata fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale. Insieme a ciascuno di voi, sentendomi in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane, ma anche con coloro che venerano il nome di Dio e lo cercano in sincerità di coscienza, e a tutti gli uomini di buona volontà desidero bussare nuovamente al cuore di Dio, Creatore e Padre, per chiedere con immensa fiducia il dono della pace. Busso al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica. Con la pace, la terra tutta ritrovi la sua vocazione e missione di « casa comune » per ogni popolo e nazione, grazie all’impegno condiviso di un dialogo sempre sincero e responsabile. Assicuro ancora una volta che la Terra Santa, l’Iraq e il Libano sono presenti, con l’urgenza e la costanza che meritano, nella preghiera e nell’azione della Sede Apostolica e di tutta la Chiesa. Chiedo alla Congregazione per le Chiese Orientali e a ciascuna delle Opere ad essa collegate di confermare la stessa premura alfine di rendere più incisivi la vicinanza e l’intervento a favore di tanti nostri fratelli e sorelle. Essi sentano fin d’ora il conforto della fraternità ecclesiale e, come auspichiamo con orante fervore, possano presto intravedere lo spuntare dei giorni della pace. Con questi sentimenti, rinnovo a Sua Beatitudine il Patriarca Caldeo, che oggi è con noi, il cordoglio del Papa per la barbara uccisione di un inerme sacerdote e di tre suddiaconi avvenuta al termine della Liturgia domenicale il 3 giugno scorso in Iraq. La Chiesa intera accompagna con affetto e ammira- Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 702 zione tutti i suoi figli e le sue fı̀glie e li sostiene in quest’ora di autentico martirio per il nome di Cristo. Il mio abbraccio è rivolto con eguale intensità al Rappresentante Pontificio e ai Pastori provenienti da Israele e dalla Palestina, perché lo partecipino ai propri fedeli a rafforzamento della loro provata speranza. Estendo il mio pensiero cordiale al Nunzio Apostolico e ai cari Presuli venuti dalla Turchia, lieto come sono di constatare la considerazione riservata a quella amata comunità ecclesiale nel ricordo del mio viaggio apostolico. Cari amici, nella citata visita al dicastero orientale, pensando all’attività della R.O.A.C.O. cosı̀ mi esprimevo: « Dovrà continuare e anzi crescere quel movimento di carità che, per mandato del Papa, la Congregazione segue affinché in modo ordinato ed equo la Terra Santa e le altre regioni orientali ricevano il necessario sostegno spirituale e materiale per far fronte alla vita ecclesiastica ordinaria e a particolari necessità ».1 Vi ringrazio per avere consolidato una lodevole consuetudine di collaborazione con la Congregazione. Vi incoraggio a continuare, perché l’apporto insostituibile che voi recate alla testimonianza della carità ecclesiale trovi pieno sviluppo nella forma comunitaria del suo esercizio. La vostra presenza conferma la volontà di evitare una gestione individualistica della progettazione degli interventi e dell’erogazione delle encomiabili disponibilità generate dalla carità dei fedeli. Ben sapete, infatti, quanto sia nociva l’illusione di potere operare più proficuamente da soli: la fatica del confronto e della collaborazione è sempre garanzia di un servizio più ordinato ed equo. Ed è chiara attestazione che non sono i singoli, ma è piuttosto la Chiesa a dare ciò che il Signore ha destinato a tutti nella sua provvidente bontà. Circa l’irreversibilità della scelta ecumenica e l’inderogabilità di quella interreligiosa, da me più volte ribadite, mi preme di sottolineare in questa occasione quanto esse traggano alimento dal movimento della carità ecclesiale. Tali scelte altro non sono che espressioni della stessa carità, la sola capace di stimolare i passi del dialogo e di aprire orizzonti insperati. Mentre imploriamo il Signore perché affretti il giorno della piena unità tra i cristiani e quello, pure molto atteso, di una serena convivenza interreligiosa animata da rispettosa reciprocità, Gli chiediamo di benedire i nostri sforzi e di illuminarci perché quanto operiamo mai sia a detrimento bensı̀ 1 L’Osservatore Romano, 10 giugno 2007, p. 6. Acta Benedicti Pp. XVI 703 ad incremento della comunità ecclesiale. Sia Lui a renderci sempre attenti perché, rifuggendo da ogni sorta di indifferentismo, mai eludiamo nell’esercizio della carità la missione della comunità cattolica locale. Sempre col suo coinvolgimento e nel più cordiale apprezzamento per le diverse espressioni rituali, dovrà trovare concretezza la nostra sensibilità ecumenica ed interreligiosa. Memori poi della parola di San Paolo: « Né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere »,2 scorgeremo sempre nella preghiera la vera sorgente dell’impegno di carità e in essa verifı̀cheremo la sua autenticità. Chiaro è l’ammonimento dello stesso Apostolo: « Ciascuno stia attento come costruisce. Infatti, nessuno può porre diverso fondamento da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo ».3 La radicazione eucaristica è indispensabile alla nostra azione. Sulla « misura eucaristica » dovranno svilupparsi le prospettive del movimento della carità ecclesiale: solo ciò che non contraddice anzi si ritrova e trae alimento dal mistero dell’amore eucaristico e dalla visione sul cosmo, sull’uomo e sulla storia che da esso scaturisce dà garanzia di autenticità al nostro donare e sicuro fondamento al nostro edificare. È quanto ho affermato nell’Esortazione post-sinodale Sacramentam caritatis: « Il cibo della verità ci spinge a denunciare le situazioni indegne dell’uomo, in cui si muore per mancanza di cibo a causa dell’ingiustizia e dello sfruttamento, e ci dona nuova forza e coraggio per lavorare senza sosta all’edificazione della civiltà dell’amore ».4 Ma proprio l’ispirazione eucaristica del nostro agire interpellerà in profondità l’uomo, il quale non può vivere dı̀ solo pane,5 per annunciargli il cibo della vita eterna, preparato da Dio nel Figlio Gesù. Vi affido queste prospettive con grande fiducia e rinnovo il più sentito ringraziamento a Sua Beatitudine il Cardinale Ignace Moussa Daoud, che si è molto prodigato in questi anni anche come Presidente della R.O.A.C.O.. Invocando sui vostri lavori l’intercessione della Santissima Madre di Dio, a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica. 2 3 4 5 1 Cor 3, 7. 1 Cor 10-11. N. 90. Cf. Lc 4, 4. 704 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale VIII Conventus Europaeus Docentium apud Universitates.* Your Eminence, Distinguished Ladies and Gentlemen, Dear Friends! I am particularly pleased to receive you during the first European Meeting of University Lecturers, sponsored by the Council of European Episcopal Conferences and organized by teachers from the Roman universities, coordinated by the Vicariate of Rome’s Office for the Pastoral Care of Universities. It is taking place on the fiftieth anniversary of the Treaty of Rome, which gave rise to the present European Union, and its participants include university lecturers from every country on the continent, including those of the Caucasus: Armenia, Georgia and Azerbaijan. I thank Cardinal Péter Erdő, President of the Council of European Episcopal Conferences, for his kind words of introduction. I greet the representatives of the Italian government, particularly those from the Ministry for Universities and Research, and from the Ministry for Italy’s Cultural Heritage, as well as the representatives of the Region of Lazio and the Province and City of Rome. My greeting also goes to the other civil and religious authorities, the Rectors and the teachers of the various universities, as well as the chaplains and students present. The theme of your meeting — “A New Humanism for Europe. The Role of the Universities” — invites a disciplined assessment of contemporary culture on the continent. Europe is presently experiencing a certain social instability and diffidence in the face of traditional values, yet her distinguished history and her established academic institutions have much to contribute to shaping a future of hope. The “question of man”, which is central to your discussions, is essential for a correct understanding of current cultural processes. It also provides a solid point of departure for the effort of universities to create a new cultural presence and activity in the service of a more united Europe. Promoting a new humanism, in fact, requires a clear understanding of what this “newness” actually embodies. Far from being the fruit of a superficial desire for novelty, the quest for a new humanism must take serious account of the fact that Europe today is experiencing a massive cultural shift, one in * Die 23 Iunii 2007. Acta Benedicti Pp. XVI 705 which men and women are increasingly conscious of their call to be actively engaged in shaping their own history. Historically, it was in Europe that humanism developed, thanks to the fruitful interplay between the various cultures of her peoples and the Christian faith. Europe today needs to preserve and reappropriate her authentic tradition if she is to remain faithful to her vocation as the cradle of humanism. The present cultural shift is often seen as a “challenge” to the culture of the university and Christianity itself, rather than as a “horizon” against which creative solutions can and must be found. As men and women of higher education, you are called to take part in this demanding task, which calls for sustained reflection on a number of foundational issues. Among these, I would mention in the first place the need for a comprehensive study of the crisis of modernity. European culture in recent centuries has been powerfully conditioned by the notion of modernity. The present crisis, however, has less to do with modernity’s insistence on the centrality of man and his concerns, than with the problems raised by a “humanism” that claims to build a regnum hominis detached from its necessary ontological foundation. A false dichotomy between theism and authentic humanism, taken to the extreme of positing an irreconcilable conflict between divine law and human freedom, has led to a situation in which humanity, for all its economic and technical advances, feels deeply threatened. As my predecessor, Pope John Paul II, stated, we need to ask “whether in the context of all this progress, man, as man, is becoming truly better, that is to say, more mature spiritually, more aware of the dignity of his humanity, more responsible and more open to others”.1 The anthropocentrism which characterizes modernity can never be detached from an acknowledgment of the full truth about man, which includes his transcendent vocation. A second issue involves the broadening of our understanding of rationality. A correct understanding of the challenges posed by contemporary culture, and the formulation of meaningful responses to those challenges, must take a critical approach towards narrow and ultimately irrational attempts to limit the scope of reason. The concept of reason needs instead to be “broadened” in order to be able to explore and embrace those aspects of reality which go beyond the purely empirical. This will allow for a more fruitful, complementary approach to the relationship between faith and reason. The rise of the European universities was fostered by the conviction that faith and reason are meant to cooperate in the search for truth, each respect1 Redemptor Hominis, 15. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 706 ing the nature and legitimate autonomy of the other, yet working together harmoniously and creatively to serve the fulfilment of the human person in truth and love. A third issue needing to be investigated concerns the nature of the contribution which Christianity can make to the humanism of the future. The question of man, and thus of modernity, challenges the Church to devise effective ways of proclaiming to contemporary culture the “realism” of her faith in the saving work of Christ. Christianity must not be relegated to the world of myth and emotion, but respected for its claim to shed light on the truth about man, to be able to transform men and women spiritually, and thus to enable them to carry out their vocation in history. In my recent visit to Brazil, I voiced my conviction that “unless we do know God in and with Christ, all of reality becomes an indecipherable enigma”.2 Knowledge can never be limited to the purely intellectual realm; it also includes a renewed ability to look at things in a way free of prejudices and preconceptions, and to allow ourselves to be “amazed” by reality, whose truth can be discovered by uniting understanding with love. Only the God who has a human face, revealed in Jesus Christ, can prevent us from truncating reality at the very moment when it demands ever new and more complex levels of understanding. The Church is conscious of her responsibility to offer this contribution to contemporary culture. In Europe, as elsewhere, society urgently needs the service to wisdom which the university community provides. This service extends also to the practical aspects of directing research and activity to the promotion of human dignity and to the daunting task of building the civilization of love. University professors, in particular, are called to embody the virtue of intellectual charity, recovering their primordial vocation to train future generations not only by imparting knowledge but by the prophetic witness of their own lives. The university, for its part, must never lose sight of its particular calling to be an “universitas” in which the various disciplines, each in its own way, are seen as part of a greater unum. How urgent is the need to rediscover the unity of knowledge and to counter the tendency to fragmentation and lack of communicability that is all too often the case in our schools! The effort to reconcile the drive to specialization with the need to preserve the unity of knowledge can encourage the growth of European unity and help the continent to rediscover its specific cultural “vocation” in today’s world. Only a Europe conscious of its own cultural identity can make a specific contri2 Address to Bishops of CELAM, 3. Acta Benedicti Pp. XVI 707 bution to other cultures, while remaining open to the contribution of other peoples. Dear friends, it is my hope that universities will increasingly become communities committed to the tireless pursuit of truth, “laboratories of culture” where teachers and students join in exploring issues of particular importance for society, employing interdisciplinary methods and counting on the collaboration of theologians. This can easily be done in Europe, given the presence of so many prestigious Catholic institutions and faculties of theology. I am convinced that greater cooperation and new forms of fellowship between the various academic communities will enable Catholic universities to bear witness to the historical fruitfulness of the encounter between faith and reason. The result will be a concrete contribution to the attainment of the goals of the Bologna Process, and an incentive for developing a suitable university apostolate in the local Churches. Effective support for these efforts, which have been increasingly a concern of the European Episcopal Conferences,3 can come from those ecclesial associations and movements already engaged in the university apostolate. Dear friends, may your deliberations during these days prove fruitful and help to build an active network of university instructors committed to bringing the light of the Gospel to contemporary culture. I assure you and your families of a special remembrance in my prayers, and I invoke upon you, and the universities in which you work, the maternal protection of Mary, Seat of Wisdom. To each of you I affectionately impart my Apostolic Blessing. IX In visitatione Bibliothecae Apostolicae Vaticanae et Tabularii Secreti Vaticani.* Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Ho accolto con gioia l’invito rivoltomi dal Signor Cardinale Jean-Louis Tauran, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, a visitare la Biblioteca Apostolica Vaticana e l’Archivio Segreto Vaticano. Ambedue que3 Cf. Ecclesia in Europa, 58-59. ————————— * Die 25 Iunii 2007. 708 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale ste istituzioni, per l’importante servizio che rendono alla Sede Apostolica e al mondo della cultura, ben meritano da parte del Papa un’attenzione particolare. Sono venuto pertanto volentieri ad incontrarvi e nel ringraziare per la calorosa accoglienza, rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale. Saluto in primo luogo il Signor Cardinale Jean-Louis Tauran, ringraziandolo per le parole che mi ha indirizzato e per i sentimenti che a vostro nome ha espresso. Con uguale affetto saluto il Vescovo Mons. Raffaele Farina, e il Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, Padre Sergio Pagano, come pure voi qui presenti e quanti, con funzioni diverse, prestano la loro collaborazione nella Biblioteca e nell’Archivio. Il vostro, cari amici, non è semplicemente un lavoro ma, come dicevo poc’anzi, un singolare servizio che rendete alla Chiesa e, in modo speciale, al Papa. È noto, del resto, che la Biblioteca Vaticana, la quale — come il Cardinale Tauran ha annunciato — si appresta ad affrontare ingenti lavori di restauro, non a caso porta il nome di « Apostolica » in quanto è un’Istituzione considerata sin dalla sua fondazione come la « Biblioteca del Papa », di Sua diretta appartenenza. Anche in tempi recenti il Servo di Dio Giovanni Paolo II ha voluto richiamare questo vincolo che lega la Biblioteca Apostolica al Successore di Pietro, vincolo che ne pone in luce la missione peculiare, già sottolineata dal Papa Sisto IV: « Ad decorem militantis Ecclesiae et fidei augmentum — A decoro della Chiesa militante e per la diffusione della fede ». Gli faceva eco un altro mio Predecessore, il Papa Niccolò V, il quale ne indicava la finalità con le parole: « Pro communi doctorum virorum commodo — Per l’utilità e l’interesse comune degli uomini di scienza ». Nel corso dei secoli la Biblioteca Vaticana ha assimilato e affinato questa sua missione con una caratterizzazione inconfondibile, sino ad essere oggi un’accogliente casa di scienza, di cultura e di umanità, che apre le porte a studiosi provenienti da ogni parte del mondo, senza distinzione di provenienza, religione e cultura. Vostro compito, cari amici che quotidianamente qui operate, è di custodire la sintesi tra cultura e fede che traspira dai preziosi documenti e dai tesori che custodite, dalle mura che vi circondano, dai Musei che vi sono vicini e dalla splendida Basilica che appare luminosa alle vostre finestre. Conosco bene anche il lavoro che si svolge, con umile e quasi nascosto impegno quotidiano, nell’Archivio Segreto, mèta di tanti ricercatori provenienti dal mondo intero: nei manoscritti, meno solenni dei ricchi codici della Biblioteca Apostolica, ma non meno rilevanti per interesse storico, essi ricer- Acta Benedicti Pp. XVI 709 cano le radici di tante Istituzioni ecclesiastiche e civili, studiano la storia dei tempi lontani e più recenti, possono delineare i contorni di figure illustri della Chiesa e delle civiltà, e far meglio conoscere l’opera multiforme dei Pontefici Romani e di tanti Pastori. All’Archivio Vaticano, aperto alla consultazione dei dotti dalla sapiente lungimiranza di Leone XIII nel 1881, hanno fatto riferimento intere generazioni di storici, anzi le stesse Nazioni europee, che, per favorire le indagini in cosı̀ antico e ricco scrinium della Chiesa di Roma, hanno fondato nella Città eterna specifici Istituti culturali. All’Archivio Segreto ci si rivolge oggi non soltanto per ricerche erudite, pure in se stesse meritevoli e degnissime, riguardanti periodi lontani da noi, ma anche per interessi concernenti epoche e tempi a noi vicini, ed anche molto vicini. Ne sono prova i primi frutti che la recente apertura agli studiosi del pontificato di Pio XI, da me decisa nel giugno del 2006, ha fino ad oggi prodotto. Ricerche, studi e pubblicazioni possono a volte far nascere, accanto ad un interesse precipuamente storico, anche talune polemiche. A questo riguardo non posso che lodare l’atteggiamento di servizio disinteressato ed equanime che l’Archivio Segreto Vaticano ha reso, tenendosi lontano da sterili e spesso anche deboli visioni storiche di parte ed offrendo ai ricercatori, senza preclusioni o preconcetti, il materiale documentario in suo possesso, ordinato con serietà e competenza. Da più parti giungono all’Archivio Segreto, come alla Biblioteca Apostolica, segni di apprezzamento e di stima da parte di Istituti culturali e di privati studiosi di diverse Nazioni. Questo a me pare sia il migliore riconoscimento a cui le due Istituzioni possono aspirare. E vorrei assicurare ad entrambe, ai loro Superiori e a tutto il Personale, nei diversi gradi degli organici, la mia gratitudine e la mia vicinanza. Confesso che, al compimento del mio settantesimo anno di età, avrei tanto desiderato che l’amato Giovanni Paolo II mi concedesse di potermi dedicare allo studio e alla ricerca di interessanti documenti e reperti da voi custoditi con cura, veri capolavori che ci aiutano a ripercorrere la storia dell’umanità e del Cristianesimo. Nei suoi disegni provvidenziali il Signore ha stabilito altri programmi per la mia persona ed eccomi oggi tra voi non come appassionato studioso di antichi testi, ma come Pastore chiamato a incoraggiare tutti i fedeli a cooperare alla salvezza del mondo, compiendo ciascuno la volontà di Dio là dove Egli ci pone a lavorare. 