An. et vol. C 7 Novembris 2008 N. 11 ACTA APOSTOLICAE SEDIS COMMENTARIUM OFFICIALE Directio: Palazzo Apostolico – Città del Vaticano – Administratio: Libreria Editrice Vaticana ACTA BENEDICTI PP. XVI HOMILIAE I Dum inauguratur XII Coetus Generalis Ordinarius Synodi Episcoporum.* Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! La prima Lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, come pure la pagina del Vangelo secondo Matteo, hanno proposto alla nostra assemblea liturgica una suggestiva immagine allegorica della Sacra Scrittura: l’immagine della vigna, di cui abbiamo già sentito parlare nelle domeniche precedenti. La pericope iniziale del racconto evangelico fa riferimento al « cantico della vigna » che troviamo in Isaia. Si tratta di un canto ambientato nel contesto autunnale della vendemmia: un piccolo capolavoro della poesia ebraica, che doveva essere assai familiare agli ascoltatori di Gesù e dal quale, come da altri riferimenti dei profeti,1 si capiva bene che la vigna indicava Israele. Alla sua vigna, al popolo che si è scelto, Iddio riserva le stesse cure che uno sposo fedele prodiga alla sua sposa.2 L’immagine della vigna, insieme a quella delle nozze, descrive dunque il progetto divino della salvezza, e si pone come una commovente allegoria * Die 5 Octobris 2008. 1 2 Cfr Os 10, 1; Ger 2, 21; Ez 17, 3-10; 19, 10-14; Sal 79, 9-17. Cfr Ez 16, 1-14; Ef 5, 25-33. 754 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Nel Vangelo, Gesù riprende il cantico di Isaia, ma lo adatta ai suoi ascoltatori e alla nuova ora della storia della salvezza. L’accento non è tanto sulla vigna quanto piuttosto sui vignaioli, ai quali i « servi » del padrone chiedono, a suo nome, il canone di affitto. I servi però vengono maltrattati e persino uccisi. Come non pensare alle vicende del popolo eletto e alla sorte riservata ai profeti inviati da Dio? Alla fine, il proprietario della vigna compie l’ultimo tentativo: manda il proprio figlio, convinto che ascolteranno almeno lui. Accade invece il contrario: i vignaioli lo uccidono proprio perché è il figlio, cioè l’erede, convinti di potersi cosı̀ impossessare facilmente della vigna. Assistiamo pertanto ad un salto di qualità rispetto all’accusa di violazione della giustizia sociale, quale emerge dal cantico di Isaia. Qui vediamo chiaramente come il disprezzo per l’ordine impartito dal padrone si trasformi in disprezzo verso di lui: non è la semplice disubbidienza ad un precetto divino, è il vero e proprio rigetto di Dio: appare il mistero della Croce. Quanto denuncia la pagina evangelica interpella il nostro modo di pensare e di agire. Non parla solo dell’« ora » di Cristo, del mistero della Croce in quel momento, ma della presenza della Croce in tutti i tempi. Interpella, in modo speciale, i popoli che hanno ricevuto l’annuncio del Vangelo. Se guardiamo la storia, siamo costretti a registrare non di rado la freddezza e la ribellione di cristiani incoerenti. In conseguenza di ciò, Dio, pur non venendo mai meno alla sua promessa di salvezza, ha dovuto spesso ricorrere al castigo. È spontaneo pensare, in questo contesto, al primo annuncio del Vangelo, da cui scaturirono comunità cristiane inizialmente fiorenti, che sono poi scomparse e sono oggi ricordate solo nei libri di storia. Non potrebbe avvenire la stessa cosa in questa nostra epoca? Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni ora vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza deleteria e distruttiva di una certa cultura moderna. Vi è chi, avendo deciso che « Dio è morto », dichiara « dio » se stesso, ritenendosi l’unico artefice del proprio destino, il proprietario assoluto del mondo. Sbarazzandosi di Dio e non attendendo da Lui la salvezza, l’uomo crede di poter fare ciò che gli piace e di potersi porre come sola misura di se stesso e del proprio agire. Ma quando l’uomo elimina Dio dal proprio orizzonte, dichiara Dio « morto », è veramente più felice? Diventa veramente più libero? Quando gli uomini si proclamano proprietari assoluti di se stessi e unici padroni del creato, possono veramente costruire una società dove regnino la libertà, la giustizia e la pace? Non avviene piuttosto — come la cronaca quotidiana dimostra ampiamente — che si estendano Acta Benedicti Pp. XVI 755 l’arbitrio del potere, gli interessi egoistici, l’ingiustizia e lo sfruttamento, la violenza in ogni sua espressione? Il punto d’arrivo, alla fine, è che l’uomo si ritrova più solo e la società più divisa e confusa. Ma nelle parole di Gesù vi è una promessa: la vigna non sarà distrutta. Mentre abbandona al loro destino i vignaioli infedeli, il padrone non si distacca dalla sua vigna e l’affida ad altri suoi servi fedeli. Questo indica che, se in alcune regioni la fede si affievolisce sino ad estinguersi, vi saranno sempre altri popoli pronti ad accoglierla. Proprio per questo Gesù, mentre cita il Salmo 117 [118]: « La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d’angolo »,3 assicura che la sua morte non sarà la sconfitta di Dio. Ucciso, Egli non resterà nella tomba, anzi, proprio quella che sembrerà essere una totale disfatta, segnerà l’inizio di una definitiva vittoria. Alla sua dolorosa passione e morte in croce seguirà la gloria della risurrezione. La vigna continuerà allora a produrre uva e sarà data in affitto dal padrone « ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo ».4 L’immagine della vigna, con le sue implicazioni morali, dottrinali e spirituali, ritornerà nel discorso dell’Ultima Cena, quando, congedandosi dagli Apostoli, il Signore dirà: « Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto lo pota, perché porti più frutto ».5 A partire dall’evento pasquale la storia della salvezza conoscerà dunque una svolta decisiva, e ne saranno protagonisti quegli « altri contadini » che, innestati come scelti germogli in Cristo, vera vite, porteranno frutti abbondanti di vita eterna.6 Tra questi « contadini » ci siamo anche noi, innestati in Cristo, che volle divenire Egli stesso la « vera vite ». Preghiamo che il Signore che ci dà il suo sangue, Se stesso, nell’Eucaristia, ci aiuti a « portare frutto » per la vita eterna e per questo nostro tempo. Il consolante messaggio che raccogliamo da questi testi biblici è la certezza che il male e la morte non hanno l’ultima parola, ma a vincere alla fine è Cristo. Sempre! La Chiesa non si stanca di proclamare questa Buona Novella, come avviene anche quest’oggi, in questa Basilica dedicata all’Apostolo delle genti, che per primo diffuse il Vangelo in vaste regioni dell’Asia minore e dell’Europa. Rinnoveremo in modo significativo questo annuncio durante la 3 4 5 6 v. 22. Mt 21, 41. Gv 15, 1-2. Cfr Orazione colletta. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 756 XII Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema: « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ». Vorrei qui salutare con affetto cordiale tutti voi, venerati Padri sinodali, e quanti prendete parte a questo incontro come esperti, uditori e invitati speciali. Sono lieto inoltre di accogliere i Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi ed ai suoi collaboratori va l’espressione della riconoscenza di tutti noi per l’impegnativo lavoro svolto in questi mesi, insieme con un augurio per le fatiche che li attendono nelle prossime settimane. Quando Dio parla, sollecita sempre una risposta; la sua azione di salvezza richiede l’umana cooperazione; il suo amore attende corrispondenza. Che non debba mai accadere, cari fratelli e sorelle, quanto narra il testo biblico a proposito della vigna: « Aspettò che producesse uva, produsse, invece, acini acerbi ».7 Solo la Parola di Dio può cambiare in profondità il cuore dell’uomo, ed è importante allora che con essa entrino in una intimità sempre crescente i singoli credenti e le comunità. L’Assemblea sinodale volgerà la sua attenzione a questa verità fondamentale per la vita e la missione della Chiesa. Nutrirsi della Parola di Dio è per essa il compito primo e fondamentale. In effetti, se l’annuncio del Vangelo costituisce la sua ragione d’essere e la sua missione, è indispensabile che la Chiesa conosca e viva ciò che annuncia, perché la sua predicazione sia credibile, nonostante le debolezze e le povertà degli uomini che la compongono. Sappiamo, inoltre, che l’annuncio della Parola, alla scuola di Cristo, ha come suo contenuto il Regno di Dio,8 ma il Regno di Dio è la stessa persona di Gesù, che con le sue parole e le sue opere offre la salvezza agli uomini di ogni epoca. Interessante è al riguardo la considerazione di san Girolamo: « Colui che non conosce le Scritture, non conosce la potenza di Dio né la sua sapienza. Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo ».9 In questo Anno Paolino sentiremo risuonare con particolare urgenza il grido dell’Apostolo delle genti: « Guai a me se non predicassi il Vangelo »; 10 grido che per ogni cristiano diventa invito insistente a porsi al servizio di Cristo. « La messe è molta »,11 ripete anche oggi il Divin Maestro: tanti non Lo hanno ancora incontrato e sono in attesa del primo annuncio del suo Vangelo; 7 8 9 10 11 Cfr Is 5, 2. Cfr Mc 1, 14-15. Prologo al commento del profeta Isaia: PL 24, 17. 1 Cor 9, 16. Mt 9, 37. Acta Benedicti Pp. XVI 757 altri, pur avendo ricevuto una formazione cristiana, si sono affievoliti nell’entusiasmo e conservano con la Parola di Dio un contatto soltanto superficiale; altri ancora si sono allontanati dalla pratica della fede e necessitano di una nuova evangelizzazione. Non mancano poi persone di retto sentire che si pongono domande essenziali sul senso della vita e della morte, domande alle quali solo Cristo può fornire risposte appaganti. Diviene allora indispensabile per i cristiani di ogni continente essere pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro,12 annunciando con gioia la Parola di Dio e vivendo senza compromessi il Vangelo. Venerati e cari Fratelli, ci aiuti il Signore ad interrogarci insieme, durante le prossime settimane di lavori sinodali, su come rendere sempre più efficace l’annuncio del Vangelo in questo nostro tempo. Avvertiamo tutti quanto sia necessario porre al centro della nostra vita la Parola di Dio, accogliere Cristo come unico nostro Redentore, come Regno di Dio in persona, per far sı̀ che la sua luce illumini ogni ambito dell’umanità: dalla famiglia alla scuola, alla cultura, al lavoro, al tempo libero e agli altri settori della società e della nostra vita. Partecipando alla Celebrazione eucaristica, avvertiamo sempre lo stretto legame che esiste tra l’annuncio della Parola di Dio e il Sacrificio eucaristico: è lo stesso Mistero che viene offerto alla nostra contemplazione. Ecco perché « la Chiesa — come pone in luce il Concilio Vaticano II — ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli ». Giustamente il Concilio conclude: « Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, cosı̀ è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta venerazione della Parola di Dio, che ‘‘permane in eterno’’ ».13 Ci conceda il Signore di accostarci con fede alla duplice mensa della Parola e del Corpo e Sangue di Cristo. Ci ottenga questo dono Maria Santissima, che « serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore ».14 Sia Lei ad insegnarci ad ascoltare le Scritture e a meditarle in un processo interiore di maturazione, che mai separi l’intelligenza dal cuore. Vengano in nostro aiuto anche i Santi, in particolare l’Apostolo Paolo, che durante quest’anno andiamo sempre più scoprendo come intrepido testimone e araldo della Parola di Dio. Amen! 12 13 14 Cfr 1 Pt 3, 15. Dei Verbum, 21. 26. Lc 2, 19. 758 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale II Ad celebrationem Horae Tertiae, prima ineunte generali congregatione Synodi Episcoporum.* Cari Fratelli nell’Episcopato, cari fratelli e sorelle, all’inizio del nostro Sinodo la Liturgia delle Ore ci propone un brano del grande Salmo 118 sulla Parola di Dio: un elogio di questa sua Parola, espressione della gioia di Israele di poterla conoscere e, in essa, di poter conoscere la sua volontà e il suo volto. Vorrei meditare con voi alcuni versetti di questo brano del Salmo. Comincia cosı̀: « In aeternum, Domine, verbum tuum constitutum est in caelo... firmasti terram, et permanet ». Si parla della solidità della Parola. Essa è solida, è la vera realtà sulla quale basare la propria vita. Ricordiamoci della parola di Gesù che continua questa parola del Salmo: « Cieli e terra passeranno, la mia parola non passerà mai ». Umanamente parlando, la parola, la nostra parola umana, è quasi un niente nella realtà, un alito. Appena pronunciata, scompare. Sembra essere niente. Ma già la parola umana ha un forza incredibile. Sono le parole che creano poi la storia, sono le parole che danno forma ai pensieri, i pensieri dai quali viene la parola. È la parola che forma la storia, la realtà. Ancor più la Parola di Dio è il fondamento di tutto, è la vera realtà. E per essere realisti, dobbiamo proprio contare su questa realtà. Dobbiamo cambiare la nostra idea che la materia, le cose solide, da toccare, sarebbero la realtà più solida, più sicura. Alla fine del Sermone della Montagna il Signore ci parla delle due possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia. Sulla sabbia costruisce chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera, sui soldi. Apparentemente queste sono le vere realtà. Ma tutto questo un giorno passerà. Lo vediamo adesso nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente. E cosı̀ tutte queste cose, che sembrano la vera realtà sulla quale contare, sono realtà di secondo ordine. Chi costruisce la sua vita su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la Parola di Dio è fondamento di tutta la realtà, è stabile come il cielo e più * Die 6 Octobris 2008. Acta Benedicti Pp. XVI 759 che il cielo, è la realtà. Quindi dobbiamo cambiare il nostro concetto di realismo. Realista è chi riconosce nella Parola di Dio, in questa realtà apparentemente cosı̀ debole, il fondamento di tutto. Realista è chi costruisce la sua vita su questo fondamento che rimane in permanenza. E cosı̀ questi primi versetti del Salmo ci invitano a scoprire che cosa è la realtà e a trovare in questo modo il fondamento della nostra vita, come costruire la vita. Nel successivo versetto si dice: « Omnia serviunt tibi ». Tutte le cose vengono dalla Parola, sono un prodotto della Parola. « All’inizio era la Parola ». All’inizio il cielo parlò. E cosı̀ la realtà nasce dalla Parola, è « creatura Verbi ». Tutto è creato dalla Parola e tutto è chiamato a servire la Parola. Questo vuol dire che tutta la creazione, alla fine, è pensata per creare il luogo dell’incontro tra Dio e la sua creatura, un luogo dove l’amore della creatura risponda all’amore divino, un luogo in cui si sviluppi la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura. « Omnia serviunt tibi ». La storia della salvezza non è un piccolo avvenimento, in un pianeta povero, nell’immensità dell’universo. Non è una cosa minima, che succede per caso in un pianeta sperduto. È il movente di tutto, il motivo della creazione. Tutto è creato perché ci sia questa storia, l’incontro tra Dio e la sua creatura. In questo senso, la storia della salvezza, l’alleanza, precede la creazione. Nel periodo ellenistico, il giudaismo ha sviluppato l’idea che la Torah avrebbe