710 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale Per voi, cari amici, si tratta di realizzare la vostra vocazione cristiana a contatto con ricche testimonianze di cultura, di scienza e di spiritualità, spendendo le vostre giornate e, alla fine, buona parte della vostra vita nello studio, nelle pubblicazioni, nel servizio al pubblico e, in particolare, agli organismi della Curia Romana. Per questa vostra molteplice attività vi avvalete delle tecniche più avanzate nell’informatica, nella catalogazione, nel restauro, nella fotografia e, in genere, in tutto quanto concerne la tutela e la fruizione del ricchissimo patrimonio che custodite. Nel lodarvi per il vostro impegno, vi esorto a voler sempre considerare questo vostro lavoro come una vera missione da svolgere con passione e pazienza, gentilezza e spirito di fede. Preoccupatevi di offrire sempre un’immagine accogliente della Sede Apostolica, consapevoli che il messaggio evangelico passa anche attraverso la vostra coerente testimonianza cristiana. Sono lieto ora, a conclusione di questo nostro incontro, di annunciare la nomina del Signor Card. Jean-Louis Tauran a Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Al suo posto, quale Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, ho nominato Mons. Raffaele Farina, promuovendolo al tempo stesso alla dignità di Arcivescovo. A svolgere il compito di Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana ho chiamato Mons. Cesare Pasini, finora Vice-Prefetto della Veneranda Biblioteca Ambrosiana. A ciascuno di loro porgo fin d’ora l’augurio di un profı̀cuo svolgimento delle nuove mansioni. Ringrazio ancora una volta tutti voi per il prezioso servizio che svolgete nella Biblioteca Apostolica e nell’Archivio Vaticano e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, imparto di cuore a ciascuno con speciale affetto la mia Benedizione, che volentieri estendo alle rispettive famiglie ed alle persone care. X Summus Pontifex convenit clerum dioecesium Bellunensis-Feltrensis et Tarvisinae in loco v. Auronzo di Cadore.* Santità, sono don Claudio, volevo farle una domanda circa la formazione della coscienza, in particolare riguardo alle giovani generazioni, perché oggi * Die 24 Iulii 2007. Textus hic viva voce, sine scripto, a Santitate Sua est prolatus. Acta Benedicti Pp. XVI 711 formare una coscienza coerente, una coscienza retta, sembra sempre più difficile. Si scambia il bene e il male con il sentirsi bene e il sentirsi male, l’aspetto più emotivo. Allora volevo avere qualche consiglio da parte sua. Grazie. Eccellenze, cari fratelli, innanzitutto vorrei esprimervi la mia gioia e la mia gratitudine per questo bell’incontro. Ringrazio i due Vescovi, Sua Eccellenza Andrich e Sua Eccellenza Mazzocato, per quest’invito. A tutti voi che siete venuti cosı̀ numerosi in tempo di vacanze il mio sentito grazie. Vedere una chiesa piena di sacerdoti è incoraggiante, perché vediamo che i sacerdoti ci sono. La Chiesa vive, anche se i problemi crescono nel nostro tempo e proprio nel nostro Occidente. La Chiesa è sempre viva e con sacerdoti che realmente desiderano annunciare il Regno di Dio, cresce e resiste a queste complicazioni, che vediamo nella nostra situazione culturale di oggi. Adesso, questa prima domanda riflette un poco un problema della situazione culturale in Occidente, perché il concetto di coscienza negli ultimi due secoli si è trasformato profondamente. Oggi prevale l’idea che razionale, che parte della ragione, sarebbe solo quanto è quantificabile. Le altre cose, cioè le materie della religione e della morale, non entrerebbero nella ragione comune, perché non verificabili, o, come si dice, non falsificabili nell’esperimento. In questa situazione, dove morale e religione sono quasi espulse dalla ragione, l’unico criterio ultimo della moralità e anche della religione è il soggetto, la coscienza soggettiva che non conosce altre istanze. Solo il soggetto, alla fine, con il suo sentimento, le sue esperienze, eventuali criteri che ha trovato, decide. Ma cosı̀ il soggetto diventa una realtà isolata, e cambiano cosı̀, come Lei ha detto, di giorno in giorno, i parametri. Nella tradizione cristiana « coscienza » vuol dire con-scienza: cioè noi, il nostro essere è aperto, può ascoltare la voce dell’essere stesso, la voce di Dio. La voce, quindi, dei grandi valori è iscritta nel nostro essere e la grandezza dell’uomo è proprio che non è chiuso in sé, non è ridotto alle cose materiali, quantificabili, ma ha un’interiore apertura per le cose essenziali, la possibilità di un ascolto. Nella profondità del nostro essere possiamo ascoltare non solo i bisogni del momento, non solo le cose materiali, ma ascoltare la voce del Creatore stesso e cosı̀ si conosce cosa è bene e cosa è male. Ma naturalmente questa capacità di ascolto deve essere educata e sviluppata. E proprio questo è l’impegno dell’annuncio che noi facciamo in Chiesa: sviluppare questa altissima capacità donata da Dio all’uomo di ascoltare la voce della verità e cosı̀ la voce dei valori. Quindi, direi che un primo passo è di rendere coscienti le persone che la nostra stessa natura porta in sé 712 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale un messaggio morale, un messaggio divino, che deve essere decifrato e che noi possiamo man mano conoscere meglio, ascoltare, se il nostro ascolto interiore viene aperto e sviluppato. Adesso la questione concreta è come fare questa educazione all’ascolto, come rendere l’uomo capace di questo, nonostante tutte queste sordità moderne, come far sı̀ che ritorni questo ascolto, che sia realmente avvenimento, l’Effatà del Battesimo, l’apertura dei sensi interiori. Io, vedendo la situazione nella quale ci troviamo, proporrei una combinazione tra una via laica e una via religiosa, la via della fede. Tutti vediamo oggi che l’uomo potrebbe distruggere il fondamento della sua esistenza, la sua terra, e quindi che non possiamo più semplicemente fare con questa nostra terra, con la realtà affidataci, quanto vogliamo e quanto appare nel momento utile e promettente, ma dobbiamo rispettare le leggi interiori della creazione, di questa terra, imparare queste leggi e obbedire anche a queste leggi, se vogliamo sopravvivere. Quindi, questa obbedienza alla voce della terra, dell’essere, è più importante per la nostra felicità futura che le voci del momento, i desideri del momento. Insomma, questo è un primo criterio da imparare: che l’essere stesso, la nostra terra, parla con noi e noi dobbiamo ascoltare se vogliamo sopravvivere e decifrare questo messaggio della terra. E se dobbiamo essere obbedienti alla voce della terra, questo vale ancora di più per la voce della vita umana. Non solo dobbiamo curare la terra, ma dobbiamo rispettare l’altro, gli altri. Sia l’altro nella sua singolarità come persona, come mio prossimo, sia gli altri come comunità che vive nel mondo e che deve vivere insieme. E vediamo che solo nel rispetto assoluto di questa creatura di Dio, di questa immagine di Dio che è l’uomo, solo nel rispetto del vivere insieme sulla terra, possiamo andare avanti. E qui arriviamo al punto che abbiamo bisogno delle grandi esperienze morali dell’umanità, che sono esperienze nate dall’incontro con l’altro, con la comunità, l’esperienza che la libertà umana è sempre una libertà condivisa e può funzionare soltanto se condividiamo le nostre libertà nel rispetto di valori che sono comuni per tutti noi. Mi sembra che con questi passi si possa far vedere la necessità di obbedire alla voce dell’essere, di obbedire alla dignità dell’altro, di obbedire alla necessità del vivere insieme le nostre libertà come una libertà, e per tutto questo conoscere il valore che vi è nel permettere una degna comunione di vita tra gli uomini. Cosı̀ arriviamo, come già detto, alle grandi esperienze dell’umanità, nelle quali si esprime la voce dell’essere, e soprattutto alle esperienze di questo grande pellegrinaggio storico del popolo di Dio, cominciato con Abramo, nel quale troviamo non solo le esperienze umane fondamentali, ma pos- Acta Benedicti Pp. XVI 713 siamo, tramite queste esperienze, sentire la voce del Creatore stesso che ci ama e che ha parlato con noi. Qui, in questo contesto, rispettando le esperienze umane che ci indicano la strada oggi e domani, mi sembra che i Dieci Comandamenti abbiano sempre un valore prioritario, nel quale vediamo i grandi indicatori di strada. I Dieci Comandamenti riletti, rivissuti nella luce di Cristo, nella luce della vita della Chiesa e delle sue esperienze, indicano alcuni valori fondamentali ed essenziali: il quarto e il sesto comandamento insieme, indicano l’importanza del nostro corpo, di rispettare le leggi del corpo e della sessualità e dell’amore, il valore dell’amore fedele, la famiglia; il quinto comandamento indica il valore della vita ed anche il valore della vita comune; il settimo comandamento indica il valore della condivisione dei beni della terra e la giusta condivisione di questi beni, l’amministrazione della creazione di Dio; l’ottavo comandamento indica il grande valore della verità. Se, quindi, nel quarto, quinto e sesto comandamento abbiamo l’amore per il prossimo, nel settimo abbiamo la verità. Tutto questo non funziona senza la comunione con Dio, senza il rispetto di Dio e la presenza di Dio nel mondo. Un mondo dove Dio non c’è diventa in ogni caso un mondo dell’arbitrarietà e dell’egoismo. Solo se appare Dio c’è luce, c’è speranza. La nostra vita ha un senso che non dobbiamo produrre noi, ma che ci precede, ci porta. In questo senso, quindi, direi, prendiamo insieme le vie ovvie che oggi anche la coscienza laica può facilmente vedere, e cerchiamo di guidare cosı̀ alle voci più profonde, alla voce vera della coscienza, che si comunica nella grande tradizione della preghiera, della vita morale della Chiesa. Cosı̀, in un cammino di paziente educazione, possiamo, penso, tutti imparare a vivere e a trovare la vera vita. Sono don Mauro. Santità, nello svolgimento del nostro ministero pastorale siamo sempre più gravati da molte incombenze. Aumentano gli impegni di gestione amministrativa delle parrocchie, di organizzazione pastorale e di accoglienza delle persone in situazioni diffı̀cili. Le chiedo su quali priorità orientare oggi il nostro ministero di sacerdoti e di parroci, per evitare da un lato la frammentarietà e dall’altro la dispersione. Grazie. È una questione molto realistica, è vero. Conosco anch’io un poco questo problema, con tante pratiche che arrivano ogni giorno, con tante udienze necessarie, con tanto da fare. Tuttavia, bisogna trovare le giuste priorità e non dimenticare l’essenziale: l’annuncio del Regno di Dio. Sentendo questa domanda, mi è venuto in mente il Vangelo di due settimane fa sulla missione 714 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale dei settanta discepoli. Per questa prima grande missione che Gesù fa realizzare, a questi settanta discepoli il Signore dà tre imperativi, che mi sembrano esprimere anche oggi sostanzialmente le grandi priorità del lavoro di un discepolo di Cristo, di un sacerdote. I tre imperativi sono: pregate, curate e annunciate. Penso che dobbiamo trovare l’equilibrio tra questi tre imperativi essenziali, tenerli sempre presenti come cuore del nostro lavoro. Pregate: cioè senza una relazione personale con Dio, tutto il resto non può funzionare, perché non possiamo realmente portare Dio e la realtà divina e la vera vita umana alle persone, se noi stessi non viviamo in una relazione profonda, vera, di amicizia con Dio, in Cristo Gesù. Da qui la celebrazione, ogni giorno, della Santa Eucaristia come incontro fondamentale, dove il Signore parla con me ed io con il Signore, che si dà nelle mie mani. Senza la preghiera delle Ore, nella quale entriamo nella grande preghiera di tutto il Popolo di Dio, cominciando con i Salmi del popolo antico rinnovato nella fede della Chiesa, e senza la preghiera personale non possiamo essere buoni sacerdoti, ma si perde la sostanza del nostro ministero. Quindi, essere un uomo di Dio, nel senso di un uomo in amicizia con Cristo e con i suoi santi è il primo imperativo. C’è poi il secondo. Gesù ha detto: curate gli ammalati, i dispersi, quelli che hanno bisogno. È l’amore della Chiesa per chi è emarginato, per chi soffre. Anche le persone ricche possono essere interiormente emarginate e soffrire. « Curare » si riferisce a tutti i bisogni umani, che sono sempre bisogni che vanno in profondità verso Dio. È quindi necessario, come si dice, conoscere le pecorelle, avere relazioni umane con le persone affidateci, avere un contatto umano e non perdere l’umanità, perché Dio si è fatto uomo e ha cosı̀ confermato tutte le dimensioni del nostro essere umano. Ma, come ho accennato, l’umano e il divino vanno sempre insieme. A questo « curare » nelle sue molteplici forme, appartiene, mi sembra, anche il ministero sacramentale. Il ministero della riconciliazione è un atto di cura straordinario, del quale l’uomo ha bisogno per essere sano fino in fondo. Quindi, queste cure sacramentali, cominciando dal Battesimo, che è il rinnovamento fondamentale della nostra esistenza, passando al Sacramento della riconciliazione e all’unzione degli infermi. Naturalmente in tutti gli altri Sacramenti, anche nell’Eucaristia, c’è una grande cura degli animi. Dobbiamo curare i corpi, ma soprattutto — questo è il nostro mandato — le anime. Dobbiamo pensare alle tante malattie, ai bisogni morali, spirituali che oggi esistono e che dobbiamo affrontare, guidando le persone all’incontro con Cristo nel sacramento, aiutandole a scoprire la preghiera, la meditazione, lo stare in Chiesa silenziosamente con questa presenza Acta Benedicti Pp. XVI 715 di Dio. E poi annunciare. Che cosa annunciamo noi? Annunciamo il Regno di Dio. Ma il Regno di Dio non è una lontana utopia di un mondo migliore, che forse si realizzerà tra 50 anni o chissà quando. Il Regno di Dio è Dio stesso, Dio avvicinatosi e divenuto vicinissimo in Cristo. Questo è il Regno di Dio: Dio stesso è vicino e dobbiamo noi avvicinarci a questo Dio che è vicino, perché si è fatto uomo, rimane uomo ed è sempre con noi nella sua Parola, nella Santissima Eucaristia e in tutti i credenti. Quindi, annunciare il Regno di Dio vuol dire parlare di Dio oggi, rendere presente la parola di Dio, il Vangelo che è presenza di Dio e, naturalmente, rendere presente il Dio che si è fatto presente nella sacra Eucaristia. Nell’intreccio di queste tre priorità e naturalmente tenendo conto di tutti gli aspetti umani, dei nostri limiti che dobbiamo riconoscere, possiamo realizzare bene il nostro sacerdozio. È importante anche questa umiltà, che riconosce i limiti delle nostre forze. Quanto non possiamo fare, deve fare il Signore. Ed anche la capacità di delegare, di collaborare. Tutto questo sempre con gli imperativi fondamentali del pregare, curare e annunciare. Mi chiamo don Daniele. Santità, il Veneto è terra di forte immigrazione, con la presenza consistente di persone non cristiane. Tale situazione pone le nostre diocesi di fronte ad un nuovo compito di evangelizzazione al loro interno. Permane, però, una certa fatica, perché dobbiamo conciliare le esigenze dell’annuncio del Vangelo, con quelle di un dialogo rispettoso delle altre religioni. Quali indicazioni pastorali potrebbe offrire? Grazie. Naturalmente voi siete più vicini a questa situazione. E in questo senso forse non posso dare molti consigli pratici, ma posso dire che in tutte le visite ad Limina, sia dei Vescovi asiatici, africani, latino-americani, sia da tutta l’Italia, sono sempre a confronto con queste situazioni. Non esiste più un mondo uniforme. Soprattutto nel nostro Occidente sono presenti tutti gli altri continenti, le altre religioni, gli altri modi di vivere la vita umana. Viviamo un incontro permanente, che forse ci assomiglia alla Chiesa antica, dove si viveva la stessa situazione. I cristiani erano una piccolissima minoranza, un grano di senape che cominciava a crescere, circondato da diversissime religioni e condizioni di vita. Quindi, dobbiamo reimparare quanto hanno vissuto i cristiani delle prime generazioni. San Pietro nella sua prima Lettera, al terzo capitolo, ha detto: « Dovete essere sempre pronti a dare ragione della speranza che è in voi ». Cosı̀ lui ha formulato per l’uomo normale di quel tempo, per il cristiano normale, la necessità di combinare annuncio e 716 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale dialogo. Non ha detto formalmente: « Annunciate ad ognuno il Vangelo ». Ha detto: « Dovete essere capaci, pronti a dare ragione della speranza che è in voi ». Mi sembra che questa sia la sintesi necessaria tra dialogo e annuncio. Il primo punto è che in noi stessi debba essere sempre presente la ragione della nostra speranza. Dobbiamo essere persone che vivono la fede e che pensano la fede, la conoscono interiormente. Cosı̀ in noi stessi la fede diventa ragione, diventa ragionevole. La meditazione del Vangelo e qui l’annuncio, l’omelia, la catechesi, per rendere capaci le persone di pensare la fede, sono già elementi fondamentali in questo intreccio tra dialogo e annuncio. Noi stessi dobbiamo pensare la fede, vivere la fede e come sacerdoti trovare modi diversi per renderla presente, cosı̀ che i nostri cattolici cristiani possano trovare la convinzione, la prontezza e la capacità di dare ragione della loro fede. Questo annuncio che trasmette la fede nella coscienza di oggi deve avere molteplici forme. Senza dubbio, omelia e catechesi sono due forme principali, ma poi ci sono tanti modi per incontrarsi — seminari della fede, movimenti laicali, ecc. — dove si parla della fede e si impara la fede. Tutto questo ci rende capaci, innanzitutto, di vivere realmente da prossimi dei non cristiani — in prevalenza qui sono cristiani ortodossi, protestanti e poi anche esponenti di altre religioni, i musulmani ed altri. Il primo aspetto è vivere con loro, riconoscendo con loro il prossimo, il nostro prossimo. Vivere, quindi, in prima linea l’amore del prossimo come espressione della nostra fede. Io penso che questa sia già una testimonianza fortissima e anche una forma di annuncio: vivere realmente con questi altri l’amore del prossimo, riconoscere in questi, in loro, il nostro prossimo, cosı̀ che loro possano vedere: questo « amore del prossimo » è per me. Se succede questo, più facilmente potremo presentare la fonte di questo nostro comportamento, che cioè l’amore del prossimo è espressione della nostra fede. Cosı̀ nel dialogo non si può subito passare ai grandi misteri della fede, benché i musulmani abbiano una certa conoscenza di Cristo, che nega la sua divinità, ma riconosce in Lui almeno un grande profeta. Hanno amore per la Madonna. Quindi, ci sono elementi comuni anche nella fede, che sono punti di partenza per il dialogo. Una cosa pratica e realizzabile, necessaria, è soprattutto cercare l’intesa fondamentale sui valori da vivere. Anche qui abbiamo un tesoro comune, perché vengono dalla religione abramitica, reinterpretata, rivissuta in modi che sono da studiare, ai quali dobbiamo infine rispondere. Ma la grande esperienza sostanziale, quella dei Dieci Comandamenti, è presente e questo mi sembra il punto da approfondire. Passare ai grandi misteri mi sembra un livello non facile, che non si realizza nei grandi Acta Benedicti Pp. XVI 717 incontri. Il seme deve forse entrare nel cuore, cosı̀ che la risposta della fede in dialoghi più specifici possa maturare qua e là. Ma ciò che possiamo e dobbiamo fare è cercare il consenso sui valori fondamentali, espressi nei Dieci Comandamenti, riassunti nell’amore del prossimo e nell’amore di Dio, e cosı̀ interpretabili nei diversi settori della vita. Siamo almeno in un cammino comune verso il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio che è finalmente il Dio dal volto umano, il Dio presente in Gesù Cristo. Ma se quest’ultimo passo è da fare piuttosto in incontri intimi, personali o di piccoli gruppi, il cammino verso questo Dio, dal quale vengono questi valori che rendono possibile la vita comune, questo mi sembra sia fattibile anche in incontri più grandi. Quindi, mi sembra che qui si realizzi una forma di annuncio umile, paziente, che aspetta, ma che anche rende già concreto il nostro vivere secondo la coscienza illuminata da Dio. Sono don Samuele. Abbiamo accolto il suo invito a pregare, a curare e ad annunciare. Ci siamo permessi già di prenderla sul serio nel prenderci cura della sua persona e in una manifestazione di affetto le abbiamo portato qualche bottiglia di sano vino della nostra terra, che le faremo avere attraverso le mani del nostro Vescovo. Vengo alla domanda. Assistiamo sempre più ad un ingente incremento di situazioni di persone divorziate che si risposano, convivono e che chiedono una mano per la loro vita spirituale a noi sacerdoti. Sono persone che spesso portano con loro la sofferta domanda di accedere ai sacramenti. Sono realtà che ci chiedono un confronto ed anche una condivisione delle sofferenze che esse comportano. Le chiedo, Santo Padre, con quali atteggiamenti umani, spirituali, pastorali poter mettere insieme misericordia e verità. Grazie. Sı̀, è un problema doloroso e la ricetta semplice, che lo risolva, certamente non c’è. Soffriamo tutti dı̀ questo problema, perché tutti abbiamo vicino a noi persone in queste situazioni e sappiamo che per loro è un dolore e una sofferenza, perché vogliono stare in piena comunione con la Chiesa. Questo vincolo del matrimonio precedente è un vincolo che riduce la loro partecipazione alla vita della Chiesa. Cosa fare? Direi: un primo punto sarebbe naturalmente la prevenzione, per quanto possibile. La preparazione al matrimonio, quindi, diventa sempre più fondamentale e necessaria. Il Diritto Canonico suppone che l’uomo come tale, anche senza grande istruzione, intenda fare un matrimonio secondo la natura umana, come indicato nei primi capitoli della Genesi. È uomo, ha la natura umana, e quindi sa che cosa sia il matrimonio. Intende fare quanto gli dice la natura umana. Da questa presunzione parte il Diritto Canonico. È una cosa che si impone: l’uomo è uomo, la natura è quella 718 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale e gli dice questo. Ma oggi questo assioma secondo cui l’uomo intende fare quanto è nella sua natura, un matrimonio unico, fedele, si trasforma in un assioma un po’ diverso. « Volunt contrahere matrimonium sicut ceteri homines ». Non è semplicemente più la natura che parla, ma i « ceteri homines », quanto fanno tutti. E quanto fanno oggi tutti non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i « ceteri homines » è sposarsi con l’idea che un giorno il matrimonio possa fallire e si possa cosı̀ passare ad un altro, ad un terzo e ad un quarto matrimonio. Questo modello « come fanno tutti » diventa cosı̀ un modello in contrasto con quanto dice la natura. Diventa cosı̀ normale sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura umana o comunque si trova difficilmente uno che pensi cosı̀. Perciò per aiutare ad arrivare realmente al matrimonio, non solo nel senso della Chiesa, ma del Creatore, dobbiamo riparare la capacità di ascoltare la natura. Ritorniamo al primo quesito, alla prima domanda. Riscoprire dietro a ciò che fanno tutti, quanto ci dice la natura stessa, che parla in modo diverso da questa abitudine moderna. Ci invita, infatti, al matrimonio per la vita, in una fedeltà per la vita, anche con le sofferenze del crescere insieme nell’amore. Quindi, questi corsi preparatori al matrimonio dovrebbero essere un riparare la voce della natura, del Creatore, in noi, riscoprire dietro a quanto fanno tutti i « ceteri homines », quanto ci dice intimamente il nostro stesso essere. In questa situazione, quindi, fra quanto fanno tutti e quanto dice il nostro essere, i corsi preparatori devono essere un cammino di riscoperta, per reimparare quanto il nostro essere ci dice, aiutare ad arrivare ad una vera decisione per il matrimonio secondo il Creatore e secondo il Redentore. Quindi, questi corsi preparatori per « imparare se stessi », per imparare la vera volontà matrimoniale, sono di grande importanza. Ma non basta la preparazione, le grandi crisi vengono dopo. Quindi, un permanente accompagnare, almeno nei primi dieci anni, è molto importante. Perciò, in parrocchia, bisogna non solo curare i corsi di preparazione, ma la comunione nel cammino dopo, l’accompagnarsi, l’aiutarsi reciprocamente. Che i sacerdoti, ma non solo, anche le famiglie, che hanno già fatto queste esperienze, che conoscono queste sofferenze, queste tentazioni, siano presenti nei momenti di crisi. È importante la presenza di una rete di famiglie che si aiutano e diversi movimenti possono recare un grande contributo. La prima parte della mia risposta vede il prevenire, non solo nel senso di preparare, ma di accompagnare, la presenza di una rete di famiglie che aiuti questa situazione moderna, dove tutto parla contro la fedeltà a vita. Bisogna aiutare a trovare, ad imparare anche con sofferenza, questa fedeltà. Acta Benedicti Pp. XVI 719 In caso, tuttavia, di fallimento, che cioè gli sposi non si mostrino capaci di stare alla prima volontà, c’è sempre la questione se fosse realmente una volontà, nel senso del sacramento. E quindi c’è eventualmente il processo per la dichiarazione di nullità. Se era un vero matrimonio e quindi non possono risposarsi, la permanente presenza della Chiesa aiuta queste persone a sopportare un’altra sofferenza. Nel primo caso, abbiamo la sofferenza di superare questa crisi, di imparare una fedeltà sofferta e matura. Nel secondo caso, abbiamo la sofferenza di stare in un vincolo nuovo, che non è quello sacramentale e che non permette quindi la comunione piena nei sacramenti della Chiesa. Qui, sarebbe da insegnare e da imparare a vivere con questa sofferenza. Ritorneremo, a questo punto, nella prima domanda dell’altra diocesi. Dobbiamo generalmente, nella nostra generazione, nella nostra cultura, riscoprire il valore della sofferenza, imparare che la sofferenza può essere una realtà molto positiva, che ci aiuta a maturare, a divenire più noi stessi, più vicini al Signore che ha sofferto per noi e soffre con noi. Anche in questa seconda situazione, quindi, la presenza del sacerdote, delle famiglie, dei movimenti, la comunione personale e comunitaria in queste situazioni, l’aiuto dell’amore del prossimo, un amore molto specifico, è di grandissima importanza. E penso che solo questo amore sentito della Chiesa, che si realizza in un accompagnamento molteplice, possa aiutare queste persone a riconoscersi amate da Cristo, membri della Chiesa anche se in una situazione diffı̀cile, e cosı̀ vivere la fede. Santità, io mi chiamo don Saverio e quindi la domanda verte certamente sulle missioni. Ricorrono 50 anni quest’anno dell’Enciclica « Fidei donum ». Accogliendo l’invito del Papa, molti sacerdoti anche della nostra diocesi ed io compreso hanno vissuto, abbiamo vissuto e stanno vivendo l’esperienza della missione « ad gentes ». Esperienza, questa, senza dubbio straordinaria e che a mio modesto parere potrebbero vivere tanti preti nell’ottica dello scambio tra Chiese sorelle. Data però la riduzione numerica dei sacerdoti nei nostri Paesi, come l’indicazione dell’Enciclica è ancora attuale oggi e con quale spirito accoglierla e viverla sia da parte dei sacerdoti inviati, sia da parte dell’intera diocesi? Grazie. Grazie. Vorrei anzitutto dire grazie a tutti questi sacerdoti fidei donum e alle diocesi. Adesso ho avuto, come già accennato, tante visite ad Limina sia dei Vescovi dell’Asia, che dell’Africa e dell’America Latina e tutti mi chiedono: « Abbiamo tanto bisogno di sacerdoti fidei donum e siamo gratissimi per il lavoro che fanno, rendendo presente, in situazioni spesso difficilissime, la cattolicità della Chiesa, la visibilità del fatto che siamo una grande comunio- 720 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale ne, universale e c’è un amore del prossimo lontano che diventa prossimo nella situazione del sacerdote fidei donum. Questo grande dono che è stato realmente fatto in questi 50 anni, lo ho sentito e visto quasi in modo palpabile in tutti i miei dialoghi con i sacerdoti, che ci dicono « non pensate che noi africani adesso siamo semplicemente autosufficienti; abbiamo sempre bisogno della visibilità della grande comunione della Chiesa universale ». Direi che noi tutti abbiamo bisogno di questa visibilità dell’essere cattolici, di un amore del prossimo che arriva da lontano e trova cosı̀ il prossimo. Oggi la situazione è cambiata nel senso che anche noi riceviamo in Europa sacerdoti provenienti dall’Africa, dall’America Latina, da altre parti dell’Europa stessa e questo ci permette di vedere la bellezza di questo scambio dei doni, di questo dono dall’uno all’altro, perché tutti abbiamo bisogno di tutti: proprio cosı̀ cresce il Corpo di Cristo. Per riassumere, vorrei dire che questo dono era ed è un grande dono, percepito come tale nella Chiesa: in tante situazioni che adesso non posso descrivere, in cui vi sono problemi sociali, problemi di sviluppo, problemi di annuncio della fede, problemi di isolamento, di bisogno della presenza di altri, questi sacerdoti sono un dono nel quale le diocesi e le Chiese particolari riconoscono la presenza di Cristo che si dona per noi e riconoscono al contempo che la Comunione eucaristica non è solo comunione soprannaturale, ma diventa comunione concreta in questo donarsi di sacerdoti diocesani, che si fanno presenti in altre diocesi e che la rete delle Chiese particolari diventa cosı̀ una rete realmente di amore. Grazie a tutti coloro che hanno fatto questo dono. Io posso soltanto incoraggiare i Vescovi ed i sacerdoti a continuare con questo dono. Io so che adesso, con la mancanza di vocazioni, in Europa diventa sempre più difficile fare questo dono; ma abbiamo già l’esperienza che altri continenti, come l’India e l’Africa soprattutto, ci danno anche da parte loro dei sacerdoti. La reciprocità rimane sempre molto importante e proprio l’esperienza che siamo Chiesa inviata al mondo e che tutti conoscono tutti ed amano tutti è molto necessaria ed è anche la forza dell’annuncio. Cosı̀ diventa visibile che il grano di senape porta frutto e diventa sempre e di nuovo un grande albero in cui gli uccelli del cielo trovano riposo. Grazie e coraggio. Don Alberto. Santo Padre, i giovani sono il nostro futuro e la nostra speranza: ma alle volte vedono nella vita non un’opportunità, ma una difficoltà; non un dono per sé e per gli altri, ma un qualcosa da consumare subito; non un progetto da costruire, ma un vagare senza meta. La mentalità di oggi impone ai giovani di essere sempre felici e perfetti, con la conseguenza che ogni piccolo fallimento ed Acta Benedicti Pp. XVI 721 ogni minima difficoltà non sono più visti come motivo di crescita, ma come una sconfitta. Tutto questo li porta spesso a gesti irrimediabili come il suicidio, che provocano una lacerazione nel cuore di coloro che li amano e dell’intera società. Cosa può dire a noi educatori che, spesso, ci sentiamo con le mani legate e senza risposte? Grazie. Lei mi sembra che abbia dato una precisa descrizione di una vita nella quale Dio non appare. In un primo momento sembra che non abbiamo bisogno di Dio, anzi che, senza Dio saremmo più liberi e il mondo sarebbe più ampio. Ma dopo un certo tempo, nelle nostre nuove generazioni, si vede cosa succede, quando Dio scompare. Come Nietzsche ha detto « La grande luce si è spenta, il sole si è spento ». La vita allora è una cosa occasionale, diventa una cosa e devo cercare di fare il meglio con questa cosa e usare la vita come fosse una cosa per una felicità immediata, toccabile e realizzabile. Ma il grande problema è che se Dio non c’è e non è il Creatore anche della mia vita, in realtà la vita è un semplice pezzo dell’evoluzione, nient’altro, non ha senso di per sé stessa. Ma io devo invece cercare di mettere senso in questo pezzo di essere. Vedo attualmente in Germania, ma anche negli Stati Uniti, un dibattito abbastanza accanito tra il cosiddetto creazionismo e l’evoluzionismo, presentati come fossero alternative che si escludono: chi crede nel Creatore non potrebbe pensare all’evoluzione e chi invece afferma l’evoluzione dovrebbe escludere Dio. Questa contrapposizione è un’assurdità, perché da una parte ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita e dell’essere come tale. Ma la dottrina dell’evoluzione non risponde a tutti i quesiti e non risponde soprattutto al grande quesito filosofico: da dove viene tutto? e come il tutto prende un cammino che arriva finalmente all’uomo? Mi sembra molto importante, questo volevo dire anche a Ratisbona nella mia lezione, che la ragione si apra di più, che veda sı̀ questi dati, ma che veda anche che non sono sufficienti per spiegare tutta la realtà. Non è sufficiente, la nostra ragione è più ampia e può vedere anche che la ragione nostra non è in fondo qualcosa di irrazionale, un prodotto della irrazionalità, ma che la ragione precede tutto, la ragione creatrice, e che noi siamo realmente il riflesso della ragione creatrice. Siamo pensati e voluti e, quindi, c’è una idea che mi precede, un senso che mi precede e che devo scoprire, seguire e che dà finalmente significato alla mia vita. Mi sembra questo il primo punto: scoprire che realmente il mio essere è ragionevole, è pensato, ha un senso e la mia grande missione è scoprire questo senso, viverlo e dare cosı̀ un nuovo elemento alla grande armonia cosmica pensata dal Creatore. Se è cosı̀, 722 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale allora anche gli elementi di difficoltà diventano momenti di maturità, di processo e di progresso del mio stesso essere, che ha senso dal suo concepimento fino all’ultimo momento di vita. Possiamo conoscere questa realtà del senso precedente a tutti noi, possiamo anche riscoprire il senso della sofferenza e del dolore; certamente c’è un dolore che dobbiamo evitare e che dobbiamo allontanare dal mondo: tanti dolori inutili provocati dalle dittature, dai sistemi sbagliati, dall’odio e dalla violenza. Ma c’è anche nel dolore un senso profondo e solo se possiamo dare senso al dolore e alla sofferenza può maturare la nostra vita. Direi soprattutto che non è possibile l’amore senza il dolore, perché l’amore implica sempre una rinuncia a me, un lasciare me, un accettare l’altro nella sua alterità, implica un dono di me e, quindi, un uscire da me stesso. Tutto questo è dolore, sofferenza, ma proprio in questa sofferenza del perdermi per l’altro, per l’amato e quindi per Dio, divento grande e la mia vita trova l’amore e nell’amore il suo senso. Anche l’inscindibilità di amore e dolore, di amore e Dio sono elementi che devono entrare nella coscienza moderna per aiutarci a vivere. In questo senso direi che è importante far scoprire ai giovani Dio, far scoprire loro l’amore vero che proprio nella rinuncia diventa grande e cosı̀ far scoprire loro anche la bontà interiore della sofferenza, che mi rende più libero e più grande. Naturalmente per aiutare i giovani a trovare questi elementi c’è sempre bisogno di compagnia e di cammino, sia la parrocchia o l’Azione Cattolica o un Movimento, solo in compagnia con gli altri possiamo anche scoprire nelle nuove generazioni questa grande dimensione del nostro essere. Sono don Francesco. Santo Padre, mi ha molto colpito una frase che ha scritto nel suo libro « Gesù di Nazaret »: « Ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: “Dio. Ha portato Dio” ». Fin qui la citazione che trovo di una chiarezza e di una verità disarmanti. La domanda è questa: si parla di nuova evangelizzazione, di nuovo annuncio del Vangelo — questa è stata anche la scelta principale del Sinodo della nostra diocesi di Belluno-Feltre — ma cosa fare perché questo Dio, unica ricchezza portata da Gesù e che spesso appare a tanti come avvolto nella nebbia, possa risplendere ancora fra le nostre case e possa essere acqua che disseta anche i tanti che sembrano non avere più sete? Grazie. Grazie. Domanda fondamentale. La domanda fondamentale del nostro lavoro pastorale è come portare Dio al mondo, ai nostri contemporanei. Evidentemente questo portare Dio è una cosa multidimensionale: già nell’an- Acta Benedicti Pp. XVI 723 nuncio, nella vita e nella morte di Gesù, vediamo come si sviluppa in tante dimensioni questo Unico. Mi sembra che dobbiamo sempre tenere le due cose: da una parte l’annuncio cristiano, il cristianesimo non è un pacchetto complicatissimo di tanti dogmi, cosı̀ che nessuno può conoscerli tutti; non è cosa solo per accademici, che possono studiare queste cose, ma è cosa semplice: Dio c’è e Dio è vicino in Gesù Cristo. Cosı̀ Gesù Cristo stesso ha detto, riassumendo, è arrivato il Regno di Dio. Questo annunciamo. Una cosa, in fondo, semplice. Tutte le dimensioni che poi si mostrano sono dimensioni dell’unica cosa e non tutti devono conoscere tutto, ma certamente devono entrare nell’intimo e nell’essenziale, cosı̀ si aprono con una sempre crescente gioia anche le diverse dimensioni. Ma adesso come fare in concreto? Mi sembra che, parlando del lavoro pastorale oggi, ne abbiamo già toccato i punti essenziali. Ma per continuare in questo senso, portare Dio implica soprattutto — da una parte — l’amore e — dall’altra — la speranza e la fede. Quindi la dimensione della vita vissuta, la migliore testimonianza per Cristo, il miglior annuncio è sempre la vita di veri cristiani. Se vediamo famiglie nutrite dalla fede come vivono nella gioia, come vivono anche la sofferenza in una profonda e fondamentale gioia, come aiutano gli altri, amando Dio e il prossimo, mi sembra che questo sia oggi l’annuncio più bello. Anche per me l’annuncio più confortante è sempre quello di vedere le famiglie cattoliche o le personalità cattoliche che sono penetrate dalla fede: risplende in loro realmente la presenza di Dio e arriva questa « acqua viva » della quale Lei ha parlato. Quindi l’annuncio fondamentale è proprio quello della vita stessa dei cristiani. Naturalmente c’è poi l’annuncio della Parola. Dobbiamo fare tutto perché la Parola sia ascoltata, sia conosciuta. Oggi ci sono tante scuole della Parola e del colloquio con Dio nella Sacra Scrittura, colloquio che diventa necessariamente anche preghiera, perché uno studio puramente teorico della Sacra Scrittura è un ascolto solo intellettuale e non sarebbe un vero e sufficiente incontro con la Parola di Dio. Se è vero che nella Scrittura e nella Parola di Dio è il Signore Dio Vivente che parla con noi, provoca la risposta e la preghiera, allora le scuole della Scrittura devono essere anche scuole della preghiera, del dialogo con Dio, dell’avvicinarsi ı̀ntimamente a Dio. Quindi, tutto l’annuncio. Poi naturalmente direi i Sacramenti. Con Dio vengono sempre anche tutti i Santi. È importante — questo ci dice la Sacra Scrittura sin dall’inizio — Dio non viene mai da solo, ma viene accompagnato e circondato dagli