preceduto la creazione del mondo materiale. Questo mondo materiale sarebbe stato creato solo per dare luogo alla Torah, a questa Parola di Dio che crea la risposta e diventa storia d’amore. Qui traspare già misteriosamente il mistero di Cristo. È quello che ci dicono le Lettere agli Efesini e ai Colossesi: Cristo è il protòtypos, il primo nato della creazione, l’idea per la quale è concepito l’universo. Egli accoglie tutto. Noi entriamo nel movimento dell’universo unendoci a Cristo. Si può dire che, mentre la creazione materiale è la condizione per la storia della salvezza, la storia dell’alleanza è la vera causa del cosmo. Arriviamo alle radici dell’essere arrivando al mistero di Cristo, a questa sua parola viva che è lo scopo di tutta la creazione. « Omnia serviunt tibi ». Servendo il Signore realizziamo lo scopo dell’essere, lo scopo della nostra propria esistenza. Facciamo ora un salto: « Mandata tua exquisivi ». Noi siamo sempre alla ricerca della Parola di Dio. Essa non è semplicemente presente in noi. Se ci fermiamo alla lettera, non necessariamente abbiamo compreso realmente la Parola di Dio. C’è il pericolo che noi vediamo solo le parole umane e non vi troviamo dentro il vero attore, lo Spirito Santo. Non troviamo nelle parole la Parola. Sant’Agostino, in questo contesto, ci ricorda gli scribi e i farisei 760 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale consultati da Erode nel momento dell’arrivo dei Magi. Erode vuol sapere dove sarebbe nato il Salvatore del mondo. Essi lo sanno, danno la risposta giusta: a Betlemme. Sono grandi specialisti, che conoscono tutto. E tuttavia non vedono la realtà, non conoscono il Salvatore. Sant’Agostino dice: sono indicatori di strada per gli altri, ma loro stessi non si muovono. Questo è un grande pericolo anche nella nostra lettura della Scrittura: ci fermiamo alle parole umane, parole del passato, storia del passato, e non scopriamo il presente nel passato, lo Spirito Santo che parla oggi a noi nelle parole del passato. Cosı̀ non entriamo nel movimento interiore della Parola, che in parole umane nasconde e apre le parole divine. Perciò c’è sempre bisogno dell’« exquisivi ». Dobbiamo essere in ricerca della Parola nelle parole. Quindi l’esegesi, la vera lettura della Sacra Scrittura, non è solamente un fenomeno letterario, non è soltanto la lettura di un testo. È il movimento della mia esistenza. È muoversi verso la Parola di Dio nelle parole umane. Solo conformandoci al mistero di Dio, al Signore che è la Parola, possiamo entrare all’interno della Parola, possiamo trovare veramente in parole umane la Parola di Dio. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a cercare non solo con l’intelletto, ma con tutta la nostra esistenza, per trovare la parola. Alla fine: « Omni consummationi vidi finem, latum praeceptum tuum nimis ». Tutte le cose umane, tutte le cose che noi possiamo inventare, creare, sono finite. Anche tutte le esperienze religiose umane sono finite, mostrano un aspetto della realtà, perché il nostro essere è finito e capisce solo sempre una parte, alcuni elementi: « latum praeceptum tuum nimis ». Solo Dio è infinito. E perciò anche la sua Parola è universale e non conosce confine. Entrando quindi nella Parola di Dio, entriamo realmente nell’universo divino. Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze e entriamo nella realtà che, è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. Non entriamo in un piccolo gruppo, nella regola di un piccolo gruppo, ma usciamo dai nostri limiti. Usciamo verso il largo, nella vera larghezza dell’unica verità, la grande verità di Dio. Siamo realmente nell’universale. E cosı̀ usciamo nella comunione di tutti i fratelli e le sorelle, di tutta l’umanità, perché nel cuore nostro si nasconde il desiderio della Parola di Dio che è una. Perciò anche l’evangelizzazione, l’annuncio del Vangelo, la missione non sono una specie di colonialismo ecclesiale, con cui vogliamo inserire altri nel nostro gruppo. È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli. Preghiamo di nuovo affinché il Signore ci aiuti a entrare Acta Benedicti Pp. XVI 761 realmente nella « larghezza » della sua Parola e cosı̀ aprirci all’orizzonte universale dell’umanità, quello che ci unisce con tutte le diversità. Alla fine ritorniamo ancora a un versetto precedente: « Tuus sum ego: salvum me fac ». Il testo italiano traduce: « Io sono tuo ». La parola di Dio è come una scala sulla quale possiamo salire e, con Cristo, anche scendere nella profondità del suo amore. È una scala per arrivare alla Parola nelle parole. « Io sono tuo ». La parola ha un volto, è persona, Cristo. Prima che noi possiamo dire « Io sono tuo », Egli ci ha già detto « Io sono tuo ». La Lettera agli Ebrei, citando il Salmo 39, dice: « Un corpo invece mi hai preparato... Allora ho detto: Ecco, io vengo ». Il Signore si è fatto preparare un corpo per venire. Con la sua incarnazione ha detto: io sono tuo. E nel Battesimo ha detto a me: io sono tuo. Nella sacra Eucaristia lo dice sempre di nuovo: io sono tuo, perché noi possiamo rispondere: Signore, io sono tuo. Nel cammino della Parola, entrando nel mistero della sua incarnazione, del suo essere con noi, vogliamo appropriarci del suo essere, vogliamo espropriarci della nostra esistenza, dandoci a Lui che si è dato a noi. « Io sono tuo ». Preghiamo il Signore di poter imparare con tutta la nostra esistenza a dire questa parola. Cosı̀ saremo nel cuore della Parola. Cosı̀ saremo salvi. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 762 III In quinquagesima anniversaria memoria ab obitu Dei Servi Pii XII.* Signori Cardinali, venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Il brano del libro del Siracide ed il prologo della Prima Lettera di san Pietro, proclamati come prima e seconda lettura, ci offrono significativi spunti di riflessione in questa celebrazione eucaristica, durante la quale facciamo memoria del mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII. Sono passati esattamente cinquant’anni dalla sua morte, avvenuta nelle prime ore del 9 ottobre 1958. Il Siracide, come abbiamo ascoltato, ha ricordato a quanti intendono seguire il Signore che devono prepararsi ad affrontare prove, difficoltà e sofferenze. Per non soccombere ad esse — egli ammonisce — occorre un cuore retto e costante, occorre fedeltà a Dio e pazienza unite a inflessibile determinazione nel proseguire nella via del bene. La sofferenza affina il cuore del discepolo del Signore, come l’oro viene purificato nella fornace. « Accetta quanto ti capita — scrive l’autore sacro — e sii paziente nelle vicende dolorose, perché l’oro si prova con il fuoco e gli uomini ben accetti nel crogiolo del dolore ».1 San Pietro, per parte sua, nella pericope che ci è stata proposta, rivolgendosi ai cristiani delle comunità dell’Asia Minore che erano « afflitti da varie prove », va anche oltre: chiede loro di essere, ciò nonostante, « ricolmi di gioia ».2 La prova è infatti necessaria, egli osserva, « affinché il valore della vostra fede, assai più preziosa dell’oro — destinato a perire e tuttavia purificato col fuoco —, torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà ».3 E poi, per la seconda volta, li esorta ad essere lieti, anzi ad esultare « di gioia indicibile e gloriosa ».4 La ragione profonda di questo gaudio spirituale sta nell’amore per Gesù e nella certezza della sua invisibile presen* Die 8 Octobris 2008. 1 2 3 4 2, 4-5. 