Angeli e dai Santi. Nella grande vetrata di San Pietro che raffigura lo Spirito Santo mi piace tanto il fatto che Dio è circondato da 724 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale una folla di angeli e di esseri viventi, che sono espressione e emanazione — per cosı̀ dire — dell’amore di Dio. Con Dio, con Cristo, con l’uomo che è Dio e con Dio che è uomo, arriva la Madonna. Questo è molto importante. Dio, il Signore, ha una Madre e nella Madre riconosciamo realmente la bontà materna di Dio. La Madonna, la Madre di Dio, è l’ausilio dei cristiani, è la nostra permanente consolazione, è il nostro grande aiuto. Questo lo vedo anche nel dialogo con i Vescovi del mondo, dell’Africa ed ultimamente anche dell’America Latina, che l’amore per la Madonna è la grande forza della cattolicità. Nella Madonna riconosciamo tutta la tenerezza di Dio e, quindi, coltivare e vivere questo gioioso amore della Madonna, di Maria, è un dono della cattolicità molto grande. E poi ci sono i Santi, ogni luogo ha il suo Santo. Questo va bene cosı̀, perché cosı̀ vediamo i molteplici colori dell’unica luce di Dio e del suo amore, che si avvicina a noi. Scoprire i Santi nella loro bellezza, nel loro avvicinarsi nella Parola a me, poiché in un determinato Santo, posso trovare tradotta proprio per me la Parola inesauribile di Dio. E poi tutti gli aspetti della vita parrocchiale, anche quelli umani. Non dobbiamo essere sempre nelle nuvole, nelle altissime nuvole del Mistero, dobbiamo essere anche con i piedi per terra e vivere insieme la gioia di essere una grande famiglia: la piccola grande famiglia della parrocchia; la grande famiglia della diocesi, la grande famiglia della Chiesa universale. A Roma posso vedere tutto questo, posso vedere come persone provenienti da tutte le parti della terra e che non si conoscono, in realtà si conoscono, perché sono tutti parte della famiglia di Dio, sono vicini perché hanno tutto: l’amore del Signore, l’amore della Madonna, l’amore dei Santi, la successione apostolica e il successore di Pietro, i Vescovi. Direi che questa gioia della cattolicità, con i suoi molteplici colori, è anche la gioia della bellezza. Abbiamo qui la bellezza di un bell’organo; la bellezza di una bellissima chiesa, la bellezza cresciuta nella Chiesa. Mi sembra una meravigliosa testimonianza della presenza e della verità di Dio. La Verità si esprime nella bellezza e dobbiamo essere grati per questa bellezza e cercare di fare tutto il possibile perché rimanga presente, si sviluppi e cresca ancora. Cosı̀ mi sembra che arrivi Dio, in modo molto concreto, in mezzo a noi. Sono don Lorenzo, parroco. Santo Padre, dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Non sono parole mie, ma di Sua Santità in un intervento al clero. Il mio padre spirituale in seminario, durante quelle faticosissime sedute di dire- Acta Benedicti Pp. XVI 725 zione spirituale, mi diceva: « Lorenzino, umanamente ci siamo, ma... » e quando diceva « ma » intendeva dire che a me piaceva più giocare al pallone che fare l’adorazione eucaristica. E questo non faceva bene alla mia vocazione, che non era bello contestare le lezioni di morale e di diritto, perché i professori ne sapevano più di me. E con quel « ma » chissà cos’altro voleva intendere. Ora lo penso in cielo e gli dico comunque qualche requiem. Malgrado tutto ciò, sono 34 anni che sono prete e ne sono anche felice: miracoli non ne ho fatti, disastri conosciuti nemmeno, sconosciuti forse. « Umanamente ci siamo », per me è un grande complimento. Ma avvicinare l’uomo a Dio e Dio all’uomo non passa soprattutto attraverso quanto chiamiamo umanità che è irrinunciabile, anche per noi preti? Grazie. Direi semplicemente sı̀ a quanto Lei ha detto alla fine. Il cattolicesimo, un po’ semplicisticamente, è stato sempre considerato la religione del grande et et: non di grandi esclusivismi, ma della sintesi. Cattolico vuole dire proprio « sintesi ». Perciò sarei contro una alternativa o giocare al pallone o studiare la Sacra Scrittura o il Diritto Canonico. Facciamo ambedue le cose. È bello fare lo sport, io non sono un grande sportivo, ma magari andare in montagna mi piaceva quando ero ancora più giovane, adesso faccio solo camminate molto facili, ma sempre trovo molto bello camminare qui in questa bella terra che il Signore ci ha dato. Quindi non possiamo sempre vivere nella meditazione alta, forse un Santo nell’ultimo gradino del suo cammino terrestre può arrivare a questo punto, ma normalmente viviamo con i piedi per terra e gli occhi verso il cielo. Ambedue le cose ci sono date dal Signore e quindi amare le cose umane, amare le bellezze della sua terra non solo è molto umano, ma è anche molto cristiano e proprio cattolico. Direi che — e mi sembra di averlo già accennato prima — ad una pastorale buona e realmente cattolica appartiene anche questo aspetto: vivere nell’et et; vivere l’umanità e l’umanesimo dell’uomo, tutti i doni che il Signore ci ha dato e che abbiamo sviluppato e, nello stesso tempo, non dimenticare Dio, perché alla fine la luce grande viene da Dio e soltanto da Lui viene poi la luce che dà gioia a tutti questi aspetti delle cose che ci sono. Quindi vorrei semplicemente impegnarmi per la grande sintesi cattolica, per questo « et et »; essere veramente uomo ed ognuno secondo i suoi doni e secondo il suo carisma amare la terra e le belle cose che il Signore ci ha dato, ma essere anche grati perché sulla terra splende la luce di Dio, che dà splendore e bellezza a tutto il resto. Vı̀viamo in questo senso gioiosamente la cattolicità. Questa sarebbe la mia risposta. 726 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale Mi chiamo don Arnaldo. Santo Padre, esigenze pastorali e di ministero, oltre al diminuito numero di sacerdoti, sollecitano i nostri Vescovi a rivedere la distribuzione del clero, spesso accumulando impegni e più parrocchie nella stessa persona. Ciò tocca la sensibilità di tante comunità di battezzati e la disponibilità di noi sacerdoti a vivere insieme — preti e laici — il ministero pastorale. Come vivere questo cambiamento di organizzazione pastorale, privilegiando la spiritualità del buon Pastore? Grazie, Santità... Sı̀, ritorniamo a questa questione delle priorità pastorali e come oggi fare il parroco. Poco tempo fa, un Vescovo francese, che era religioso e quindi non è stato mai parroco, mi ha detto: « Santità, vorrei che Lei mi chiarisse che cosa è un parroco. Noi in Francia abbiamo queste grandi unità pastorali con 5-6-7 parrocchie e il parroco diventa un coordinatore di organismi, di lavori diversi », ma gli sembrava che, essendo talmente occupato con il coordinamento di questi diversi enti con i quali ha da fare, non avesse più la possibilità dell’incontro personale con le sue pecorelle e lui, essendo Vescovo e quindi un grande parroco, si domandava se questo sistema è giusto o se non dovremmo ritrovare una possibilità affinché il parroco sia realmente parroco e quindi pastore del suo gregge. Naturalmente non potevo immediatamente dare una ricetta per risolvere questa situazione della Francia, ma il problema si pone in generale, che il parroco nonostante nuove situazioni e nuove forme di responsabilità non perda la vicinanza con la gente, l’essere realmente in persona il pastore di questo gregge affidatogli dal Signore. Le situazioni sono diverse: penso ai Vescovi nelle loro diocesi con situazioni molto diverse; essi devono vedere bene come assicurare che il parroco rimanga pastore e non diventi un burocrate sacro. In ogni caso mi sembra che una prima opportunità nella quale possiamo essere presenti alle persone affidateci sia proprio la vita sacramentale: nell’Eucaristia siamo insieme e possiamo e dobbiamo incontrarci; il Sacramento della penitenza e della riconciliazione è un incontro personalı́ssimo; cosı̀ come lo è il Battesimo che è un incontro personale e non solo il momento del conferimento del Sacramento. Questi Sacramenti direi che hanno tutti un contesto: battezzare vuole dire prima catechizzare un po’ questa giovane famiglia, parlare con loro cosı̀ che il Battesimo sia anche un incontro personale ed un’occasione per una catechesi molto concreta. Cosı̀ come la preparazione alla Prima Comunione, alla Cresima e al Matrimonio sono sempre occasioni dove realmente il parroco, il sacerdote, in persona incontra le persone; è il predicatore ed è l’amministratore dei Sacramenti in un senso che Acta Benedicti Pp. XVI 727 implica sempre la dimensione umana. Il Sacramento non è mai soltanto un atto rituale, ma l’atto rituale e sacramentale è il condensamento di un contesto umano nel quale si muove il sacerdote, il parroco. Mi sembra poi molto importante trovare dei sistemi giusti di delega. Non è giusto che il parroco debba fare solo il coordinatore di organismi; egli deve piuttosto delegare in modi diversi e certamente nei Sinodi — e qui in diocesi avete avuto il Sinodo — si trova il modo per poter liberare sufficientemente il parroco, affinché da una parte conservi la responsabilità di questa totalità dell’unità pastorale affidatagli, ma non si riduca sostanzialmente e soprattutto il burocrate che coordina, ma uno che tiene in mano i fili essenziali, ma ha poi dei collaboratori. Mi sembra che questo sia uno dei risultati importanti e positivi del Concilio: la corresponsabilità di tutta la parrocchia: non è più soltanto il parroco che deve vivificare tutto, ma, poiché tutti siamo parrocchia, tutti dobbiamo collaborare ed aiutare, affinché il parroco non rimanga isolato sopra come coordinatore, ma si trovi realmente come pastore affiancato in questi lavori comuni nei quali, insieme, si realizza e si vive la parrocchia. Direi quindi che — da una parte — questo coordinamento e questa responsabilità vitale di tutta la parrocchia e — dall’altra parte — la vita sacramentale e di annuncio come centro della vita parrocchiale potrebbero consentire anche oggi, in circostanze certamente più difficili, di essere il parroco che non conosce forse tutti per nome, come il Signore ci dice del Buon Pastore, ma conosce realmente le sue pecorelle ed è realmente il pastore che le chiama e che le guida. Io ho l’ultima domanda e sarei molto tentato di metterla via, perché si tratta di una domanda piccola e dopo nove volte che vostra Santità ha saputo trovare la strada per parlarci di Dio e portarci molto molto in alto, mi pare quasi banale e povero quello che sto per chiederle, ma ormai lo faccio. Si tratta di una parola per quelli della mia generazione, per noi che ci siamo preparati durante gli anni del Concilio, poi siamo partiti con entusiasmo e forse anche con la pretesa di cambiare il mondo, abbiamo anche lavorato tanto ed oggi siamo un po’ in difficoltà, perché stanchi, perché non si sono realizzati molti sogni ed anche perché ci sentiamo un po’ isolati. I più anziani ci dicono « Vedete che avevamo ragione noi ad essere più prudenti » ed i giovani qualche volta ci trattano da « nostalgici del Concilio ». La nostra domanda è questa: « Possiamo ancora portare un dono alla nostra Chiesa, specialmente con quell’attaccamento alla gente che ci sembra ci abbia contraddistinto? ». Ci aiuti a riprendere speranza e serenità... 728 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale Grazie, è una domanda importante e che io conosco molto bene. Anch’io ho vissuto i tempi del Concilio, essendo nella Basilica di San Pietro con grande entusiasmo e vedendo come si aprivano nuove porte e pareva realmente essere la nuova Pentecoste, dove la Chiesa poteva nuovamente convincere l’umanità, dopo l’allontanamento del mondo dalla Chiesa nell’Ottocento e nel Novecento, sembrava si rincontrassero di nuovo Chiesa e mondo e che rinascesse nuovamente un mondo cristiano ed una Chiesa del mondo e veramente aperta al mondo. Abbiamo tanto sperato, ma le cose in realtà si sono rivelate più difficili. Tuttavia rimane la grande eredità del Concilio, che ha aperto una strada nuova, è sempre una magna charta del cammino della Chiesa, molto essenziale e fondamentale. Ma perché è andata cosı̀? Prima vorrei forse cominciare con un’osservazione storica. I tempi di un post-Concilio sono quasi sempre molto difficili. Dopo il grande Concilio di Nicea — che per noi è realmente il fondamento della nostra fede, di fatto noi confessiamo la fede formulata a Nicea — non è nata una situazione di riconciliazione e di unità come aveva sperato Costantino, promotore di tale grande Concilio, ma una situazione realmente caotica di lite di tutti contro tutti. San Basilio nel suo libro sullo Spirito Santo paragona la situazione della Chiesa dopo il Concilio di Nicea ad una battaglia navale di notte dove nessuno più conosce l’altro, ma tutti sono contro tutti. Era realmente una situazione di caos totale: cosı̀ descrive con colori forti il dramma del dopo Concilio, del dopo Nicea, San Basilio. Poi 50 anni dopo, per il Concilio primo di Costantinopoli, l’imperatore invita San Gregorio Nazianzeno a partecipare al Concilio e San Gregorio Nazianzeno risponde: No, non vengo, perché io conosco queste cose, so che da tutti i Concili nasce solo confusione e battaglia, quindi non vengo. E non è andato. Quindi non è adesso, in retrospettiva, una sorpresa cosı̀ grande come era nel primo momento per noi tutti digerire il Concilio, questo grande messaggio. Immetterlo nella vita della Chiesa, riceverlo, cosı̀ che diventi vita della Chiesa, assimilarlo nelle diverse realtà della Chiesa, è una sofferenza, e solo nella sofferenza si realizza anche la crescita. Crescere è sempre anche soffrire, perché è uscire da uno stato e passare ad un altro. E nel concreto del dopo-Concilio dobbiamo constatare che vi sono due grandi cesure storiche. Nel dopo-Concilio, la cesura del ’68, l’inizio o l’esplosione — oserei dire — della grande crisi culturale dell’Occidente. Era finita la generazione del dopoguerra, una generazione che dopo tutte le distruzioni e vedendo l’orrore della guerra, del combattersi e constatando il dramma di queste grandi ideologie che avevano realmente condotto le persone verso il baratro della guerra, Acta Benedicti Pp. XVI 729 avevamo riscoperto le radici cristiane dell’Europa e avevamo cominciato a ricostruire l’Europa con queste ispirazioni grandi. Ma finita questa generazione si vedevano anche tutti i fallimenti, le lacune di questa ricostruzione, la grande miseria nel mondo e cosı̀ comincia, esplode la crisi della cultura occidentale, direi una rivoluzione culturale che vuole cambiare radicalmente. Dice: non abbiamo creato, in duemila anni di cristianesimo, il mondo migliore. Dobbiamo ricominciare da zero in modo assolutamente nuovo; il marxismo sembra la ricetta scientifica per creare finalmente il nuovo mondo. E in questo — diciamo — grave, grande scontro tra la nuova, sana modernità voluta dal Concilio e la crisi della modernità, diventa tutto diffı̀cile come dopo il primo Concilio di Nicea. Una parte era del parere che questa rivoluzione culturale era quanto aveva voluto il Concilio, identificava questa nuova rivoluzione culturale marxista con la volontà del Concilio; diceva: questo è il Concilio. Nella lettera i testi sono ancora un po’ antiquati, ma dietro le parole scritte sta questo spirito, questo è la volontà del Concilio, cosı̀ dobbiamo fare. E dall’altra parte, naturalmente, la reazione: cosı̀ distruggete la Chiesa. La reazione — diciamo — assoluta contro il Concilio, la anti-conciliarità e — diciamo — la timida, umile ricerca di realizzare il vero spirito del Concilio. E come dice un proverbio « Se cade un albero fa grande rumore, se cresce una selva non si sente niente perché si sviluppa un processo senza rumore » e quindi durante questi grandi rumori del progressismo sbagliato, dell’anticonciliarismo cresce molto silenziosamente, con tante sofferenze e anche con tante perdite nella costruzione di un nuovo passaggio culturale, il cammino della Chiesa. E poi la seconda cesura nell’89. Il crollo dei regimi comunisti, ma la risposta non fu il ritorno alla fede, come si poteva forse aspettare, non fu la riscoperta che proprio la Chiesa con il Concilio autentico aveva dato la risposta. La risposta fu invece lo scetticismo totale, la cosiddetta postmodernità. Niente è vero, ognuno deve vedere come vivere, si afferma un materialismo, uno scetticismo pseudo-razionalista cieco che finisce nella droga, finisce in tutti questi problemi che conosciamo e di nuovo chiude le strade alla fede, perché è cosı̀ semplice, cosı̀ evidente. No, non c’è nulla di vero. La verità è intollerante, non possiamo prendere questa strada. Ecco: in questi contesti di due rotture culturali, la prima, la rivoluzione culturale del ’68, la seconda, la caduta potremmo dire nel nichilismo dopo l’89, la Chiesa con umiltà, tra le passioni del mondo e la gloria del Signore, prende la sua strada. Su questa strada dobbiamo crescere con pazienza e dobbiamo adesso in un modo nuovo 730 Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale imparare che cosa vuol dire rinunciare al trionfalismo. Il Concilio aveva detto di rinunciare al trionfalismo — e aveva pensato al barocco, a tutte queste grandi culture della Chiesa. Si disse: cominciamo in modo moderno, nuovo. Ma era cresciuto un altro trionfalismo, quello di pensare: noi adesso facciamo le cose, noi abbiamo trovato la strada e troviamo su di essa il mondo nuovo. Ma l’umiltà della Croce, del Crocifisso esclude proprio anche questo trionfalismo, dobbiamo rinunciare al trionfalismo secondo cui adesso nasce realmente la grande Chiesa del futuro. La Chiesa di Cristo è sempre umile e proprio cosı̀ è grande e gioiosa. Mi sembra molto importante che adesso possiamo vedere con occhi aperti quanto è anche cresciuto di positivo nel dopo Concilio: nel rinnovamento della liturgia, nei Sinodi, Sinodi romani, Sinodi universali, Sinodi diocesani, nelle strutture parrocchiali, nella collaborazione, nella nuova responsabilità dei laici, nella grande corresponsabilità interculturale e intercontinentale, in una nuova esperienza della cattolicità della Chiesa, dell’unanimità che cresce in umiltà e tuttavia è la vera speranza del mondo. E cosı̀ dobbiamo, mi sembra, riscoprire la grande eredità del Concilio che non è uno spirito ricostruito dietro i testi, ma sono proprio i grandi testi conciliari riletti adesso con le esperienze che abbiamo avuto e che hanno portato frutto in tanti movimenti, tante nuove comunità religiose. In Brasile sono arrivato sapendo come si espandono le sette e come sembra un po’ sclerotizzata la Chiesa cattolica; ma una volta arrivato ho visto che quasi ogni giorno in Brasile nasce una nuova comunità religiosa, nasce un nuovo movimento, non solo crescono le sette. Cresce la Chiesa con nuove realtà piene di vitalità, non cosı̀ da riempire le statistiche — questa è una speranza falsa, la statistica non è la nostra divinità — ma crescono negli animi e creano la gioia della fede, creano presenza del Vangelo, creano cosı̀ anche vero sviluppo del mondo e della società. Quindi mi sembra che dobbiamo combinare la grande umiltà del Crocifisso, di una Chiesa che è sempre umile e sempre contrastata dai grandi poteri economici, militari ecc, ma dobbiamo imparare insieme con questa umiltà anche il vero trionfalismo della cattolicità che cresce in tutti i secoli. Cresce anche oggi la presenza del Crocifisso risorto, che ha e conserva le sue ferite; è ferito, ma proprio cosı̀ rinnova il mondo, dà il suo soffio che rinnova anche la Chiesa nonostante tutta la nostra povertà. E direi, in questo insieme di umiltà della Croce e di gioia del Signore risorto, che nel Concilio ci ha dato un grande indicatore di strada, possiamo andare avanti gioiosamente e pieni di speranza. Acta Benedicti Pp. XVI 731 NUNTIUS Recurrente XXIII Internationali Die Iuventuti dicato Cari giovani, 1. La XXIII Giornata Mondiale della Gioventù Ricordo sempre con grande gioia i vari momenti trascorsi insieme a Colonia, nell’agosto 2005. Alla fine di quell’indimenticabile manifestazione di fede e di entusiasmo, che resta impressa nel mio spirito e nel mio cuore, vi ho dato appuntamento per il prossimo incontro che si terrà a Sydney, nel 2008. Sarà la XXIII Giornata Mondiale della Gioventù ed avrà come tema: « Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni ».1 Il filo conduttore della preparazione spirituale all’appuntamento di Sydney è lo Spirito Santo e la missione. Se nel 2006 ci siamo soffermati a meditare sullo Spirito Santo come Spirito di verità, nel 2007 cerchiamo di scoprirlo più profondamente quale Spirito d’amore, per incamminarci poi verso la Giornata Mondiale della Gioventù 2008, riflettendo sullo Spirito di fortezza e testimonianza, che ci dona il coraggio di vivere il Vangelo e l’audacia di proclamarlo. Diventa perciò fondamentale che ciascuno di voi giovani, nella sua comunità e con i suoi educatori, possa riflettere su questo Protagonista della storia della salvezza che è lo Spirito Santo o Spirito di Gesù, per raggiungere questi alti scopi: riconoscere la vera identità dello Spirito anzitutto ascoltando la Parola di Dio nella Rivelazione della Bibbia; prendere una lucida coscienza della sua continua, attiva presenza nella vita della Chiesa, in particolare riscoprendo che lo Spirito Santo si pone come « anima », respiro vitale della propria vita cristiana, grazie ai sacramenti dell’iniziazione cristiana — Battesimo, Confermazione ed Eucaristia; diventare cosı̀ capace di maturare una comprensione di Gesù sempre più approfondita e gioiosa e, contemporaneamente, di realizzare un’efficace attuazione del Vangelo all’alba del terzo millennio. Volentieri con questo messaggio vi offro un tracciato di meditazione da approfondire lungo quest’anno di preparazione, su cui verificare la qualità della vostra fede nello Spirito Santo, ritrovarla se smarrita, rafforzarla se indebolita, gustarla come compagnia del Padre e del Figlio Gesù Cristo, grazie appunto all’opera indispensabile dello Spirito Santo. Non di1 At 1, 8. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 732 menticate mai che la Chiesa, anzi l’umanità stessa, quella che vi sta attorno e che vi aspetta nel vostro futuro, attende molto da voi giovani perché avete in voi il dono supremo del Padre, lo Spirito di Gesù. 2. La promessa dello Spirito Santo nella Bibbia L’attento ascolto della Parola di Dio a riguardo del mistero e dell’opera dello Spirito Santo ci apre a conoscenze grandi e stimolanti che riassumo nei punti seguenti. Poco prima della sua ascensione, Gesù disse ai discepoli: « Manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso ».2 Ciò si realizzò nel giorno della Pentecoste, quando essi erano riuniti in preghiera nel Cenacolo con la Vergine Maria. L’effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa nascente fu il compimento di una promessa di Dio assai più antica, annunciata e preparata in tutto l’Antico Testamento. In effetti, fin dalle prime pagine la Bibbia evoca lo spirito di Dio come un soffio che « aleggiava sulle acque » 3 e precisa che Dio soffiò nelle narici dell’uomo un alito di vita,4 infondendogli cosı̀ la vita stessa. Dopo il peccato originale, lo spirito vivificante di Dio si manifesterà diverse volte nella storia degli uomini, suscitando profeti per incitare il popolo eletto a tornare a Dio e ad osservarne fedelmente i comandamenti. Nella celebre visione del profeta Ezechiele, Dio fa rivivere con il suo spirito il popolo d’Israele, raffigurato da « ossa inaridite ».5 Gioele profetizza un’« effusione dello spirito » su tutto il popolo, nessuno escluso: « Dopo questo — scrive l’Autore sacro —, io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo... Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio spirito ».6 Nella « pienezza del tempo »,7 l’angelo del Signore annuncia alla Vergine di Nazaret che lo Spirito Santo, « potenza dell’Altissimo », scenderà e stenderà su di lei la sua ombra. Colui che ella partorirà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.8 Secondo l’espressione del profeta Isaia, il Messia sarà colui sul quale si poserà lo Spirito del Signore.9 Proprio questa profezia Gesù riprese all’inizio del suo ministero pubblico nella 2 3 4 5 6 7 8 9 Lc 24, 49. Cf. Gn 1, 2. Cf. Gn 2, 7. Cf. 37, 1-14. 3, 1-2. Cf. Gal 4, 4. Cf. Lc 1, 35. Cf. 11, 1-2; 42, 1. Acta Benedicti Pp. XVI 733 sinagoga di Nazaret: « Lo Spirito del Signore — Egli disse fra lo stupore dei presenti — è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore ».10 Rivolgendosi ai presenti, riferirà a se stesso queste parole profetiche affermando: « Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi ».11 Ed ancora, prima della sua morte in croce, annuncerà più volte ai discepoli la venuta dello Spirito Santo, il « Consolatore », la cui missione sarà quella di rendergli testimonianza e di assistere i credenti, insegnando loro e guidandoli alla Verità tutta intera.12 3. La Pentecoste, punto di partenza della missione della Chiesa La sera del giorno della sua risurrezione Gesù, apparendo ai discepoli, « alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spinto Santo” ».13 Con ancor più forza lo Spirito Santo scese sugli Apostoli il giorno della Pentecoste: « Venne all’improvviso dal cielo un rombo — si legge negli Atti degli Apostoli — come di vento che si abbatte gagliardo, e riempı̀ tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro ».14 Lo Spirito Santo rinnovò interiormente gli Apostoli, rivestendoli di una forza che li rese audaci nell’annunciare senza paura: « Cristo è morto e risuscitato! ». Liberi da ogni timore essi iniziarono a parlare con franchezza.15 Da pescatori intimoriti erano diventati araldi coraggiosi del Vangelo. Persino i loro nemici non riuscivano a capire come mai uomini « senza istruzione e popolani » 16 fossero in grado di mostrare un simile coraggio e sopportare le contrarietà, le sofferenze e le persecuzioni con gioia. Niente poteva fermarli. A coloro che cercavano di ridurli al silenzio rispondevano: « Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato ».17 Cosı̀ nacque la Chiesa, che dal 10 11 12 13 14 15 16 17 Lc 4, 18-19; cf. Is 61, 1-2. Lc 4, 21. Cf. Gv 14, 16-17.25-26; 15, 26; 16, 13. Gv 20, 22. 2, 2-3. Cf. At 2, 29; 4, 13; 4, 29.31. Cf. At 4, 13. At 4, 20. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 734 giorno della Pentecoste non ha cessato di irradiare la Buona Novella « fino agli estremi confini della terra ».18 4. Lo Spirito Santo, anima della Chiesa e principio di comunione Ma per comprendere la missione della Chiesa dobbiamo tornare nel Cenacolo dove i discepoli restarono insieme,19 pregando con Maria, la « Madre », in attesa dello Spirito promesso. A quest’icona della Chiesa nascente ogni comunità cristiana deve costantemente ispirarsi. La fecondità apostolica e missionaria non è principalmente il risultato di programmi e metodi pastorali sapientemente elaborati ed « efficienti », ma è frutto dell’incessante preghiera comunitaria.20 L’efficacia della missione presuppone, inoltre, che le comunità siano unite, abbiano cioè « un cuore solo e un’anima sola »,21 e siano disposte a testimoniare l’amore e la gioia che lo Spirito Santo infonde nei cuori dei fedeli.22 Il Servo di Dio Giovanni Paolo II ebbe a scrivere che prima di essere azione, la missione della Chiesa è testimonianza e irradiazione.23 Cosı̀ avveniva all’inizio del cristianesimo, quando i pagani, scrive Tertulliano, si convertivano vedendo l’amore che regnava tra i cristiani: « Vedi — dicono — come si amano tra loro ».24 Concludendo questo rapido sguardo alla Parola di Dio nella Bibbia, vi invito a notare come lo Spirito Santo sia il dono più alto di Dio all’uomo, quindi la testimonianza suprema del suo amore per noi, un amore che si esprime concretamente come « sı̀ alla vita » che Dio vuole per ogni sua creatura. Questo « sı̀ alla vita » ha la sua forma piena in Gesù di Nazaret e nella sua vittoria sul male mediante la redenzione. A questo proposito non dimentichiamo mai che l’Evangelo di Gesù, proprio in forza dello Spirito, non si riduce ad una pura constatazione, ma vuole diventare « bella notizia per i poveri, liberazione per i prigionieri, vista ai ciechi... ». È quanto si manifestò con vigore il giorno di Pentecoste, diventando grazia e compito della Chiesa verso il mondo, la sua missione prioritaria. 18 19 20 21 22 23 24 At 1, 8. Cf. Lc 24, 49. Cf. Paolo VI, Esort. apost. Evangelii nuntiandi, 75. Cf. At 4, 32. Cf. At 2, 42. Cf. Enc. Redemptoris missio, 26. Cf. Apologetico, 39 § 7. Acta Benedicti Pp. XVI 735 Noi siamo i frutti di questa missione della Chiesa per opera dello Spirito Santo. Noi portiamo dentro di noi quel sigillo dell’amore del Padre in Gesù Cristo che è lo Spirito Santo. Non dimentichiamolo mai, perché lo Spirito del Signore si ricorda sempre di ciascuno e vuole, mediante voi giovani in particolare, suscitare nel mondo il vento e il fuoco di una nuova Pentecoste. 5. Lo Spirito Santo « Maestro interiore » Cari giovani, anche oggi lo Spirito Santo continua dunque ad agire con potenza nella Chiesa e i suoi frutti sono abbondanti nella misura in cui siamo disposti ad aprirci alla sua forza rinnovatrice. Per questo è importante che ciascuno di noi Lo conosca, entri in rapporto con Lui e da Lui si lasci guidare. Ma a questo punto sorge naturalmente una domanda: chi è per me lo Spirito Santo? Non sono infatti pochi i cristiani per i quali Egli continua ad essere il « grande sconosciuto ». Ecco perché, preparandoci alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù, ho voluto invitarvi ad approfondire la conoscenza personale dello Spirito Santo. Nella nostra professione di fede proclamiamo: « Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita e procede dal Padre e dal Figlio » (Simbolo di Nicea-Costantinopoli). Sı̀, lo Spirito Santo, Spirito d’amore del Padre e del Figlio, è Sorgente di vita che ci santifica, « perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ».25 Tuttavia non basta conoscerLo; occorre accoglierLo come guida delle nostre anime, come il « Maestro interiore » che ci introduce nel Mistero trinitario, perché Egli solo può aprirci alla fede e permetterci di viverla ogni giorno in pienezza. Egli ci spinge verso gli altri, accende in noi il fuoco dell’amore, ci rende missionari della carità di Dio. So bene quanto voi giovani portiate nel cuore grande stima ed amore verso Gesù, come desideriate incontrarLo e parlare con Lui. Ebbene ricordatevi che proprio la presenza dello Spirito in noi attesta, costituisce e costruisce la nostra persona sulla Persona stessa di Gesù crocifisso e risorto. Rendiamoci dunque familiari dello Spirito Santo, per esserlo di Gesù. 6. I Sacramenti della Confermazione e dell’Eucaristia Ma — direte — come possiamo lasciarci rinnovare dallo Spirito Santo e crescere nella nostra vita spirituale? La risposta — lo sapete — è: lo si può per mezzo dei Sacramenti, perché la fede nasce e si irrobustisce in noi grazie ai 25 Rm 5, 5. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 736 Sacramenti, innanzitutto a quelli dell’iniziazione cristiana: il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia, che sono complementari e inscindibili.26 Questa verità sui tre Sacramenti che sono all’inizio del nostro essere cristiani è forse trascurata nella vita di fede di non pochi cristiani, per i quali essi sono gesti compiuti nel passato senza incidenza reale sull’oggi, come radici senza linfa vitale. Avviene che, ricevuta la Confermazione, diversi giovani si allontanano dalla vita di fede. E ci sono anche giovani che nemmeno ricevono questo sacramento. Eppure è con i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e poi, in modo continuativo, dell’Eucaristia che lo Spirito Santo ci rende figli del Padre, fratelli di Gesù, membri della sua Chiesa, capaci di una vera testimonianza al Vangelo, fruitori della gioia della fede. Vi invito perciò a riflettere su quanto qui vi scrivo. Oggi è particolarmente importante riscoprire il sacramento della Confermazione e ritrovarne il valore per la nostra crescita spirituale. Chi ha ricevuto i sacramenti del Battesimo e della Confermazione ricordi che è diventato « tempio dello Spirito »: Dio abita in lui. Sia sempre cosciente di questo e faccia sı̀ che il tesoro che è in lui porti frutti di santità. Chi è battezzato, ma non ha ancora ricevuto il sacramento della Confermazione, si prepari a riceverlo sapendo che cosı̀ diventerà un cristiano « compiuto », poiché la Confermazione perfeziona la grazia battesimale.27 La Confermazione ci dona una forza speciale per testimoniare e glorificare Dio con tutta la nostra vita; 28 ci rende intimamente consapevoli della nostra appartenenza alla Chiesa, « Corpo di Cristo », del quale tutti siamo membra vive, solidali le une con le altre. 29 Lasciandosi guidare dallo Spirito, ogni battezzato può apportare il proprio contributo all’edificazione della Chiesa grazie ai carismi che Egli dona, poiché « a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune ».30 E quando lo Spirito agisce reca nell’animo i suoi frutti che sono « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé ».31 A quanti tra voi non hanno ancora ricevuto il sacramento della Confermazione rivolgo il cordiale invito a prepararsi ad accoglierlo, chiedendo l’aiuto dei loro sacerdoti. È una speciale occasione di grazia che il Signore vi offre: non lasciatevela sfuggire! 26 27 28 29 30 31 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1285. Cf. CCC, 1302-1304. Cf. Rm 12, 1. Cf. 1 Cor 12, 12-25. 1 Cor 12, 7. Gal 5, 22. Acta Benedicti Pp. XVI 737 Vorrei qui aggiungere una parola sull’Eucaristia. Per crescere nella vita cristiana, è necessario nutrirsi del Corpo e Sangue di Cristo: infatti, siamo battezzati e confermati in vista dell’Eucaristia.32 « Fonte e culmine » della vita ecclesiale, l’Eucaristia è una « Pentecoste perpetua », poiché ogni volta che celebriamo la Santa Messa riceviamo lo Spirito Santo che ci unisce più profondamente a Cristo e in Lui ci trasforma. Se, cari giovani, parteciperete frequentemente alla Celebrazione eucaristica, se consacrerete un po’ del vostro tempo all’adorazione del SS.mo Sacramento, dalla Sorgente dell’amore, che è l’Eucaristia, vi verrà quella gioiosa determinazione di dedicare la vita alla sequela del Vangelo. Sperimenterete al tempo stesso che là dove non arrivano le nostre forze, è lo Spirito Santo a trasformarci, a colmarci della sua forza e a renderci testimoni pieni dell’ardore missionario del Cristo risorto. 7. La necessità e l’urgenza della missione Molti giovani guardano alla loro vita con apprensione e si pongono tanti interrogativi circa il loro futuro. Essi si chiedono preoccupati: Come inserirsi in un mondo segnato da numerose e gravi ingiustizie e sofferenze? Come reagire all’egoismo e alla violenza che talora sembrano prevalere? Come dare senso pieno alla vita? Come contribuire perché i frutti dello Spirito che abbiamo sopra ricordato, « amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé »,33 inondino questo mondo ferito e fragile, il mondo dei giovani anzitutto? A quali condizioni lo Spirito vivificante della prima creazione e soprattutto della seconda creazione o redenzione può diventare l’anima nuova dell’umanità? Non dimentichiamo che quanto più è grande il dono di Dio — e quello dello Spirito di Gesù è il massimo — altrettanto è grande il bisogno del mondo di riceverlo e dunque grande ed appassionante è la missione della Chiesa di darne testimonianza credibile. E voi giovani, con la Giornata Mondiale della Gioventù, in certo modo attestate la volontà di partecipare a tale missione. A questo proposito, mi preme, cari amici, ricordarvi qui alcune verità di riferimento su cui meditare. Ancora una volta vi ripeto che solo Cristo può colmare le aspirazioni più intime del cuore dell’uomo; solo Lui è capace di umanizzare l’umanità e condurla alla sua « divinizzazione ». Con la potenza del suo Spirito Egli infonde in noi la carità divina, che ci rende capaci di amare il prossimo e pronti a metterci al suo servizio. Lo Spirito Santo illumina, rivelando Cristo crocifisso e risorto, ci 32 33 Cf. CCC, 1322; Esort. apost. Sacramentum caritatis, 17. N. 6. Acta Apostolicae Sedis — Commentarium Officiale 738 indica la via per diventare più simili a Lui, per essere cioè « espressione e strumento dell’amore che da Lui promana ».34 E chi si lascia guidare dallo Spirito comprende che mettersi al servizio del Vangelo non è un’opzione facoltativa, perché avverte quanto sia urgente trasmettere anche agli altri questa Buona Novella. Tuttavia, occorre ricordarlo ancora, possiamo essere testimoni di Cristo solo se ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo, che è « l’agente principale dell’evangelizzazione » 35 e « il protagonista della missione ».36 Cari giovani, come hanno più volte ribadito i miei venerati Predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, annunciare il Vangelo e testimoniare la fede è oggi più che mai necessario.37 Qualcuno pensa che presentare il tesoro prezioso della fede alle persone che non la condividono significhi essere intolleranti verso di loro, ma non è cosı̀, perché proporre Cristo non significa imporlo.38 Del resto, duemila anni or sono dodici Apostoli hanno dato la vita affinché Cristo fosse conosciuto e amato. Da allora il Vangelo continua nei secoli a diffondersi grazie a uomini e donne animati dallo stesso loro zelo missionario. Pertanto, anche oggi occorrono discepoli di Cristo che non risparmino tempo ed energie per servire il Vangelo. Occorrono giovani che lascino ardere dentro di sé l’amore di Dio e rispondano generosamente al suo appello pressante, come hanno fatto tanti giovani beati e santi del passato e anche di tempi a noi vicini. In particolare, vi assicuro che lo Spirito di Gesù oggi invita voi giovani ad essere portatori della bella notizia di Gesù ai vostri coetanei. L’indubbia fatica degli adulti di incontrare in maniera comprensibile e convincente l’area giovanile può essere un segno con cui lo Spirito intende spingere voi giovani a farvi carico di questo. Voi conoscete le idealità, i linguaggi, ed anche le ferite, le attese, ed insieme la voglia di bene dei vostri coetanei. Si apre il vasto mondo degli affetti, del lavoro, della formazione, dell’attesa, della sofferenza giovanile... Ognuno di voi abbia il coraggio di promettere allo Spirito Santo di portare un giovane a Gesù Cristo, nel modo che ritiene migliore, sapendo « rendere conto della speranza che è in lui, con dolcezza ».39 Ma per raggiungere questo scopo, cari amici, siate santi, siate missionari, poiché non si può mai separare la santità dalla missione.40 Non abbiate paura di diventare santi missionari come san Francesco Saverio, che ha percorso 34 35 36 37 38 39 40 Enc. Deus caritas est, 33. Cf. Evangelii nuntiandi, 75. Cf. Redemptoris missio, 21. Cf. Redemptoris missio, 1. Cf. Evangelii nuntiandi, 80. Cf. 1 Pt 3, 15. Cf. Redemptoris missio, 90. Acta Benedicti Pp. XVI 739 l’Estremo Oriente annunciando la Buona Novella fino allo stremo delle forze, o come santa Teresa del Bambino Gesù, che fu missionaria pur non avendo lasciato il Carmelo: sia l’uno che l’altra sono « Patroni delle Missioni ». Siate pronti a porre in gioco la vostra vita per illuminare il mondo con la verità di Cristo; per rispondere con amore all’odio e al disprezzo della vita; per proclamare la speranza di Cristo risorto in ogni angolo della terra. 8. Invocare una « nuova Pentecoste » sul mondo Cari giovani, vi attendo numerosi nel luglio 2008 a Sydney. Sarà un’occasione provvidenziale per sperimentare appieno la potenza dello Spirito Santo. Venite numerosi, per essere segno di speranza e sostegno prezioso per le comunità della Chiesa in Australia che si preparano ad accogliervi. Per i giovani del Paese che ci ospiterà sarà un’opportunità eccezionale di annunciare la bellezza e la gioia del Vangelo ad una società per molti versi secolarizzata. L’Australia, come tutta l’Oceania, ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane. Nell’Esortazione post-sinodale Ecclesia in Oceania Giovanni Paolo II scriveva: « Con la potenza dello Spirito Santo, la Chiesa in Oceania si sta preparando per una nuova evangelizzazione di popoli che oggi sono affamati di Cristo... La nuova evangelizzazione è una priorità per la Chiesa in Oceania » (n. 18). Vi invito a dedicare tempo alla preghiera e alla vostra formazione spirituale in quest’ultimo tratto del cammino che ci conduce alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, affinché a Sydney possiate rinnovare le promesse del vostro Battesimo e della vostra Confermazione. Insieme invocheremo lo Spirito Santo, chiedendo con fiducia a Dio il dono di una rinnovata Pentecoste per la Chiesa e per l’umanità del terzo millennio. Maria, unita in preghiera agli Apostoli nel Cenacolo, vi accompagni durante questi mesi ed ottenga per tutti i giovani cristiani una nuova effusione dello Spirito Santo che ne infiammi i cuori. Ricordate: la Chiesa ha fiducia in voi! Noi Pastori, in particolare, preghiamo perché amiate e facciate amare sempre più Gesù e Lo seguiate fedelmente. Con questi sentimenti vi benedico tutti con grande affetto. Da Lorenzago, 20 luglio 2007. BENEDICTUS PP. XVI Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 740 CONGREGATIO DE CAUSIS SANCTORUM FAVENTINA et MUTILENSIS Beatificationis et canonizationis Servae Dei Cleonildis Guerra, Christifidelis laicae (1922-1949) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Apud Iesum dolores esse desinunt, quia spinae rosae fiunt, cruces gaudia, tribulatio cibus, mors dulcedo ». Verba haec, quae ad quendam amicam scripserat Cleonildis Guerra, ostendunt eius rationem vitae, quoniam ipsa, omnino Deo dicata, fecit ut innumerae tribulationes, quibus cruciata est, instrumentum essent ad artius vinculum cum Eo firmandum et sic adimplenda in propria carne ea quae desunt passionum Christi pro Ecclesia (cf. Col 1, 24). Haec fidelis Domini discipula ortum habuit in oppido vulgo San Potito, dioecesis Faventinae, die 30 mensis Ianuarii anno 1922 ex operaria familia. Praesertim mater eius christianam curavit institutionem. Perquam iuvenis assidue paroeciam frequentavit. Debili utebatur valetudine, quod quidem aequanimiter patiebatur. Consecratam vitam affectans, mense Martio anno 1943 ingressa est Conventum urbis Luci Dianae, apud Ancillas Sacri Cordis Iesu Agonizantis, ibique noviciatum iniit. Statim eminuit fervore quo amplexa est spiritum reparationis, qui proprius est Instituti, et promptam laetamque sese manifestavit ad quodlibet explendum officium sibi creditum. Elapso tamen unius fere mensis spatio, relinquere debuit communitatem ob adversam valetudinis condicionem. Idcirco resumpsit officium suum in paroecia, nigrum probandarum induens vestimentum, veluti signum suae Domino oblationis. Ingressa est Tertium Ordinem Franciscalem et ferventem frugiferamque apostolicam navavit operam apud Actionem Catholicam. Commissum est ei mu- Congregatio de Causis Sanctorum 741 nus Delegatae, quo diligenter functa est, incumbens praesertim in religiosam mulierum iuvenum institutionem. Altero saeviente bello mundiali, domus eius solo est aequata, quamobrem refugium, simul cum familiaribus, apud vicinias invenit. Licet inter difficultates, fervidam colere perrexit vitam spiritualem, Missae sacrificium participans et cotidie eucharistica communione se reficiens, cum rerum adiuncta id ipsi permittebant. Bello composito, pater eius eiusque frater, qui iam antea adversarii cleri erant, in dies maiore persuasione socialem amplexi sunt communistarum doctrinam. Anno 1947, de licentia moderatoris spiritualis, emisit votum privatum veluti victima pro peccatorum conversione ac, peculiari modo, suorum familiarium, qui a fide longinqui versabantur. Sequenti anno, occasione piae peregrinationis in oppidum S. Ioannis Rotundi, Sanctus Pius a Pietrelcina confirmavit eam in bonitate et in soliditate voti emissi. Etenim frater eius, post mortem Servae Dei, conversionem obtinuit. Ipsa constanter viam sectabatur ad fastigia assequenda evangelicae perfectionis, propriam crucem post Christum baiulans. In simplicitate, laeto quidem, constanti accuratoque animo christianas exercuit virtutes. Fides eam iugiter inducebat ad Divinum Redemptorem propius in dies imitandum. Dominum diligebat omnibus viribus et adductam se praebebat ad ipsius voluntatem integerrime exsequendam, ita ut propriam sanationem minime quaereret et paratam se exhiberet ad quodlibet sacrificium perferendum dummodo Ipsi placeret. A quolibet peccato deliberato abhorruit, et animas maximopere curavit ad Ipsum ferendas, vires impendens in apostolatum, praesertim apud iuvenes. Promptam se profitebatur et hospitalem erga omnes, et non permittebat murmurationibus subici. Proprium nutrivit spiritum oratione, cultu ad Eucharistiam, ad Sacrum Cor Passionemque Iesu nec non ad Beatissimam Virginem Mariam. In serenitate et laetitia gessit aegritudinem, spe caelestium donorum firmata. Prudentia eminuit et aequitate in quibuslibet adiunctis, unde detecta est optima consiliaria erga quaerentes eam. Itemque recta ac munifica erga omnes nec non diligens in muneribus exsequendis sive apud familiam sive apud paroeciam. Fortiter innumeras difficultates in se incidentes oppetivit et exprobrationes vituperantium vitam Domino consecratam. Modesta exstitit in indumentis et in modo sese gerendi. Plures spirituales flosculos excogitabat ut a mundanis rebus se seiungeret, in spiritu evangelicae paupertatis, Sanctum Franciscum Assisiensem vestigiis sequens. In omnibus rerum adiunctis consiliis obtemperavit Summi Pontificis et auctoritatum Ecclesiae. Adamussim servavit castitatem, tali modo ut haberetur authentica puritatis imago. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 742 Operata est suiipsius immemor et in abscondito versans, et ne aegre quidem tulit rudiora explere opera. Ineunte anno 1949 valetudinis condiciones ingravescere coeperunt, qua de causa, in valetudinarium excipi debuit. Nedum sese animo deprimeret, hanc novam tribulationem serene obiit, dolores reputans veluti donum. Immo, in valetudinario degens, assidue orare perrexit et opus apostolatus exercuit. Singulae eius actiones collustrabantur et firmabantur spe aeternae beatitudinis, quam tandem Dei Serva attigit die 19 mensis Maii anno 1949. Ob diffusam sanctitatis famam, Episcopus Faventinus inchoavit Causam beatificationis et canonizationis, Inquisitionem dioecesanam celebrans annis 1983-1985, cuius iuridicam validitatem Congregatio de Causis Sanctorum adprobavit, decretum edens die 20 mensis Maii anno 1988. Apparata Positione, disceptatio facta est de virtutibus heroico in gradu a Dei Serva exercitis. Prospero cum exitu, die 27 mensis Septembris anno 2005 actus est Congressus Peculiaris Consultorum Theologorum. Patres Cardinales et Episcopi, in Sessione Ordinaria die 16 mensis Ianuarii anno 2007 congregati, audita relatione Ponentis Causae, Exc.mi D.ni Petri Georgii Nesti, C. P., Archiepiscopi emeriti Camerinensis-Sancti Severini in Piceno, agnoverunt Servam Dei Cleonildem Guerra theologales, cardinales eisque adnexas virtutes heroicum in modum excoluisse. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servae Dei Cleonildis Guerra, Christifidelis laicae, in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis Congregatio de Causis Sanctorum 743 VERONENSIS Beatificationis et canonizationis Servi Dei Francisci Mariae Perez, Religiosi professi Congregationis Pauperum Servorum a Divina Providentia (1861-1937) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Iesus... dixit illi: “Unum tibi deest: vade, quaecumque habes, vende et da pauperibus et habebis thesaurum in caelo et veni, sequere me”. Qui contristatus in hoc verbo, abiit maerens: erat enim habens possessiones multas. Et circumspiciens Iesus ait discipulis suis: “Quam difficile, qui pecunias habent, in regnum Dei introibunt” » (Mc 10, 21-23). Si Iesus, loco illius iuvenis divitis invenisset iuvenem Franciscum Mariam Perez, comitem, advocatum, genere nobilem ac divitem, fuisset in Spiritu Sancto laetatus et dixisset: « Confiteor tibi, Pater, Domine caeli et terrae, quod abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis » (Lc 10, 21). Ita enim, noster dives comes ad litteram consilium servavit Divini Magistri Eumque est secutus. Quadam sub ratione Franciscus Maria Perez est veluti alter Franciscus Assisiensis, fulgidum exemplum nostra in societate, tot divitiis et materialibus opibus adlecta. Hic Servus Dei Veronae natus est die 9 mensis Iulii anno 1861, sextus inter decem liberos, ex comite Antonio Perez ac marchionissa Anna da Lisca. Duos post dies ab eius natali baptizatus est apud paroeciam Sancti Firmi. Fervens et integra pietas familiae, quae altissima fide nec non authentica conversatione christiana est nutrita, contulit ad se spontaneo laetoque animo Domino devovendum. Elementaria expleta institutione apud familiam, Franciscus, puer adhuc, studia perrexit apud Regium Collegium « Carlo Alberto » in loco v. d. Moncalieri apud Augustam Taurinorum, cuius curationem gerebant Patres Barnabitae, ac deinde Domoduscellae in Novaria apud sodales Rosminianos. Ulterius veluti alumnus externus Veronense frequentavit Seminarium. Adepto classicae maturitatis titulo apud publicum Lyceum « Maffei », nomen dedit facultati Iurisprudentiae apud Studiorum Universitatem Patavinam. Titulo doctoris in iure est exornatus anno 1885, quattuor et viginti aetatis annos agens. 744 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Ubique excelluit pietate, morum integritate et liberalitate erga pauperes. Quaedam senex mulier dispensatrix appellabat eum « sanctinum meum », et fidelis quidam cubicularius diligenter secretum servabat circa suum cilicium, suum lectum reticulatum aliaque extraordinaria exercitia ascetica. Patre orbatus, relicto munere advocati, incubuit in administrandum patrimonium familiae, plerumque rusticanae sed accommodatae. Quatenus ad contractuales necessitudines cum suis subditis praenuntiavit doctrinam Litterarum Encyclicarum « Rerum Novarum » Leonis XIII (1891). Celerrime partes habere coepit apud activas associationes catholicas, et dum saeviret anticlericalismus, dimicavit pro sua fide et pro magisterio Ecclesiae, hominum iudiciis posthabitis. Mirum exemplar factus est uti laicus prorsus fidei conscius, plane certus se baptismate suffusum esse, quoniam Christo Iesu se tradidit et fratribus, praecipue magis miseros praeoptans. Ad bona opera vehementer alliciebat; addebat animum Conferentiis Sancti Vincentii, quarum diuturne Praeses dioecesanus exstitit. Condicionem pauperum secutus, voluit cibi, lecti vestiumque egestatem experiri. Ruinosas novit aediculas carentium opere, infirmorum, familiarum absque pane; cellas abiectorum hominum frequenter adivit, aedificari percupiens patientia pauperum, eorum statum assumendo. Et fraterna subveniebat illis comitate, de qua numquam gloriam sibi expetivit. Vicepraetor exstitit Veronae, sodalis Consilii Communalis loci Zevio, nec non curator Piorum Operum laicorum. In his explendis muneribus honestate eminuit et omni lucri contemptione, quamlibet respuens remunerationem, sed vires indefatigato animo in beneficium pauperum impendens. Statim ut cognovit iuvenem studentem et clericum, dominum Ioannem Calabria, factus est eius admirator, sumpsit eum veluti amicum et magistrum, quamvis duodecim annos senior esset. Cum illo et cum aliis partes habuit condendae « Piae Unionis pro Infirmis pauperibus curandis »: cuius ipse inter socios tamquam lucida stella splenduit. Ingressus est Institutum domini Calabria tantummodo cum, audiens consilium moderatoris spiritus Patris Natalis O.C.D., sese omnibus opibus spoliavit et omni iure futuro, seipsum in discrimen adducens, suam libertatem suumque futurum, Evangelii promissionibus tantum suffultus. Servus factus pauperum, omnibus viribus se dedit iuvenibus quos dominus Calabria a statu derelictionis detrahebat. Curam de his pauperibus adhibebat, sibi expetens privilegium abiectioribus rebus intendendi, aliis munus Congregatio de Causis Sanctorum 745 docendi relinquens vel digniora officia. Etenim, humilitatem et spiritum servitii eminenti excoluit gradu. Attamen Frater Franciscus Maria Perez peculiari prosecutus est dilectione Iesum Christum, pro quo promptum iugiter se praebuit ad proprium sanguinem fundendum. In « Diario » die 1 mensis Iulii anno 1937, quinque scilicet menses ante mortem, sub finem cuiusdam secessus spiritualis ita declarabat: « Desidero, Deus meus, videre te ab omnibus dilectum! O me felicem, si meum sanguinem effundere possem ut tu ab omnibus hominibus amareris! Deus meus, utinam tot haberem corda ut cum omnibus te diligerem, et omnium hominum corda possiderem, ad te cum illis diligendum! ». Vir summae fidei, communionem cum Deo, in quo omnem spem suam reposuerat, semper nutrivit. Omnium rerum anima precatio est. Diuturnas horas transigebat adorando, tempore detracto requietis, immo noctu, dummodo huiusmodi licentiam obtineret. Simplicitatem et absconditam vitam dilexit; constans exstitit uti Domino consecratus; patiens et aequanimus inter difficultates et tribulationes; mitis, comis et in omnes officiosus; sobrius sermone; promptus ad oboediendum maxime Sancto Ioanni Calabria; temperantiam coluit, castitatem et iustitiam erga Deum et proximum. Usque ad extremum vitae tempus sanctitatis viam alacriter secutus est, altiorem evangelicae perfectionis gradum attingens. Ad se vocavit eum Dominus die 4 mensis Decembris anno 1937. Mors eius sancta est reputata, quae ne quodam quidem extraordinario signo caruit. Praestantior eius vitae laudator fuit dominus Calabria, hodie inter sanctos caelites, qui in suo « Diario » haec scripserat: « Fratrem Franciscum semper verum sanctum servum Domini putavi, et spero fore ut quodam die a Domino in terra quoque glorificetur. Perez, Perez, Perez, ora pro me ». Non tantum dominus Calabria, sed etiam confratres, iuvenes quos uti pater, mater et magister tractavit, omnes de eo sive in vita sive post mortem una voce loquebantur « sanctum » habentes. Dioecesana super virtutibus Inquisitio inchoata est Veronae anno 1988 et conclusa anno 1990. Decretum super validitate Processus die 26 mensis Februarii anno 1993 est editum. Consultores Theologi Congregationis de Causis Sanctorum in Congressu Peculiari, habito die 24 mensis Iunii anno 2005, faventem tulerunt sententiam circa virtutes a Servo Dei heroico gradu exercitas. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 746 Patres Cardinales et Episcopi, in Sessione Ordinaria congregati die 9 mensis Ianuarii anno 2007, Ponente Causae Exc.mo D.no Laurentio Chiarinelli, Episcopo Viterbiensi, agnoverunt Servum Dei Franciscum Mariam Perez virtutes theologales, cardinales eisque adnexas heroico gradu esse exsecutum. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servi Dei Francisci Mariae Perez, Religiosi professi Congregationis Pauperum Servorum a Divina Providentia, in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis NOVARIENSIS Beatificationis et canonizationis Servae Dei Mariae Catharinae a Iesu Infante Lavizzari (in saec.: Aloisiae), Priorissae Benedictinarum a SS. Sacramento Adorationis et Reparationis Perpetuae Monasterii Ghiffae ad Runchum (1867-1931) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Iesus Hostia nobis in terris Paradisus est ». Haec, quae Serva Dei Maria Catharina a Iesu Infante Lavizzari suis monialibus dictitabat, haberi possunt tamquam compendium pietatis eius, quae germanissima Benedictina a SS.mo Sacramento Adorationis et Reparationis Perpetuae fuit, utpote ad auctori- Congregatio de Causis Sanctorum 747 tatem Matris Mechthildis a SS.mo Sacramento (in saec.: Catharinae de Bar), fundatricis, conformata. Fidelis haec testis Christi die 6 mensis Octobris anno 1867, in loco, quem Vervio appellant, apud Sondrium in lucem edita est, maxima natu decem liberorum, nec vero una sacram conversationem optatura: nam Barbara soror (quae Mater Iosepha) Benedictinis ab Adoratione Perpetua in Monasterio Ghiffae ipsa se sociam adiunxit, frater autem Azzo sacerdotium capessivit. Aloisia igitur, dum in domo honestate fideque imbuta degit, ingenio et alacritate praedita adolevit; sacroque chrismate obsignata est anno 1871 in pago, quem vocant Berbenno, quo familia migraverat. Processit Aloisiae puerilitas sub moderamine matris, quae liberis educandis diligentissima erat. Puella denique alumna vixit in Collegio Sororum Marcellinarum in loco, quem appellant Vimercate, ab anno 1880 ad annum 1884: quo quidem spatio ipsa aperte sensit se divino quodam afflatu ad salutaria consilia profitenda vocari. Cum autem ad suos rediisset, christianae doctrinae tradendae infirmisque visitandis se dedit, sincera fide, qua enitebat, non sociabus tantummodo, sed familiaribus quoque recti exempli facta. Postquam vero, Francisco Colturi sacerdote moderante, suam voluntatem altius perscrutata est, anno 1889, eodem auctore, statuit ingredi Monasterium Benedictinarum ab Adoratione Perpetua in loco, qui vulgo Seregno, quo moniales illae, ductante Matre Teresia Lamar, anno 1880 pervenerant. Die itaque 21 mensis Martii anno 1890, haec virgo, religionis habitum induta, nomen Mariam Catharinam a Iesu Infante sumpsit. Annis autem 1890 et 1891 eadem novitiarum tirocinium in Monasterio Atrebatensi, in Gallia, posuit, ubi quidem bonis sanctimonialium exemplis instructa est, tum quia societas et sodalitas earum summa gravitate pollebant, tum quia ibi Regula et Constitutiones ad amussim servabantur. Aloisia vero, tametsi studio in Gallia manendi in contrarias partes distrahebatur, tandem promisit se locum suum in parva Italica sodalitate, apud Seregno exsistente, resumpturam, ibique die 21 mensis Novembris anno 1891, ipsa se Deo mancipavit. Adde quod talis femina pietate, caritate in Sorores, prudentia denique apud socias permagni fiebat. Etenim Famula Dei iam tum illud adhibebat, quod posterius ipsa « mysticam disciplinam ab Oratione Dominica » definitura erat, quod est cor quidem in caelo, oculos autem et manus et pedes firmiter in terram demissa habere, adeo ut summa pietas cum singulari vitae usu mire coniugaretur. 748 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale Die vero 2 mensis Iulii anno 1894, Serva Dei electa est in alteram a priorissa; dein, anno 1900, novitiarum magistra facta est. Cum denique die 2 mensis Iulii, eodem anno, in priorissam, quod est sodalitatis caput, eligeretur, statim promisit se regularem observantiam aucturam, ut, quodcumque superiores antistitae (Mater a Cruce Frati et Mater Scholastica Sala), susceperant, hoc per ipsam ad exitum perduceretur. Novae quidem antistitae hoc maximae curae fuit, ut novitiae rite instituerentur, quas ceterum ipsa, sincera cuiusque voluntate probata, severe deligebat. Curavit insuper ut sacra monialium clausura servaretur; aptos eosque prudentes confessarios et concionatores arcessivit; puellarum denique curam suscepit, quae vel discendi vel sacrarum exercitationum causa in domo versabantur. Primo sui prioratus tempore cognovit etiam P. Caelestinum Mariam Colombo, e Congregatione S. Mariae Montis Oliveti, O. S. B., qui vere sodalitatis pater fuit. Die 15 mensis Augusti anno 1900, Serva Dei, Sorore Rosula Crippa sacra vota nuncupante, Oblatas Regulares instituit. Anno autem 1906, Beato Andrea Carolo Ferrari, Mediolanensi Archiepiscopo, assentiente, sodalitas a loco, quem Seregno vocant, ad Runchum Ghiffae, qui locus in sacra dicione Novariensi, migravit; sicque virgines monasterio, quod ipsae multa perpessae inchoaverant, quodque iam valde solidatum erat, paene dirutam domum, eamque in pago exsistentem, mutaverunt. Itaque Serva Dei ad novum monasterium confirmandum animo incubuit ab anno 1906 ad annum 1910: tunc eadem opera facienda curare, monialibus efformandis operam dare; porro ipsi accurate diiudicandum num virgines, quae conversationis amplexandae causa eo frequentes affluebant, re vera, prout ipsae autumabant, divino quodam nutu ad sacra consilia profitenda agerentur. Externi quoque apostolatus actiones inchoavit: ideo adulescentibus sacras exercitationes suscipiendas apparavit, sacerdotes tecto recepit, infirmis pauperibusque hospitium praebuit. Ab anno 1910 ad annum 1927 vetera Benedictina asceteria, in meridiana Italiae parte exsistentia, per moniales Ghiffae, maxime vero per Matrem Mariam Catharinam, ad Institutum Mechthildianum se deinceps adiunxerunt: quod quidem, ratione habita difficultatum, quibus virgines Deo devotae obviaverant, sane egregium facinus fuit. Interea mulieres potiorem conversationem appetentes ad Monasterium Ghiffae affluere haud cessabant; ibidemque sacrae exercitationes ad usum laicarum mulierum deinceps habebantur, Famula Dei usque accurante, quae Congregatio de Causis Sanctorum 749 quidem non tantummodo piis disputationibus cum adulescentibus colloquebatur, verum etiam acceptionem sacrorumque rituum curam augebat. Quod vero ipsa omnibus adesset, hoc illos securitate, fide perpetuitatis, vigore denique afficiebat. Forma vitae, quae, dum orationi vacat dumque cum Deo unionem appetit, reparatrice adoratione niteretur, una cum ferventi apostolica navitate, quae ad Benedictinam Mechthildis auctoritatem propagandam firmandamque spectaret, in germana hac Benedictina SS.mi Sacramenti mire coniuncta evasit. Serva Dei ostendit semet incendi amore in Eucharisticam formam Adorationis reparationis, in Benedictina Regula insitam, cuius quidem quasi apostola et nuntia facta est. Ceterum suam ipsa internitatem « mysticam rem ab Oratione Dominica » definiebat, quod quidem tunc vero emineret, cum omnia, quae cotidie facta vel acta essent, ad Deum referrentur. Namque « Deum spectare, Deo servire, ad Deum, tamquam ad exitum, pervenire », hoc eius institutum erat. Mater Maria Catharina videbatur sibi voluitque esse Hostiae nuntia, sive in monasterio recluderetur, sive itineri se committeret, quod quidem ipsa saepissime fecit, ut Benedictina monasteria, quae eam in auxilium vocassent, suae sodalitati adiungeret. Haec ergo suis filiabus dictitabat: « Eucharistiae nuntiae fiamus ». Eapropter vera mater suis monialibus fuit, quas absque studio singulari, quin immo ipsamet vitae usu freta, dilexit. Earum vel tenuiores cotidianasque necessitates perspiciens, subveniebat; ad pietatem, ad solidam ac liberalem virtutem instituebat. Eucharistica forma, pietas quoque erga Deiparam Virginem Mariam, quam ipsa « Matris pulchri Amoris » nomine invocabat, eam duxerunt, eam fulserunt. Serva Dei ostendit omni tempore semet ecclesiasticis superioribus submisse et fı̈denter oboedire: hoc est quod ipsa sibi sumpsit ut singula monasteria aggregaret, quod quidem nonnumquam haud facile evasit. Quo denique pacto ipsa suae conscientiae moderatoribus oboedientiam adhiberet, hoc profecto mirum fuit, quandoquidem vel optata mentemque eorum perspicere valebat. Quae, tota vita flagranti amore in Iesum Hostiam incitata eoque suffulta, rebus mundanis prorsus neglectis, aequo et constanti animo asperitates qualescumque subiit, in hoc praesertim nitens, ut alia magnanima pectora instituendo Eucharisticae Benedictinae formae amore inflammaret. Die autem 25 mensis Decembris anno 1931 Serva Dei, valetudine minime prospera utens, diem, quem ipsa in terris mira navitate traduxerat, conclusit. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 750 Extrema profecto verba, « Deus, Deus, Deus », ferventer et amanter dicta, piissimam huius virginis conversationem mirabili clausula cumularunt. Sanctitatis fama, qua Dei Serva in hoc saeculo claruit, post obitum eius valde increbruit. Eapropter in Episcopali Curia Novariensi Informativus Processus ab anno 1956 ad annum 1959 conditus est, Rogatoriali Processiculo Mediolanensi a die 10 mensis Aprilis ad diem 17 mensis Iunii anno 1959, insuper celebrato. Postquam vero Causa per decretum die 4 mensis Decembris anno 1980 latum introducta est, Apostolicus Processus ab anno 1984 ad annum 1987 in Episcopali Curia Novariensi factus est. Quorum omnium et singulorum Processuum vim iuridicam agnovit Congregatio de Causis Sanctorum per decretum die 9 mensis Decembris anno 1988 latum. Positione confecta, Consultorum Theologorum Peculiaris Congressus, qui die 19 mensis Maii anno 2006 habitus est, favorabilem suam sententiam aperuit. Patres denique Cardinales et Episcopi, in Ordinaria Sessione quae die 19 mensis Decembris eodem anno gesta est, Exc.mo Petro Georgio Silvano Nesti, C. P., Camerinensi-Sancti Severini in Piceno emerito Archiepiscopo, Causae Ponente, agnoverunt Matrem Mariam Catharinam a Iesu Infante theologales et cardinales iisque adnexas virtutes, heroicum quidem in modum, exercuisse. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine eisque adnexis, in gradu heroico, Servae Dei Mariae Catharinae a Iesu Infante Lavizzari (in saec.: Aloisiae), Priorissae Benedictinarum a SS.mo Sacramento Adorationis et Reparationis Perpetuae Monasterii Ghiffae ad Runchum, in casu et ad effectum de quo agitur. Voluit autem Sanctitas Sua ut hoc decretum publici iuris fieret et in acta Congregationis de Causis Sanctorum referretur. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis Congregatio de Causis Sanctorum 751 BISUNTINA Beatificationis et canonizationis Servi Dei Ioannis Iosephi Lataste (in saec.: Alcidae) Sacerdotis professi Ordinis Fratrum Praedicatorum, Fundatoris Congregationis Sororum III Ordinis S. Dominici a Bethania (1832-1869) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Quid vobis videtur? Si fuerint alicui centum oves, et erraverit una ex eis, nonne relinquet nonaginta novem in montibus et vadit quaerere eam, quae erravit? » (Mt 18, 12). Presbyter Ioannes Iosephus Lataste, Boni Pastoris exemplum secutus (cf. Io 10, 11), consumpsit omnes vires ut oves perditas in domum Patris perduceret. Etenim suum implens pastorale ministerium, operam navavit ut revocaret eos qui Christum reliquerant; atque ad Redemptoris diffundendam misericordiam inter errantes, novam religiosam condidit familiam, nempe Institutum Sororum III Ordinis Sancti Dominici a Bethania, destinatum mulieribus e carcere egressis ut ad rectam viam ducerentur. Servus Dei in oppido vulgo Cadillac-sur-Garonne, dioecesis Burdigalensis, in Gallia, natus est die 5 mensis Septembris anno 1832. Sua in terra natali frequentavit scholam maternam Filiarum a Sapientia et scholam Fratrum a Spirito Sancto. Anno 1841 Burdigalae ingressus est Seminarium Minus. Inde missus est in locum Pons, ad collegium quoddam, cuius erat candidatos sive ad ecclesiasticam sive ad laicalem vitam excipere. Hic enim secundaria explevit studia et anno 1851 publico munere fungi coepit. Anno 1852 Burdigalae adhaesit Conferentiae Sancti Vincentii a Paulo apud paroeciam Sancti Andreae et curam adhibuit in bonum indigentiorum. In oppido Nérac fundamenta iecit alius sedis Conferentiae Vincentianae. Vocatione ad vitam sacerdotalem et religiosam mature perpensa, anno 1857 Ordinem Fratrum Praedicatorum amplexus est iniitque noviciatum in religiosa domo loci Flavigny. Spiritu servitii excelluit et humilitate, quibus officia sibi credita exsequebatur, nec non oboedientia erga superiores. Anno 1859 temporariam emisit professionem et anno 1863 sacro presbyteratus ordine est insignitus. Sacerdotale exercuit ministerium in domibus urbium Burdigalae annis 1863-1865, Flavigny annis 1865-1866 et Divionis annis 1866-1869. Eminebat maxime ministerio praedicationis, quod praesertim in missionibus paroecialibus et in seccesibus spiritualibus exercere consueverat. 752 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale In utilitatem mulierum carcere detentarum anno 1866 condidit Congregationem Sororum III Ordinis Sancti Dominici a Bethania, ut mulieres vix e carcere egressas ad bonam frugem reciperet, et, si quaedam ex illis indicia vocationis ostenderent, eas uti Sorores apud Institutum ipsum admitteret. Inceptum hoc, quod inusitata res videbatur quoad illam aetatem, innumeras attulit illi difficultates et inclementias, quas tamen fortitudine suffultus oppetivit et superavit. Etenim Servus Dei studio ducebatur tam animas servandi quam Regnum Christi diffundendi. Eodem tempore vitam spiritualem summopere excoluit, progredi in Christi imitatione et in virtutum exercitio iugiter expetens. Vixit sub lumine fidei, quam testatus est vitae et apostolatus sanctitate, eamque diffudit defenditque ab innumeris erroribus qui in illis historicis grassabantur adiunctis in quibus ille versabatur. Firmiter credidit in veritates revelatas. Dominum dilexit et artam cum Ipso nutrivit communionem per celebrationem divinae Liturgiae, lectionem et meditationem Sacrarum Scripturarum, actuositatem pastoralem et varia pietatis exercitia. Nocturnam Eucharistiae adorationem ferventer participabat ceterosque hortabatur ad Sanctissimum Sacramentum adorandum. Sublimi affectu prosequebatur Beatissimam Virginem Mariam, quam cotidie invocabat per recitationem Rosarii. Cultum promovit ad Sanctum Ioseph, ita ut insistenti studio niteretur ut eius nomen insereretur in Canonem Romanum ipseque proclamaretur Patronus Ecclesiae, nec non ad Sanctam Mariam Magdalenam. In praedicatione curabat docendum amorem Dei erga homines et inde necessitatem Eum redamandi. Spem semper posuit in divina misericordia et constanter in Dei gratiam fiduciosum se exhibuit. Diligenter inserviit confratribus et paterno animo sollicitum se praebuit erga filias spirituales, nec non benevolum erga pauperes et egenos. Prudens exstitit sive in condendo sive in moderando Instituto. Notissimus fuit uti moderator spiritualis. Adamussim observavit Constitutiones et Regulas sui Ordinis, superioribus obtemperavit et accurate pastoralia sua peregit officia. Gratum professus est animum benefactoribus. Suaviter ac fortiter innumera obiit incommoda et aegritudines, quibus inde a iuventute vexabatur. Sensus castigavit per voluntarium paenitentiae exercitium. Vitam gessit in paupertate; affectavit servavitque castitatem et prudentiam in conversatione cum mulieribus quibus occurrebat suo in implendo ministerio. Aegrotavit anno 1868, tempore quo se dabat contionibus quadragesimalibus; perrexit tamen suum ministerium. Statim postea, valetudinis condicio- Congregatio de Causis Sanctorum 753 nes in deterius verterunt. In Domino obdormivit die 10 mensis Martii anno 1869 in oppido Frasnes-Le-Château, postquam filias spirituales hortatus erat ad fiduciam in Domino habendam et oboedientiam superioribus praestandam. Ob latam eius sanctitatis famam, Episcopus Bisuntinus inchoavit Causam beatificationis et canonizationis instruens Processum Ordinarium annis 19371938. Processus insuper Rogatorialis celebratus est apud Curiam Burdigalensem. Iuridicam omnium horum Processuum auctoritatem agnovit Congregatio de Causis Sanctorum decretum edens die 3 mensis Aprilis anno 1992. Exarata Positione, disceptatum est, ut de more, de virtutibus a Servo Dei heroico gradu exercitis. Prospero cum exitu Congressus habiti sunt sive Consultorum Historicorum die 6 mensis Octobris anno 1998, sive Consultorum Theologorum die 18 mensis Octobris anno 2005. Patres Cardinales et Episcopi in Sessione Ordinaria die 20 mensis Februarii anno 2007 congregati, audita relatione Ponentis Causae, Exc.mi D.ni Petti Iacobi De Nicolò, Archiepiscopi titulo Martanaënsis, edixerunt Servum Dei Ioannem Iosephum Lataste virtutes theologales, cardinales eisque adnexas heroico excoluisse gradu. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servi Dei Ioannis Iosephi Lataste (in saec.: Alcidae), Sacerdotis professi Ordinis Fratrum Praedicatorum, Fundatoris Congregationis Sororum III Ordinis S. Dominici a Bethania, in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis 754 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale MONACENSIS et FRISINGENSIS Beatificationis et canonizationis Servae Dei Mariae Fidelis Weiss (in saec.: Eleonorae Margaritae) Religiosae professae III Ordinis Sancti Francisci (1882-1923) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Continenter et urgentissime ad Imitationem Christi perfectissimam impellor ». Hisce verbis, quae ipsa anno 1918 vel 1919 litteris mandavit, Serva Dei Maria Fidelis Weiss (dum saeculo viveret, Eleonora Margarita), amore in Dominum succensa, sese ad unionem Divino Redemptori, ut perficeretur in Christo (cf. Col 1, 28), contendere velle ostendit. Huiusmodi studio convenienter eadem divinae voluntati paruit eademque, talenta, quae desuper acceperat, sapienter negotiata, quidquid aevi degit in terris, id Domino prorsus impendit, cui non benedicere dumtaxat, sed semet ipsam pro salute animarum offerre studuit. Haec filia Ecclesiae in oppido, quod vulgo Kempten, in Bavaria, lutherano patre, matre catholica in lucem edita est die 12 mensis Iunii anno 1882 ipsaque sex post diebus catholico sacro lavacro abluta. Mox vero, dum puerili doctrina instituebatur, ingenio, quo praedita erat, necnon progressibus, quos faciebat in studiis, eminuit. Patre autem demortuo, ut suos, quod ad pecuniam pertinet, iuvaret, ab anno 1898 ad annum 1900 in duabus tabernis tamquam institorum ministra operam dedit. Interea sedecim annorum puella secretum castitatis votum nuncupaverat, quae, postquam semet ad sacram conversationem capessendam divino quodam instinctu vocari agnovit, declaravit se expetere adiungi Religiosis III Ordinis Sancti Francisci, quae in loco Reutberg sedem habebant. Cui quidem postulanti satisfactum est; sed, cum esset Ancilla Dei admodum adulescens, antistita suasit ut eadem duos ferme annos in educandarum puellarum instituto, quod in oppido Lenzfried, haud longe ab eius patria remoto, exsistebat, tamquam alumna interna studio vacaret; in quo adulescentula, cum accepta esset anno 1900, organum pulsare et opera muliebria facere didicit. Eodem tempore III Ordinem Sancti Francisci ingressa, etiam in honorarium Praesidium Sacratissimi Cordis Iesu nomen dedit. Tandem in sodalitate, quae apud locum Reutberg, tirocinium postulantibus ponendum mense Octobri anni 1902 auspicata, anno 1903 religionis habitum induit, sequenti autem anno simplici perpetua votorum formula se Deo devinxit. Congregatio de Causis Sanctorum 755 Hic praesertim in fraternam caritatem fovendam incubuit eaque, quippe quae Instituti Regulam ad unguem observaret, inter ceteras eminuit. Praeterea Dei Famula in ludo, qui conventui adiunctus erat, muliebrium operum magistra fuit; quo quidem munere fungens, semet ad docendum ostendit aptissimam. Fuit eadem organi modulatrix, ipsaque, quoad plurimae infirmitates eius ferebant, vel in fullonica operam praestabat. Haud miram ergo quam studiose, quam sedulo omnia sibi delata munera obiisset. Cum autem anno 1921 in adiutricem et consiliariam electa esset, « alterum novitiatum » qui fertur movit, singulare sane inceptum, quo prioris novitiatus fervorem religiosae mulieres vividum servarent. Ceterum varia bona, quae Dominus in spiritum eius effuderat, ipsa laeto humilique corde accepit. Insimul, cum aliquando etiam per animi tenebras ambularet, huiusmodi aerumnas Domino offerebat, cui quidem confisa satis valebat ad sustinendum. Etenim latendo, divinae voluntati parendo, suae condicionis officia assidue praestando, lectissima haec virgo, dum cunctas christianas virtutes assidue, delectabiliter, studiose adhibuit, ad sublimia perfectionis evangelicae fastigia pervenit. Quae, veluti filia, vinculo pietatis cum Domino coniuncta, sua voluntate prorsus neglecta, se Eidem donavit. Ea enim fide, quae animo alte haereret, incitata, firmiter credidit quaecumque vera Deus revelavit et quidquid edocebat Ecclesia, adeo ut, quod ipsa catholicam coleret fidem, Deo gratias palam ageret sociasque ad idem faciendum hortaretur. In orando assidua, Augustissimum altaris Sacramentam, Beatissimam Virginem Deiparam, Sacratissimum Cor Iesu flagranti pietate prosecuta est. Quae fortissima femina ne tunc quidem, cum in angustiis constituta esset, animo frangi patiebatur, sed potius divinae Providentiae fidenter se tradebat. Eadem socias dilexit iisque serviit, in malis solacium attulit, earumque animis, sacram conversationem amplexatis, vires addidit. Bonis ac talentis, quae Dominus ei contulerat, prudenter fruita, si quis ab ea consilium peteret, semper magni iudicii exstitit. Fide studioque iustitiae egit nec ullam prorsus mendacii formam toleravit. Porro patiens fuit Ancilla Dei cum in ferendis doloribus compluribus, ex infirma eius valetudine procedentibus, tum, quod nonnumquam contigerat, in aliorum neglegentia subeunda. Placidam constantiam usque servavit, cum admodum sui suaeque voluntatis et naturae compos facta esset. Quae, dum bona huius saeculi calcabat, multis voluntariis paenitentiis semet ipsam discruciabat: incommoda enim ab ineunte aetate toleravit nec postea, cum in asceterio viveret, paupertatem umquam deploravit. Parentibus, operis conductoribus, superio- Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 756 ribus prompte oboedivit. Quae, priscae sanctimoniae virgo, omni tempore modestia praestavit. Gravem morbum, quo autumnali tempore anni 1922 temptata est, licet acerrimis doloribus oppressa patientissime tulit. Tandem die 11 mensis Februarii anno 1923 sempiterna beatitate, quam ipsa firmiter et assidue exspectaverat, Christi meritis iuvantibus, est potita. Pervagatae famae sanctitatis intuitu, Archiepiscopus Monacensis Causae beatificationis et canonizationis initium fecit per Processum Ordinarium, qui ab anno 1936 ad annum 1939 conditus est; cuius validitatem Congregatio de Causis Sanctorum ratam habuit per decretum die 3 mensis Iulii anno 1992 latum. Positione confecta, ad consuetudinem disceptatum est num Dei Ancilla omnes et singulas virtutes, easque in gradu heroico, exercuerit. Die vero 28 mensis Octobris anno 2005 Peculiaris Theologorum Consultorum Congressus, favorabili quidem cum exitu, habitus est. Patres autem Cardinales et Episcopi, in Sessione Ordinaria quae die 20 mensis Martii anno 2007 gesta est, audita relatione Exc.mi D.ni Petri Georgii Nesti, C. P., Archiepiscopi emeriti Camerinensis-Sancti Severini in Piceno, Causae Ponentis, agnoverunt Mariam Fidelem Weiss, theologales et cardinales iisque adnexas virtutes, in gradu heroico, exercuisse. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine iisque adnexis, in gradu heroico, Servae Dei Mariae Fidelis Weiss (in saec.: Eleonorae Margaritae), Religiosae professae III Ordinis Sancti Francisci, in casu et ad effectum de quo agitur. Voluit autem Sanctitas Sua ut hoc decretum publici iuris fieret et in acta Congregationis de Causis Sanctorum referretur. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis Congregatio de Causis Sanctorum 757 IACIENSIS Beatificationis et canonizationis Servi Dei Ioannis Baptistae Arista, e Congregatione Oratorii S. Philippi Nerii, Episcopi Iaciensis (1863-1920) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Omnia in caritate ». Haec verba, quae sententiam insignis episcopalis Servi Dei Ioannis Baptistae Arista constituunt, ipsius etiam verum vitae propositum significaverunt. Sciens ille revera amorem legis esse plenitudinem (cf. Rom 13, 10), inexhausta caritate pastorali ad maiorem Domini gloriam est operatus et in bonum populi sibi crediti cui largiter distribuit Redemptionis thesauros. Hic dignus Ecclesiae Pastor die 2 mensis Aprilis anno 1863 Panormi in religiosa quadam familia est ortus. A tenera aetate in Iaciensem urbem se transtulit atque apud Collegium Sancti Michaëlis curricula frequentavit. Hic vocationem ad sacerdotium maturavit et, licentia lycei adepta, seminarium est ingressus. Itinere ad normam expleto, die 26 mensis Martii anno 1887 sacerdotalem recepit ordinationem. Anno 1888 Congregationem intravit Oratorii Sancti Philippi Nerii. Formationi puerorum incubuit, singulares demonstrans educationis dotes. Vocatus deinde est ad Collegium regendum Sancti Michaëlis cuius olim alumnus fuerat. In Congregatione Oratorii cum honore varia exercuit magni ponderis officia, uti munus Praepositi. Anno 1901 Romanus Pontifex Leo XIII nominavit eum Episcopum titularem Sinopenum atque Apostolicum Administratorem Sanctae Luciae, sed Servus Dei humiliter recusavit. Anno 1904 Sanctus Pius X elegit eum Episcopum titulo Nyssenum atque Auxiliarem Episcopi Iaciensis. Tunc ille approbavit. Post obitum D. Gerlandi M. Genuardi, Episcopi Iaciensis, anno 1907 nominatus est Vicarius Capitularis et, cohortatus per epistolam autographam Summi Pontificis diei 26 Iulii, paruit nulla mora Dei voluntati; insuper die 4 mensis Novembris eiusdem anni Episcopus factus est eiusdem dioecesis. Zelo plenus pro animarum salute, assiduam explevit navitatem, suam pro grege vitam impendens sicut suo exemplo Divinus edocet nos Pastor. Operositate eminuit pro iuvenibus quos sapienter per Christi vias perduxit. Fidem ab atheismo et agnostica doctrina defendit, a scriptis typis editis francomurariis concitatis, quibus obstitit per typographicas rei catholicae 758 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale editiones, quarum ipse solvit pretium quasque promovit. Fideles cum caritate sed etiam, quando necesse fuit, cum vigore adhortabatur atque Catholicam diffundebat Actionem. Tempore quo naturae calamitates in varia Siciliae loca saevierunt, sollicitudine eminuit ad egentioribus subveniendum. Visitator praeterea fuit seminariorum regionis Calabricae. Pastoralem in navitatem magisterium transtulit Sancti Pii X de Eucharistia et liturgia. Anno 1913 Congressum paravit Eucharisticum Dioecesanum, qui triumphus est habitus. Eodem anno politicae factae sunt electiones et ipse huiusmodi Sanctae Sedis normis stetit, quamobrem censuras sibi conciliavit calumniasque. Forti animo hanc passus est condicionem, nullam demonstrans indignationem erga omnes qui angustiis afficiebant eum. Zelus eius pastoralis limites non cognovit nec acerbiores timuit tribulationes. Suum aedificavit gregem non solum ministerio, sed exemplari modo vivendi, omnes scilicet christianas virtutes constanter laetanterque exercendo. Iugiter suffultus se gessit inspiratusque fide, quam ipse omnibus in rebus manifestavit ac verbo exemploque propagavit. In divinam providentiam fiduciosum se praebuit et quo maiores patiebatur dolores, eo spes eius magis augebatur in aeternam beatitudinem. Semper vestigia secutus est et doctrinam Sancti Philippi Nerii et animose effecit ut omnes mundi Congregationes Philippinae unum essent. Peculiarem caritatem bonitatemque erga clerum sibi creditum demonstravit, quem paterno moderatus est amore. Seminarium incolere voluit ut ipsemet formationem curaret candidatorum ad Sacerdotium. Pauperes adiuvabat, infirmos et in custodiam inclusos, omnibus maternum Ecclesiae vultum praebendo. In exercendo suo sacerdotali et episcopali munere prudentiam et aequam mentem ostendit. Nullam magni ponderis rem decrevit quin viros in auctoritate constitutos prius audiret; pariter consilia prudenter ferebat illis qui eius spiritali moderamine fruebantur. Ab omni ambitione alienus exstitit. Suam vehementem indolem summopere moderatus est. Temperantiam, castitatem et paupertatem amavit et exercuit, atque cautum et humilem modum vivendi semper servavit. Sanctae Sedi sub qualibet condicione obtemperavit, quamvis hac de causa offensiones et hostiles animos sibi conciliaret. Homo humilis, sive sacrorum alumnus sive sacerdos sive episcopus, humiliora etiam officia explevit. Suam spiritalem vitam precibus praesertim aluit, pietate erga Eucharistiam, Passionem Christi et Virginem Sanctissimam, atque pastoralibus negotiis quibus et ipse et populus ad Deum propius accedebant. Congregatio de Causis Sanctorum 759 Anno 1920 propter tumorem acerbos animadvertit stomachi dolores, quos mira pertulit serenitate. Die 27 mensis Septembris eiusdem anni, intercessionem Sanctissimae Virginis ferventer invocans, in domum Patris transiit. Diffusam ob sanctitatis famam, Episcopus Iaciensis Causam beatificationis et canonizationis inchoavit celebratione Processus Ordinarii (1946-1950). Praeterea 9 celebrati sunt Processus Rogatoriales. Iuridica validitas omnium Processuum per decretum diei 20 mensis Iunii anno 1986 a Congregatione de Causis Sanctorum est recognita. Parata Positione, disceptatum est, ut fieri solet, an Servus Dei virtutes heroico modo exercuerit. Congressus, positivo cum exitu, habitus est peculiaris Consultorum Theologorum, die 12 mensis Octobris anno 2005. Patres Cardinales et Episcopi in Sessione Ordinaria diei 6 mensis Februarii anni 2007, relatione audita Ponentis Causae, Exc.mi Domini Hieronymi Grillo, Episcopi emeriti Centumcellarum-Tarquiniensis, edixerunt Dei Famulum Ioannem Baptistam Arista virtutes theologales, cardinales iisque adnexas heroicum in modum exercuisse. Facta demum de hisce omnibus rebus Summo Pontifici Benedicto XVI per subscriptum Cardinalem Praefectum accurata relatione, Sanctitas Sua vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servi Dei Ioannis Baptistae Arista, e Congregatione Oratorii S. Philippi Nerii, Episcopi Iaciensis, in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis 760 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale MEDIOLANENSIS Beatificationis et canonizationis Servae Dei Armidae Barelli, III Ordinis Saecularis S. Francisci, Confundatricis Instituti Saecularis Missionariarum Regalitatis D.N.I.C., Vicepraesidis Generalis Actionis Catholicae Italiae (1882-1952) DECRETUM SUPER VIRTUTIBUS « Missio tua est in Italia. Deus te iuvabit! ». Hisce usus verbis Summus Pontifex Benedictus XV respondit Servae Dei Armidae Barelli, quae propositum significaverat illi vitam sororis missionariae ducendi. Etenim Italia ager exstitit quem ipsa indefatigabili et multiplici apostolatu coluit, suis tribulationibus et precationibus fecundavit, atque suo fervido amore erga Christum et Ecclesiam suisque venustis evangelicis virtutibus collustravit. Haec Christi testis die 1 mensis Decembris anno 1882 Mediolani nascitur ex prospera familia mediae societatis. Ibidem litterarum rudimenta domi peragit, ubi religiosis moribus instituitur, ac deinde apud Sorores Ursulinas; inter annos 1895 et 1900 formationem continuat in oppido Metzingen, in Germanica regione Helvetiae, apud Collegium Sororum Magistrarum a Sancta Cruce, ubi sive Scholarum Normalium sive Germanicae linguae diplomatis honestatur; Dominum insuper diligere discit. Mediolanum regredienti variae non desunt occasiones propriam instituendi familiam; attamen aliam viam quaerit, incumbens in caritatis opera inter orphanos et filios captivorum. Anno 1909 privato virginitatis voto Domino se devovet. Anno 1910 novit Patrem Augustinum Gemelli, O. F. M., qui iter ostendit illi ad Tertium Ordinem Franciscalem, et cum ipso fecundam init apostolicam cooperationem. Multiplicem inter actuositatem curant ut milites Itali primo saeviente bello mundiali Sacro Cordi Iesu sese consecrent. Anno 1917 Beatus Cardinalis Andreas Carolus Ferrari, Archiepiscopus Mediolanensis, hortatur Servam Dei ad curam adhibendam de iuvenibus mulieribus intra nascentem motum femininum catholicum Ambrosianum. Inde oriuntur primi coetus futurae Iuventutis Femininae Actionis Catholicae. Sequenti anno Summus Pontifex Benedictus XV nominat Armidam Barelli Vicepraesidem Societatis Mulierum Catholicarum Italiae, speciali addito munere Iuventuti Femininae Actionis Catholicae prospiciendi. Ita initium datur Iuventuti Femininae Actionis Catholicae in cunctis Italiae dioe- Congregatio de Causis Sanctorum 761 cesibus. Serva Dei saepe Italiam percurrit ad associationem diffundendam, promovendo conventus nec non congressus nationales et internationales, Hebdomadas Sociales, peregrinationes, innumeros cursus culturae et formationis. Magnopere actuositatem catholicam femininam promovet inter Consociationes Internationales. Inter omnes iuvenes illa erit dilectissima « Soror Maior ». Die 19 mensis Novembris anno 1919 Assisii, apud parvum sacellum coenobii Sancti Damiani, simul cum Patre Gemelli et primo laicarum coetu, Serva Dei inchoat novam consecrationis laicalis in Ecclesia formam, deinde approbatam a Pio XII anno 1948 vigore Apostolicae Constitutionis « Provida Mater »: agitur de Instituto Saeculari Missionariarum Regalitatis D.N.I.C., in praesens multis in nationibus exsistente. Ulterius, novas exaudiens missionales hortationes, quae in Epistula Apostolica « Maximum illud » continentur, missionale incepit opus Iuventutis Femininae in Sinis, episcopis franciscalibus missionariis cooperantibus. Anno 1923 « Institutum Benedictus XV », destinatum excipiendis iuvenibus mulieribus orphanis vel pauperibus, inauguratur in Sinensi oppido vulgo Xi’an. Ex quo Instituto ortum habet Congregatio religiosa Sinensis Sororum Tertiariarum Franciscalium, quae hactenus in vigore permanet. Una cum D.no Aloisio Olgiati sacerdote et Venerabili Servo Dei Ludovico Necchi aliisque sociam praestat operam Patri Gemelli ad condendam Mediolani anno 1921 Catholicam Studiorum Universitatem Sacri Cordis. Serva Dei instituit Associationem Amicorum eiusdem Universitatis et anno 1924, rei favente Summo Pontifice Pio XI, excogitat « Diem Universitarium » celebrandum ad subsidia inter dioeceses colligenda. Catholicae Studiorum Universitati adnectitur Societas Editoria « Vita e Pensiero », cuius Dei Serva una exstat administratrix. Anno 1929 provehit constitutionem Operis Regalitatis Domini Nostri Iesu Christi, ad vitam liturgicam et spiritualitatem christocentricam in paroeciis propagandas. Usque ad extremos vitae dies pro viribus confert ad incrementum Regni Dei, eodemque tempore absque interruptione per sanctitatis viam progreditur, liberaliter, constanter ac laetanter christianas excolendo virtutes. Heroicitatem, quam iuvenibus Actionis Catholicae proponebat, ipsa attigit, Dei voluntatem adimplens et dotes sibi caelitus collatas insumens. Firmiter credit in Deum, actuosam habet partes vitae et missionis Ecclesiae, suiipsius christianam formationem diligenter curat, actionem suam Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 762 apostolicam nutrit verbo Dei, liturgia, ferventi cultu erga Sacrum Cor Iesu, Eucharistiam, Immaculatam Virginem et Sanctos. In eius spiritu resonare pergit vocatio Dei ad Christum maiore deditione sequendum et ad servitium animabus perfectius ferendum. Ipsa huic ulteriori vocationi respondet prompto animo, firma voluntate, sapienti deditione, cotidie adimplens omnia sua munera per absolutam oboedientiam sacris Ecclesiae Pastoribus praestitam. Ita se gerit, quoniam Christum diligit plusquam seipsam. Iuvenili aetate scripserat: « Dilectio Domini cantat in anima mea ». Quod canticum numquam in se intermittitur, immo annorum decursu et ob ampliora in dies munera numerosius, contentius perfectiusque redditur. Ex caritate erga Deum veluti ex fonte scaturit amor proximi. Diligit Ecclesiam et universos homines, hac de causa operatur ad Societatem Italicam christiane animandam et ad fı̀dem in terrarum orbe propagandam, sustinens opus missionariorum inter populos non christianos. Diligentissime officia exsequitur erga parentes et familiares, collaboratores et collaboratrices in apostolatu, officiales et omnes ipsam adeuntes consilia vel subsidia materialia petituros. Appellatur « Soror Maior » et talis manere cupit non tantum nomine sed etiam opere, omnes fidei et caritatis testimonio praecellens. Pauperibus subvenit et diligere studet ipsam cuiusque proximi personam, cum eius dotibus et defectibus, cum eius necessitatibus spiritualibus et materialibus. Deo se dedere scit aliisque humilitate, simplicitate, comitate, gaudio et prudentia, labores oppetens et incommoda. Ex spirituali vita vim attingens, constantem se praebet in propositis, iustam erga Deum et proximum, seiunctam a mundi illecebris, modestam, castam, fortem in difficultatibus, pauperem iuxta franciscalem spiritum. Ingentem nutrit fiduciam in Deo eiusque Providentia. Anno 1912 scribit: « Contra omnem spem confido ut Deus sanctam me reddere velit. Dominum ferens in corde cunctis hominibus obviam venio et certa sum me cum Ipso semper victoriam esse laturam. Nullam ob causam perturbor, Ipse enim quamlibet solvet difficultatem ». Hanc enim spem et serenitatem usque ad extremum vitae servat. Anno 1946 a Pio XII nominatur Vicepraeses Generalis Actionis Catholicae Italiae. Autumno autem tempore anni 1949 gravis detegitur morbus quo Dei Serva ad totale constringitur silentium, quod summa fide patitur, in spiritu paenitentiae, in diuturna oratione ac praesertim in suiipsius oblatione pro bono Facultatis Medicinae Romani Policlinici, Patri Augustino Gemelli dicati. Congregatio de Causis Sanctorum 763 Animam Domino tradidit ipsa in sollemnitate Assumptionis Beatae Mariae Virginis, die nempe 15 mensis Augusti anno 1952 in oppido vulgo Marzio, Provinciae Varetianae. Corpus eius Mediolani iacet in crypta Catholicae Studiorum Universitatis Sacri Cordis. Die 8 mensis Martii anno 1960 Cardinalis Ioannes Baptista Montini, Archiepiscopus Mediolanensis, qui postea ad Supremum Pontificatum evectus est sub nomine Pauli VI, inchoavit Causam beatificationis et canonizationis, celebrans Processum Ordinarium Informativum, cui accesserunt varii Processus rogatoriales. Iuridicam harum Inquisitionum dioecesanarum validitatem approbavit Congregatio de Causis Sanctorum, decretum edens die 3 mensis Aprilis anno 1992. Exarata Positione, disceptatum est de virtutibus a Serva Dei heroico gradu exercitis. Die 23 mensis Septembris anno 2005 positivo quidem cum exitu actus est Congressus Peculiaris Consultorum Theologorum. Sessio Ordinaria Cardinalium et Episcoporum, quae habita est die 16 mensis Ianuarii anno 2007, Ponente Causae Exc.mo D.no Ottorino Petro Alberti, Archiepiscopo emerito Calaritano, agnovit Servam Dei theologales, cardinales eisque adnexas virtutes heroico gradu excoluisse. De hisce omnibus rebus, referente subscripto Cardinali Praefecto, certior factus, Summus Pontifex Benedictus XVI, vota Congregationis de Causis Sanctorum excipiens rataque habens, hodierno die declaravit: Constare de virtutibus theologalibus Fide, Spe et Caritate tum in Deum tum in proximum, necnon de cardinalibus Prudentia, Iustitia, Temperantia et Fortitudine, iisque adnexis, in gradu heroico, Servae Dei Armidae Barelli, III Ordinis Saecularis S. Francisci, Confundatricis Instituti Saecularis Missionariarum Regalitatis Domini Nostri Iesu Christi, in casu et ad effectum de quo agitur. Hoc autem decretum publici iuris fieri et in acta Congregationis de Causis Sanctorum Summus Pontifex referri mandavit. Datum Romae, die 1 mensis Iunii A. D. 2007. Iosephus card. Saraiva Martins Praefectus L. e S. e Michaël Di Ruberto archiep. tit. el. Biccarensis a Secretis Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 764 CONGREGATIO PRO EPISCOPIS PROVISIO ECCLESIARUM Latis decretis a Congregatione pro Episcopis, Sanctissimus Dominus Benedictus Pp. XVI, per Apostolicas sub plumbo Litteras, iis quae sequuntur Ecclesiis sacros praefecit praesules: die 3 Iulii 2007. — Cathedrali Ecclesiae Darvinensi, Exc.mum P.D. Danielem Eugenum Hurley, hactenus Episcopum dioecesis Portus Piriensis. die 8 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Curiensi, R.D. Vitum Huonder, e clero Curiensi, hactenus eiusdem dioecesis Vicarium Generałem. die 9 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Sanctissimi Salvatoris BayamensiManzanillensi, R. D. Alvarum Iulium Beyra Luarca, e clero archidioecesis Camagueyensis, ibique hactenus parochum. — Cathedrali Ecclesiae Centumfocensi, R. D. Dominicum Oropesa Lorente, e clero archidioecesis Toletanae, hactenus in archidioecesi Camagueyensi parochum. die 12 Iulii. — Metropolitanae Ecclesiae Baltimorensi, Exc.mum P.D. Eduinum Fridericum O’Brien, hactenus Ordinarium Militarem Foederatarum Civitatum Americae Septentrionalis. die 13 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Mantuanae, R.D. Robertus Busti, e clero archidioecesis Mediolanensis, ibique hactenus paroeciae Sancti Nicolai in oppido vulgo « Lecco » curiorem. — Titulari episcopali Ecclesiae Stephaniacensis, R.D. Marium Delpini, e clero archidioecesis Mediolanensis, hactenus Vicarium Episcopalem, quem deputavit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. — Titulari episcopali Ecclesiae Tulliensi, R.D. Francum Iulium Brambilla, e clero archidioecesis Mediolanensis, hactenus Theologicae Facultatis Italiae Septentrionalis Praesidem, quem deputavit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. Congregatio pro Episcopis 765 die 16 Iulii. — Ecclesiae Cathedrali Netensi, R. D. Marianum Crociata, e clero dioecesis Mazariensis, hactenus Vicarium Generalem et paroeciae vulgo « Chiesa Madre in Marsala » parochum. — Metropolitanae Ecclesiae Leopolitanae Latinorum, Archiepiscopum Coadiutorem R.D. Miecislaum Mokrzycki, hactenus Secretariae Status Officialem. — Cathedrali Ecclesiae Kharkiviensi-Zaporizhiensi, Episcopum Coadiutorem P.D. Marianum Buczek, hactenus Episcopum titularem Febianensem et Auxiliarem archidioecesis Leopolitanae Latinorum. die 18 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Pittsburgensi, Exc.mum P.D. Davidem Alanum Zubik, hactenus Episcopum Sinus Viridis. — Titulari episcopali Ecclesiae Matharensi in Numidia, R.D. Franciscum Iosephum Overbeck, e clero dioecesis Monasteriensis, hactenus ibidem Instituti pro diaconatu et ministeriis pastoralibus Praesidem, quem deputavit Auxiliarem eiusdem dioecesis. die 19 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Brixiensi, Exc.mum P.D. Lucianum Monari, hactenus Episcopum Placentinum-Bobiensem. die 21 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Fanensi-Forosemproniensi-CalliensiPergulanae, R.D. Armandum Trasarti, e clero archidioecesis Firmanae ibique hactenus Vicarium Generalem. die 25 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Hearstensi, Exc.mum P. D. Vincentium Cadieux, O.M.I., Episcopum Musonitanum, qui proinde utrique Ecclesiae in persona Episcopi coniunctae praeerit. die 27 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Santanderiensi, Exc.mum P. D. Vincentium Jiménez Zamora, hactenus Oxomensem-Sorianum Episcopum. die 28 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Sanctae Rosae de Lima, R. D. Barnabam a Iesu Sagastume Lemus, O.F.M. Cap., hactenus Ministrum Viceprovincialem Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum in America Media. — Titulari episcopali Ecclesiae Mizigitanae, Exc.mum P.D. Radulfum Antonium Martı́nez Paredes, hactenus Episcopum Sololensem-Chimaltenangensem, quem constituit Auxiliarem archidioecesis Guatimalensis. 766 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale — Cathedrali Ecclesiae Sololensi-Chimaltenangensi, Exc.mum P. D. Gundisalvum De Villa y Vásquez, S.I., hactenus Episcopum titularem Rotariensem et Auxiliarem Guatimalensem. die 31 Iulii. — Cathedrali Ecclesiae Pampilonensi et Tudelensi, Exc.mum P.D. Franciscum Pérez González, hactenus Hispaniae Ordinarium Militarem. Diarium Romanae Curiae 767 SEGRETERIA DI STATO NOMINE Con Biglietti della Segreteria di Stato il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 7 luglio 2007 S.E.R. Mons. Carlo Liberati, Vescovo Prelato di Pompei, Delegato Pontificio per il Santuario della Beata Maria Vergine del S. Rosario, è stato elevato alla dignità di Arcivescovo. » » » S.E.R. Mons. Domenico Calcagno, finora Vescovo di SavonaNoli, Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, « ad quinquennium », elevandolo in pari tempo alla dignità di Arcivescovo. 10 » » S.E.R. Mons. Fernando Natalio, Chomalı́ Garib, Vescovo Ausiliare di Santiago de Chile (Cile); e gli Ill.mi Prof. Květoslav Šipr (Repubblica Ceca) e William F. Sullivan (Canada), Membri Ordinari della Pontificia Accademia per la Vita. » » » Il Rev.do Mons. Marcello Bartolucci, finora Aiutante di Studio presso la Congregazione delle Cause dei Santi, Sotto-Segretario del medesimo Dicastero, « ad quinquennium ». 18 » » L’Ill.mo Dott. Angelo Scelzo, Sotto-Segretario del Pont. Consiglio delle Comunicazioni Sociali, « in aliud quinquennium ». 28 » » S.E.R. Mons. Félix del Bianco Prieto, Arcivescovo tit. di Vannida, finora Nunzio Apostolico in Malta e in Libia, Elemosiniere di Sua Santità, « ad quinquennium ». Si rende noto che il 2 agosto 2007 sono stati nominati: il Rev.do Luca Maffione, Giudice Istruttore; e il Dott. Stefano Ridella, Giudice Esterno del Tribunale d’Appello del Vicariato di Roma. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 768 NECROLOGIO 17 luglio 2007 Mons. Alejo Benedicto Gilligan, Vescovo em. di Nueve de Julio (Argentina). 19 » » Mons. Enrique Pélach y Feliu, Vescovo em. di Abancay (Perù). 20 » » Mons. Quirino Adolfo Schmitz, O.F.M., Vescovo em. di Teófilo Otoni (Brasile). 21 » » Mons. João Resende Costa, S.D.B., Arcivescovo em. di Belo Horizonte (Brasile). » » » Mons. Juan Félix Pepén y Soliman, Vescovo tit. di Arpi (Rep. Dominicana). 22 » » Mons. Miguel Angel Araújo Iglesias, Vescovo em. di Mondoñedo-Ferrol (Spagna). 24 » » Mons. Lawrence Khai Saen-Phon-on, Arcivescovo em. di Thare and Nonseng (Thailandia). » » » Mons. Hubert Patrick O’Connor, O.M.I., Vescovo em. di Prince George (Canada). 29 » » Mons. Endre Kovács, O. Cist., Vescovo tit. di Media (Ungheria). 2 agosto » Mons. Franco Dalla Valle, S.D.B., Vescovo di Juı́na (Brasile).