1 Pt 1, 6. v. 7. v. 8. Acta Benedicti Pp. XVI 763 za. È Lui a rendere incrollabile la fede e la speranza dei credenti anche nelle fasi più complicate e dure dell’esistenza. Alla luce di questi testi biblici possiamo leggere la vicenda terrena di Papa Pacelli e il suo lungo servizio alla Chiesa iniziato nel 1901 sotto Leone XIII, e proseguito con san Pio X, Benedetto XV e Pio XI. Questi testi biblici ci aiutano soprattutto a comprendere quale sia stata la sorgente da cui egli ha attinto coraggio e pazienza nel suo ministero pontificale, svoltosi negli anni travagliati del secondo conflitto mondiale e nel periodo susseguente, non meno complesso, della ricostruzione e dei difficili rapporti internazionali passati alla storia con la qualifica significativa di « guerra fredda ». « Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam »: con questa invocazione del Salmo 50/51 Pio XII iniziava il suo testamento. E continuava: « Queste parole, che, conscio di essere immeritevole e impari, pronunciai nel momento in cui diedi, tremando, la mia accettazione alla elezione a Sommo Pontefice, con tanto maggior fondamento le ripeto ora ». Mancavano allora due anni alla sua morte. Abbandonarsi nelle mani misericordiose di Dio: fu questo l’atteggiamento che coltivò costantemente questo mio venerato Predecessore, ultimo dei Papi nati a Roma ed appartenente ad una famiglia legata da molti anni alla Santa Sede. In Germania, dove svolse il compito di Nunzio Apostolico, prima a Monaco di Baviera e poi a Berlino sino al 1929, lasciò dietro di sé una grata memoria, soprattutto per aver collaborato con Benedetto XV al tentativo di fermare « l’inutile strage » della Grande Guerra, e per aver colto fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica. Creato Cardinale nel dicembre 1929, e divenuto poco dopo Segretario di Stato, per nove anni fu fedele collaboratore di Pio XI, in un’epoca contrassegnata dai totalitarismi: quello fascista, quello nazista e quello comunista sovietico, condannati rispettivamente dalle Encicliche Non abbiamo bisogno, Mit brennender Sorge e Divini Redemptoris. « Chi ascolta la mia parola e crede... ha la vita eterna ».5 Questa assicurazione di Gesù, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci fa pensare ai momenti più duri del pontificato di Pio XII quando, avvertendo il venir meno di ogni umana sicurezza, sentiva forte il bisogno, anche attraverso un costante sforzo ascetico, di aderire a Cristo, unica certezza che non tramonta. La Parola di Dio diventava cosı̀ luce al suo cammino, un cammino nel quale Papa Pacelli 5 Gv 5, 24. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 764 ebbe a consolare sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra. Soltanto Cristo è vera speranza dell’uomo; solo fidando in Lui il cuore umano può aprirsi all’amore che vince l’odio. Questa consapevolezza accompagnò Pio XII nel suo ministero di Successore di Pietro, ministero iniziato proprio quando si addensavano sull’Europa e sul resto del mondo le nubi minacciose di un nuovo conflitto mondiale, che egli cercò di evitare in tutti i modi: « Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra », aveva gridato nel suo radiomessaggio del 24 agosto 1939.6 La guerra mise in evidenza l’amore che nutriva per la sua « diletta Roma », amore testimoniato dall’intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica. Quando, occupata la città, gli fu ripetutamente consigliato di lasciare il Vaticano per mettersi in salvo, identica e decisa fu sempre la sua risposta: « Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire ».7 I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra.8 E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle « centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento »,9 con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agı̀ spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che cosı̀ scrisse: « Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è 6 7 8 9 AAS, XXXI, 1939, p. 334. Cfr Summarium, p. 86. Cfr A. Tornielli, Pio XII, Un uomo sul trono di Pietro. AAS, XXXV, 1943, p. 23. Acta Benedicti Pp. XVI 765 levata a favore delle vittime », concludendo con commozione: « Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace ». Purtroppo il dibattito storico sulla figura del Servo di Dio Pio XII, non sempre sereno, ha tralasciato di porre in luce tutti gli aspetti del suo poliedrico pontificato. Tantissimi furono i discorsi, le allocuzioni e i messaggi che tenne a scienziati, medici, esponenti delle categorie lavorative più diverse, alcuni dei quali conservano ancora oggi una straordinaria attualità e continuano ad essere punto di riferimento sicuro. Paolo VI, che fu suo fedele collaboratore per molti anni, lo descrisse come un erudito, un attento studioso, aperto alle moderne vie della ricerca e della cultura, con sempre ferma e coerente fedeltà sia ai principi della razionalità umana, sia all’intangibile deposito delle verità della fede. Lo considerava come un precursore del Concilio Vaticano II.10 In questa prospettiva, molti suoi documenti meriterebbero di essere ricordati, ma mi limito a citarne alcuni. Con l’Enciclica Mystici Corporis, pubblicata il 29 giugno 1943 mentre ancora infuriava la guerra, egli descriveva i rapporti spirituali e visibili che uniscono gli uomini al Verbo incarnato e proponeva di integrare in questa prospettiva tutti i principali temi dell’ecclesiologia, offrendo per la prima volta una sintesi dogmatica e teologica che sarebbe stata la base per la Costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium. Pochi mesi dopo, il 20 settembre 1943, con l’Enciclica Divino afflante Spiritu stabiliva le norme dottrinali per lo studio della Sacra Scrittura, mettendone in rilievo l’importanza e il ruolo nella vita cristiana. Si tratta di un documento che testimonia una grande apertura alla ricerca scientifica sui testi biblici. Come non ricordare quest’Enciclica, mentre sono in svolgimento i lavori del Sinodo che ha come tema proprio « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa »? Si deve all’intuizione profetica di Pio XII l’avvio di un serio studio delle caratteristiche della storiografia antica, per meglio comprendere la natura dei libri sacri, senza indebolirne o negarne il valore storico. L’approfondimento dei « generi letterari », che intendeva comprendere meglio quanto l’autore sacro aveva voluto dire, fino al 1943 era stato visto con qualche sospetto, anche per gli abusi che si erano verificati. L’Enciclica ne riconosceva la giusta applicazione, dichiarandone legittimo l’uso per lo studio non solo dell’Antico Testamento, ma anche del Nuovo. « Oggi poi quest’arte — spiegò il Papa — che suol chiamarsi critica testuale e nelle edi10 Cfr Angelus del 10 marzo 1974. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 766 zioni degli autori profani s’impiega con grande lode e pari frutto, con pieno diritto si applica ai Sacri Libri appunto per la riverenza dovuta alla parola di Dio ». Ed aggiunse: « Scopo di essa infatti è restituire con tutta la possibile precisione il sacro testo al suo primitivo tenore, purgandolo dalle deformazioni introdottevi dalle manchevolezze dei copisti e liberandolo dalle glosse e lacune, dalle trasposizioni di parole, dalle ripetizioni e da simili difetti d’ogni genere, che negli scritti tramandati a mano pei molti secoli usano infiltrarsi ».11 La terza Enciclica che vorrei menzionare è la Mediator Dei, dedicata alla liturgia, pubblicata il 20 novembre 1947. Con questo Documento il Servo di Dio dette impulso al movimento liturgico, insistendo sull’« elemento essenziale del culto », che « deve essere quello interno: è necessario, difatti, — egli scrisse — vivere sempre in Cristo, tutto a Lui dedicarsi, affinché in Lui, con Lui e per Lui si dia gloria al Padre. La sacra Liturgia richiede che questi due elementi siano intimamente congiunti... Diversamente, la religione diventa un formalismo senza fondamento e senza contenuto ». Non possiamo poi non accennare all’impulso notevole che questo Pontefice impresse all’attività missionaria della Chiesa con le Encicliche Evangelii praecones (1951) e Fidei donum (1957), ponendo in rilievo il dovere di ogni comunità di annunciare il Vangelo alle genti, come il Concilio Vaticano II farà con coraggioso vigore. L’amore per le missioni, peraltro, Papa Pacelli lo aveva dimostrato sin dall’inizio del pontificato quando nell’ottobre 1939 aveva voluto consacrare personalmente dodici Vescovi di Paesi di missione, tra i quali un indiano, un cinese, un giapponese, il primo Vescovo africano e il primo Vescovo del Madagascar. Una delle sue costanti preoccupazioni pastorali fu infine la promozione del ruolo dei laici, perché la comunità ecclesiale potesse avvalersi di tutte le energie e le risorse disponibili. Anche per questo la Chiesa e il mondo gli sono grati. Cari fratelli e sorelle, mentre preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del Servo di Dio Pio XII, è bello ricordare che la santità fu il suo ideale, un ideale che non mancò di proporre a tutti. Per questo dette impulso alle cause di beatificazione e canonizzazione di persone appartenenti a popoli diversi, rappresentanti di tutti gli stati di vita, funzioni e professioni, riservando ampio spazio alle donne. Proprio Maria, la Donna della salvezza, egli additò all’umanità quale segno di sicura speranza proclamando il dogma dell’Assunzione durante l’Anno Santo del 1950. In questo 11 AAS, XXXV, 1943, p. 336. Acta Benedicti Pp. XVI 767 nostro mondo che, come allora, è assillato da preoccupazioni e angosce per il suo avvenire; in questo mondo, dove, forse più di allora, l’allontanamento di molti dalla verità e dalla virtù lascia intravedere scenari privi di speranza, Pio XII ci invita a volgere lo sguardo verso Maria assunta nella gloria celeste. Ci invita ad invocarla fiduciosi, perché ci faccia apprezzare sempre più il valore della vita sulla terra e ci aiuti a volgere lo sguardo verso la meta vera a cui siamo tutti destinati: quella vita eterna che, come assicura Gesù, possiede già chi ascolta e segue la sua parola. Amen! Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 768 IV In canonizatione Beatorum Caietani Errico, presbyteri qui conditor exstitit Missionariorum a Ss. Cordibus Iesu et Mariae; Mariae Bernardae (Verena) Bütler, virginis quae condidit Congregationem Sororum Franciscalium Missionariarum a Maria Auxiliatrice; Alfonsae ab Immaculata Conceptione (Annae Muttathupadathu), virginis ex Congregatione Sororum Franciscalium Clarissarum, et Narcissae a Iesu Martillo Morán, laicae.* Cari fratelli e sorelle, quattro nuove figure di Santi vengono oggi proposte alla venerazione della Chiesa universale: Gaetano Errico, Maria Bernarda Bütler, Alfonsa dell’Immacolata Concezione e Narcisa di Gesù Martillo Morán. La liturgia ce le presenta con l’immagine evangelica degli invitati che prendono parte al banchetto rivestiti dell’abito nuziale. Quella del banchetto è immagine che troviamo anche nella prima Lettura e in varie altre pagine della Bibbia: è immagine gioiosa perché il banchetto accompagna una festa di nozze, l’Alleanza d’amore tra Dio e il suo Popolo. Verso quest’Alleanza i profeti dell’Antico Testamento hanno costantemente orientato l’attesa di Israele. E in un’epoca segnata da prove di ogni genere, quando le difficoltà rischiavano di scoraggiare il Popolo eletto, ecco levarsi la parola rassicurante del profeta Isaia: « Preparerà il Signore degli eserciti — egli afferma — per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande ... di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati ».1 Iddio porrà fine alla tristezza e alla vergogna del suo Popolo, che potrà finalmente vivere felice in comunione con Lui. Dio non abbandona mai il suo Popolo: per questo il profeta invita alla gioia: « Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci salvasse; ... rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza ».2 Se la prima Lettura esalta la fedeltà di Dio alla sua promessa, il Vangelo con la parabola del banchetto nuziale ci fa riflettere sulla risposta umana. Alcuni invitati della prima ora hanno rifiutato l’invito, perché attratti da diversi interessi; altri hanno persino disprezzato l’invito del re provocando un castigo che s’è abbattuto non solo su di loro, ma sull’intera città. Il re però * Die 12 Octobris 2008. 1 2 25, 6. v. 9. Acta Benedicti Pp. XVI 769 non si scoraggia e invia i suoi servi a cercare altri commensali per riempire la sala del suo banchetto. Cosı̀ il rifiuto dei primi ha come effetto l’estensione dell’invito a tutti, con una predilezione speciale per i poveri e i diseredati. È quanto è avvenuto nel Mistero pasquale: lo strapotere del male è sconfitto dall’onnipotenza dell’amore di Dio. Il Signore risorto può ormai invitare tutti al banchetto della gioia pasquale, fornendo Egli stesso ai commensali la veste nuziale, simbolo del dono gratuito della grazia santificante. Alla generosità di Dio deve però rispondere la libera adesione dell’uomo. È proprio questo il cammino generoso che hanno percorso anche coloro che oggi veneriamo come santi. Nel battesimo essi hanno ricevuto l’abito nuziale della grazia divina, lo hanno conservato puro o lo hanno purificato e reso splendido nel corso della vita mediante i Sacramenti. Ora prendono parte al banchetto nuziale del Cielo. Della festa finale del Cielo è anticipazione il banchetto dell’Eucaristia, a cui il Signore ci invita ogni giorno e al quale dobbiamo partecipare con l’abito nuziale della sua grazia. Se capita di sporcare o addirittura lacerare col peccato questa veste, la bontà di Dio non ci respinge né ci abbandona al nostro destino, ma ci offre con il sacramento della Riconciliazione la possibilità di ripristinare nella sua integrità l’abito nuziale necessario per la festa. Il ministero della Riconciliazione è pertanto un ministero sempre attuale. Ad esso il sacerdote Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, si è dedicato con diligenza, assiduità e pazienza, senza mai rifiutarsi né risparmiarsi. Egli si inscrive cosı̀ tra le figure straordinarie di presbiteri che, instancabili, hanno fatto del confessionale il luogo per dispensare la misericordia di Dio, aiutando gli uomini a ritrovare se stessi, a lottare contro il peccato e a progredire nel cammino della vita spirituale. La strada e il confessionale furono i luoghi privilegiati dell’azione pastorale di questo nuovo santo. La strada gli permetteva di incontrare le persone alle quali rivolgeva un suo abituale invito: « Dio ti vuole bene, quando ci vedremo? », e nel confessionale rendeva loro possibile l’incontro con la misericordia del Padre celeste. Quante ferite dell’anima egli ha cosı̀ sanato! Quante persone ha portato a riconciliarsi con Dio mediante il Sacramento del perdono! In tal modo san Gaetano Errico è diventato un esperto nella « scienza » del perdono, e si è preoccupato di insegnarla ai suoi missionari raccomandando loro: « Dio, che non vuole la morte del peccatore, è sempre più misericordioso dei suoi ministri; perciò siate misericordiosi quanto potete esserlo, perché troverete misericordia presso Dio ». Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 770 Maria Bernarda Bütler, die in Auw im Schweizer Kanton Aargau geboren wurde, hat schon sehr früh die Erfahrung einer tiefen Liebe zum Herrn gemacht. Wie sie sagte, »ist es fast unmöglich, dies anderen zu erklären, die es selbst nicht so verspürt haben«. Diese Liebe führte Verena Bütler, wie sie damals hieß, zum Eintritt in das Kapuzinerinnenkloster Maria Hilf in Altstätten, wo sie mit 21 Jahren ihre Gelübde ablegte. Im Alter von 40 Jahren empfing sie ihre missionarische Berufung und machte sich auf den Weg nach Ecuador und dann nach Kolumbien. Aufgrund ihres Lebens und ihres Einsatzes für ihre Mitmenschen hat sie mein verehrter Vorgänger Johannes Paul II. am 29. Oktober 1995 als Selige zur Ehre der Altäre erhoben. La Madre Marı́a Bernarda, una figura muy recordada y querida sobre todo en Colombia, entendió a fondo que la fiesta que el Señor ha preparado para todos los pueblos está representada de modo muy particular por la Eucaristı́a. En ella, el mismo Cristo nos recibe como amigos y se nos entrega en la mesa del pan y de la palabra, entrando en ı́ntima comunión con cada uno. Ésta es la fuente y el pilar de la espiritualidad de esta nueva Santa, ası́ como de su impulso misionero que la llevó a dejar su patria natal, Suiza, para abrirse a otros horizontes evangelizadores en Ecuador y Colombia. En las serias adversidades que tuvo que afrontar, incluido el exilio, llevó impresa en su corazón la exclamación del salmo que hemos oı́do hoy: « Aunque camine por cañadas oscuras, nada temo, porque tú vas conmigo ».3 De este modo, dócil a la Palabra de Dios, siguiendo el ejemplo de Marı́a, hizo como los criados de que nos habla el relato del Evangelio que hemos escuchado: fue por doquier proclamando que el Señor invita a todos a su fiesta. Ası́ hacı́a partı́cipes a los demás del amor de Dios al que ella dedicó con fidelidad y gozo toda su vida. ‘‘He will swallow up death for ever, and the Lord God will wipe away tears from all faces’’.4 These words of the prophet Isaiah contain the promise which sustained Alphonsa of the Immaculate Conception through a life of extreme physical and spiritual suffering. This exceptional woman, who today is offered to the people of India as their first canonized Saint, was convinced that her cross was the very means of reaching the heavenly banquet prepared for her by the Father. By accepting the invitation to the wedding feast, and by adorning herself with the garment of God’s grace through prayer and penance, she conformed her life to Christ’s and now delights in the ‘‘rich fare 3 4 Ps 22, 4. Is 25: 8. Acta Benedicti Pp. XVI 771 and choice wines’’ of the heavenly kingdom.5 She wrote, ‘‘I consider a day without suffering as a day lost’’. May we imitate her in shouldering our own crosses so as to join her one day in paradise. La joven laica ecuatoriana Narcisa de Jesús Martillo Morán nos ofrece un ejemplo acabado de respuesta pronta y generosa a la invitación que el Señor nos hace a participar de su amor. Ya desde una edad muy temprana, al recibir el sacramento de la Confirmación, sintió clara en su corazón la llamada a vivir una vida de santidad y de entrega a Dios. Para secundar con docilidad la acción del Espı́ritu Santo en su alma, buscó siempre el consejo y la guı́a de buenos y expertos sacerdotes, considerando la dirección espiritual como uno de los medios más eficaces para llegar a la santificación. Santa Narcisa de Jesús nos muestra un camino de perfección cristiana asequible a todos los fieles. A pesar de las abundantes y extraordinarias gracias recibidas, su existencia transcurrió con gran sencillez, dedicada a su trabajo como costurera y a su apostolado como catequista. En su amor apasionado a Jesús, que la llevó a emprender un camino de intensa oración y mortificación, y a identificarse cada vez más con el misterio de la Cruz, nos ofrece un testimonio atrayente y un ejemplo acabado de una vida totalmente dedicada a Dios y a los hermanos. Cari fratelli e sorelle, rendiamo grazie al Signore per il dono della santità, che quest’oggi rifulge nella Chiesa con singolare bellezza. Gesù invita ciascuno di noi a seguirlo, come questi Santi, nel cammino della croce, per avere poi in eredità la vita eterna di cui Egli morendo ci ha fatto dono. I loro esempi ci siano di incoraggiamento; gli insegnamenti ci orientino e confortino; l’intercessione ci sostenga nelle fatiche del quotidiano, perché anche noi possiamo giungere un giorno a condividere con loro e con tutti i santi la gioia dell’eterno banchetto nella Gerusalemme celeste. Ci ottenga questa grazia soprattutto Maria, la Regina dei Santi, che in questo mese di ottobre veneriamo con particolare devozione. Amen. 5 Cfr Is 25:6. 772 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale V Pompeiis in eucharistica celebratione apud aream Sanctuarii Beatae Mariae Virginis a Rosario.* Cari fratelli e sorelle! Seguendo le orme del Servo di Dio Giovanni Paolo II, sono venuto in pellegrinaggio quest’oggi a Pompei per venerare, insieme a voi, la Vergine Maria, Regina del Santo Rosario. Sono venuto, in particolare, per affidare alla Madre di Dio, nel cui grembo il Verbo si è fatto carne, l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano sul tema della Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. La mia visita coincide anche con la Giornata Missionaria Mondiale: contemplando in Maria Colei che ha accolto in sé il Verbo di Dio e lo ha donato al mondo, pregheremo in questa Messa per quanti nella Chiesa spendono le loro energie a servizio dell’annuncio del Vangelo a tutte le nazioni. Grazie, cari fratelli e sorelle, per la vostra accoglienza! Vi abbraccio tutti con affetto paterno, e vi sono riconoscente per le preghiere che da qui fate salire incessantemente al Cielo per il Successore di Pietro e per le necessità della Chiesa universale. Un cordiale saluto rivolgo, in primo luogo, all’Arcivescovo Carlo Liberati, Prelato di Pompei e Delegato Pontificio per il Santuario, e lo ringrazio per le parole con cui si è fatto interprete dei vostri sentimenti. Il mio saluto si estende alle Autorità civili e militari presenti, in modo speciale al Rappresentante del Governo, il Ministro per i Beni Culturali, ed al Sindaco di Pompei, il quale al mio arrivo ha voluto indirizzarmi espressioni di deferente benvenuto a nome dell’intera cittadinanza. Saluto i sacerdoti della Prelatura, i religiosi e le religiose che offrono il loro quotidiano servizio in Santuario, tra i quali mi piace menzionare le Suore Domenicane Figlie del Santo Rosario di Pompei e i Fratelli delle Scuole Cristiane; saluto i volontari impegnati in diversi servizi e gli zelanti apostoli della Madonna del Rosario di Pompei. E come dimenticare, in questo momento, le persone che soffrono, gli ammalati, gli anziani soli, i giovani in difficoltà, i carcerati, quanti versano in pesanti condizioni di povertà e di disagio sociale ed economico? A tutti e a ciascuno vorrei assicurare la mia vicinanza spirituale e far giungere la testi* Die 19 Octobris 2008. Acta Benedicti Pp. XVI 773 monianza del mio affetto. Ognuno di voi, cari fedeli e abitanti di questa terra, ed anche voi che siete spiritualmente uniti a questa celebrazione attraverso la radio e la televisione, tutti vi affido a Maria e vi invito a confidare sempre nel suo materno sostegno. Lasciamo ora che sia Lei, la nostra Madre e Maestra, a guidarci nella riflessione sulla Parola di Dio che abbiamo ascoltato. La prima Lettura e il Salmo responsoriale esprimono la gioia del popolo d’Israele per la salvezza donata da Dio, salvezza che è liberazione dal male e speranza di vita nuova. L’oracolo di Sofonia si indirizza ad Israele che viene designato con gli appellativi di « figlia di Sion » e « figlia di Gerusalemme » e viene invitato alla gioia: « Rallégrati... grida di gioia... esulta! ».1 È il medesimo appello che l’angelo Gabriele rivolge a Maria, a Nazaret: « Rallegrati, piena di grazia ».2 « Non temere, Sion »,3 dice il Profeta; « Non temere, Maria »,4 dice l’Angelo. E il motivo della fiducia è lo stesso: « Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te / è un salvatore potente »,5 dice il Profeta; « il Signore è con te »,6 assicura l’Angelo alla Vergine. Anche il cantico di Isaia si conclude cosı̀: « Canta ed esulta, tu che abiti in Sion, / perché grande in mezzo a te è il Santo d’Israele ».7 La presenza del Signore è fonte di gioia, perché, dove c’è Lui, il male è vinto e trionfano la vita e la pace. Vorrei sottolineare, in particolare, la stupenda espressione di Sofonia, che rivolgendosi a Gerusalemme dice: il Signore « ti rinnoverà con il suo amore ».8 Sı̀, l’amore di Dio ha questo potere: di rinnovare ogni cosa, a partire dal cuore umano, che è il suo capolavoro e dove lo Spirito Santo opera al meglio la sua azione trasformatrice. Con la sua grazia, Dio rinnova il cuore dell’uomo perdonando il suo peccato, lo riconcilia ed infonde in lui lo slancio per il bene. Tutto questo si manifesta nella vita dei santi, e lo vediamo qui particolarmente nell’opera apostolica del beato Bartolo Longo, fondatore della nuova Pompei. E cosı̀ apriamo in quest’ora anche il nostro cuore a questo amore rinnovatore dell’uomo e di tutte le cose. Sin dai suoi inizi, la comunità cristiana ha visto nella personificazione di Israele e di Gerusalemme in una figura femminile un significativo e profetico 1 2 3 4 5 6 7 8 Sof 3, 14. Lc 1, 28. Sof 3, 16. Lc 1, 30. Sof 3, 17. Lc 1, 28. Is 12, 6. 3, 17. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 774 accostamento con la Vergine Maria, la quale viene riconosciuta proprio quale « figlia di Sion » e archetipo del popolo che « ha trovato grazia » agli occhi del Signore. È una interpretazione che ritroviamo nel racconto evangelico delle nozze di Cana.9 L’evangelista Giovanni mette in luce simbolicamente che Gesù è lo sposo d’Israele, del nuovo Israele che siamo noi tutti nella fede, lo sposo venuto a portare la grazia della nuova Alleanza, rappresentata dal « vino buono ». Al tempo stesso, il Vangelo dà risalto anche al ruolo di Maria, che viene detta all’inizio « la madre di Gesù », ma che poi il Figlio stesso chiama « donna » — e questo ha un significato molto profondo: implica infatti che Gesù, a nostra meraviglia, antepone alla parentela il legame spirituale, secondo il quale Maria impersona appunto la sposa amata del Signore, cioè il popolo che lui si è scelto per irradiare la sua benedizione su tutta la famiglia umana. Il simbolo del vino, unito a quello del banchetto, ripropone il tema della gioia e della festa. Inoltre il vino, come le altre immagini bibliche della vigna e della vite, allude metaforicamente all’amore: Dio è il vignaiolo, Israele è la vigna, una vigna che troverà la sua realizzazione perfetta in Cristo, del quale noi siamo i tralci; e il vino è il frutto, cioè l’amore, perché proprio l’amore è ciò che Dio si attende dai suoi figli. E preghiamo il Signore, che ha dato a Bartolo Longo la grazia di portare l’amore in questa terra, affinché anche la nostra vita e il nostro cuore portino questo frutto dell’amore e rinnovino cosı̀ la terra. All’amore esorta anche l’apostolo Paolo nella seconda Lettura, tratta dalla Lettera ai Romani. Troviamo delineato in questa pagina il programma di vita di una comunità cristiana, i cui membri sono stati rinnovati dall’amore e si sforzano di rinnovarsi continuamente, per discernere sempre la volontà di Dio e non ricadere nel conformismo della mentalità mondana.10 La nuova Pompei, pur con i limiti di ogni realtà umana, è un esempio di questa nuova civiltà, sorta e sviluppatasi sotto lo sguardo materno di Maria. E la caratteristica della civiltà cristiana è proprio la carità: l’amore di Dio che si traduce in amore del prossimo. Ora, quando san Paolo scrive ai cristiani di Roma: « Non siate pigri nello zelo, siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore »,11 il pensiero nostro va a Bartolo Longo e alle tante iniziative di carità da lui attivate per i fratelli più bisognosi. Spinto dall’amore, egli fu in grado di progettare una città nuova, che poi sorse attorno al Santuario ma9 10 11 Gv 2, 1-11. Cfr 12, 1-2. 12, 11. Acta Benedicti Pp. XVI 775 riano, quasi come irradiazione della sua luce di fede e di speranza. Una cittadella di Maria e della carità, non però isolata dal mondo, non, come si suol dire, una « cattedrale nel deserto », ma inserita nel territorio di questa Valle per riscattarlo e promuoverlo. La storia della Chiesa, grazie a Dio, è ricca di esperienze di questo tipo, e anche oggi se ne contano parecchie in ogni parte della terra. Sono esperienze di fraternità, che mostrano il volto di una società diversa, posta come fermento all’interno del contesto civile. La forza della carità è irresistibile: è l’amore che veramente manda avanti il mondo! Chi avrebbe potuto pensare che qui, accanto ai resti dell’antica Pompei, sarebbe sorto un Santuario mariano di portata mondiale? E tante opere sociali volte a tradurre il Vangelo in servizio concreto alle persone più in difficoltà? Dove arriva Dio, il deserto fiorisce! Anche il beato Bartolo Longo, con la sua personale conversione, diede testimonianza di questa forza spirituale che trasforma l’uomo interiormente e lo rende capace di operare grandi cose secondo il disegno di Dio. La vicenda della sua crisi spirituale e della sua conversione appare oggi di grandissima attualità. Egli infatti, nel periodo degli studi universitari a Napoli, influenzato da filosofi immanentisti e positivisti, si era allontanato dalla fede cristiana diventando un militante anticlericale e dandosi anche a pratiche spiritistiche e superstiziose. La sua conversione, con la scoperta del vero volto di Dio, contiene un messaggio molto eloquente per noi, perché purtroppo simili tendenze non mancano nei nostri giorni. In questo Anno Paolino mi piace sottolineare che anche Bartolo Longo, come san Paolo, fu trasformato da persecutore in apostolo: apostolo della fede cristiana, del culto mariano e, in particolare, del Rosario, in cui egli trovò una sintesi di tutto il Vangelo. Questa città, da lui rifondata, è dunque una dimostrazione storica di come Dio trasforma il mondo: ricolmando di carità il cuore di un uomo e facendone un « motore » di rinnovamento religioso e sociale. Pompei è un esempio di come la fede può operare nella città dell’uomo, suscitando apostoli di carità che si pongono al servizio dei piccoli e dei poveri, ed agiscono perché anche gli ultimi siano rispettati nella loro dignità e trovino accoglienza e promozione. Qui a Pompei si capisce che l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sono inseparabili. Qui il genuino popolo cristiano, la gente che affronta la vita con sacrificio ogni giorno, trova la forza di perseverare nel bene senza scendere a compromessi. Qui, ai piedi di Maria, le famiglie ritrovano o rafforzano la gioia dell’amore che le mantiene unite. Opportunamente, quindi, in preparazione dell’odierna mia visita, uno speciale « pellegrinaggio delle famiglie per la fa- 776 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale miglia » si è compiuto esattamente un mese fa, per affidare alla Madonna questa fondamentale cellula della società. Vegli la Vergine Santa su ogni famiglia e sull’intero popolo italiano! Questo Santuario e questa città continuino soprattutto ad essere sempre legati a un dono singolare di Maria: la preghiera del Rosario. Quando, nel celebre dipinto della Madonna di Pompei, vediamo la Vergine Madre e Gesù Bambino che consegnano le corone rispettivamente a santa Caterina da Siena e a san Domenico, comprendiamo subito che questa preghiera ci conduce, attraverso Maria, a Gesù, come ci ha insegnato anche il caro Papa Giovanni Paolo II nella Lettera Rosarium Virginis Mariae, in cui fa riferimento esplicito al beato Bartolo Longo ed al carisma di Pompei. Il Rosario è preghiera contemplativa accessibile a tutti: grandi e piccoli, laici e chierici, colti e poco istruiti. È vincolo spirituale con Maria per rimanere uniti a Gesù, per conformarsi a Lui, assimilarne i sentimenti e comportarsi come Lui si è comportato. Il Rosario è « arma » spirituale nella lotta contro il male, contro ogni violenza, per la pace nei cuori, nelle famiglie, nella società e nel mondo. Cari fratelli e sorelle, in questa Eucaristia, fonte inesauribile di vita e di speranza, di rinnovamento personale e sociale, ringraziamo Dio perché in Bartolo Longo ci ha dato un luminoso testimone di questa verità evangelica. E volgiamo ancora una volta il nostro cuore a Maria con le parole della Supplica, che tra poco insieme reciteremo: « Tu, Madre nostra, sei la nostra Avvocata, la nostra speranza, abbi pietà di noi... Misericordia per tutti, o Madre di misericordia! ». Amen. Acta Benedicti Pp. XVI 777 VI In Conclusione Coetus XII Generalis Ordinarii Synodi Episcoporum.* Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! La Parola del Signore, risuonata poc’anzi nel Vangelo, ci ha ricordato che nell’amore si riassume tutta la Legge divina. L’Evangelista Matteo racconta che i farisei, dopo che Gesù ebbe risposto ai sadducei chiudendo loro la bocca, si riunirono per metterlo alla prova.1 Uno di questi, un dottore della legge, gli chiese: « Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento? ».2 La domanda lascia trasparire la preoccupazione, presente nell’antica tradizione giudaica, di trovare un principio unificatore delle varie formulazioni della volontà di Dio. Era domanda non facile, considerato che nella Legge di Mosè sono contemplati ben 613 precetti e divieti. Come discernere, tra tutti questi, il più grande? Ma Gesù non ha nessuna esitazione, e risponde prontamente: « Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento ».3 Nella sua risposta, Gesù cita lo Shemà, la preghiera che il pio israelita recita più volte al giorno, soprattutto al mattino e alla sera: 4 la proclamazione dell’amore integro e totale dovuto a Dio, come unico Signore. L’accento è posto sulla totalità di questa dedizione a Dio, elencando le tre facoltà che definiscono l’uomo nelle sue strutture psicologiche profonde: cuore, anima e mente. Il termine mente, diánoia, contiene l’elemento razionale. Dio non è soltanto oggetto dell’amore, dell’impegno, della volontà e del sentimento, ma anche dell’intelletto, che pertanto non va escluso da questo ambito. È anzi proprio il nostro pensiero a doversi conformare al pensiero di Dio. Poi, però, Gesù aggiunge qualcosa che, in verità, non era stato richiesto dal dottore della legge: « Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso ».5 L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù consiste nel fatto che egli stabilisce una relazione di somiglianza tra il primo e il secondo comandamento, definito anche questa * Die 26 Octobris 2008. 1 2 3 4 5 Cfr 22, 34-35. v. 36. vv. 37-38. Cfr Dt 6,4-9; 11, 13-21; Nm 15, 37-41. v. 39. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 778 volta con una formula biblica desunta dal codice levitico di santità.6 Ed ecco quindi che nella conclusione del brano i due comandamenti vengono associati nel ruolo di principio cardine sul quale poggia l’intera Rivelazione biblica: « Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti ».7 La pagina evangelica sulla quale stiamo meditando pone in luce che essere discepoli di Cristo è mettere in pratica i suoi insegnamenti, che si riassumono nel primo e più grande comandamento della Legge divina, il comandamento dell’amore. Anche la prima Lettura, tratta dal libro dell’Esodo, insiste sul dovere dell’amore; un amore testimoniato concretamente nei rapporti tra le persone: devono essere rapporti di rispetto, di collaborazione, di aiuto generoso. Il prossimo da amare è anche il forestiero, l’orfano, la vedova e l’indigente, quei cittadini cioè che non hanno alcun « difensore ». L’autore sacro scende a dettagli particolareggiati, come nel caso dell’oggetto dato in pegno da uno di questi poveri.8 In tal caso è Dio stesso a farsi garante della situazione di questo prossimo. Nella seconda Lettura possiamo vedere una concreta applicazione del sommo comandamento dell’amore in una delle prime comunità cristiane. San Paolo scrive ai Tessalonicesi, lasciando loro capire che, pur avendoli conosciuti da poco, li apprezza e li porta con affetto nel cuore. Per questo egli li addita come un « modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia ».9 Non mancano certo debolezze e difficoltà in quella comunità fondata di recente, ma è l’amore che tutto supera, tutto rinnova, tutto vince: l’amore di chi, consapevole dei propri limiti, segue docilmente le parole di Cristo, divino Maestro, trasmesse attraverso un suo fedele discepolo. « Voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore — scrive san Paolo — avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove ». « Per mezzo vostro — prosegue l’Apostolo — la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede si è diffusa dappertutto ».10 L’insegnamento che traiamo dall’esperienza dei Tessalonicesi, esperienza che in verità accomuna ogni autentica comunità cristiana, è che l’amore per il prossimo nasce dall’ascolto docile della Parola divina. È un amore che accetta anche dure prove per la verità della parola divina e proprio cosı̀ il vero amore cresce e la verità 6 7 8 9 10 Cfr Lv 19, 18. v. 40. Cfr Es 20, 25-26. 1 Ts 1, 6-7. 1 Ts 1, 6.8. Acta Benedicti Pp. XVI 779 risplende in tutto il suo fulgore. Quanto è importante allora ascoltare la Parola e incarnarla nell’esistenza personale e comunitaria! In questa celebrazione eucaristica, che chiude i lavori sinodali, avvertiamo in maniera singolare il legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli. Quante volte, nei giorni scorsi, abbiamo sentito esperienze e riflessioni che evidenziano il bisogno oggi emergente di un ascolto più intimo di Dio, di una conoscenza più vera della sua parola di salvezza; di una condivisione più sincera della fede che alla mensa della parola divina si alimenta costantemente! Cari e venerati Fratelli, grazie per il contributo che ciascuno di voi ha offerto all’approfondimento del tema del Sinodo: « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ». Tutti vi saluto con affetto. Un saluto speciale rivolgo ai Signori Cardinali Presidenti delegati del Sinodo e al Segretario Generale, che ringrazio per la loro costante dedizione. Saluto voi, cari fratelli e sorelle, che siete venuti da ogni continente recando la vostra arricchente esperienza. Tornando a casa, trasmettete a tutti il saluto affettuoso del Vescovo di Roma. Saluto i Delegati Fraterni, gli Esperti, gli Uditori e gli Invitati speciali: i membri della Segreteria Generale del Sinodo, quanti si sono occupati dei rapporti con la stampa. Un pensiero speciale va ai Vescovi della Cina Continentale, che non hanno potuto essere rappresentati in questa assemblea sinodale. Desidero farmi qui interprete, e renderne grazie a Dio, del loro amore per Cristo, della loro comunione con la Chiesa universale e della loro fedeltà al Successore dell’Apostolo Pietro. Essi sono presenti nella nostra preghiera, insieme con tutti i fedeli che sono affidati alle loro cure pastorali. Chiediamo al « Pastore supremo del gregge » 11 di dare ad essi gioia, forza e zelo apostolico per guidare con sapienza e con lungimiranza la comunità cattolica in Cina, a tutti noi cosı̀ cara. Noi tutti, che abbiamo preso parte ai lavori sinodali, portiamo con noi la rinnovata consapevolezza che compito prioritario della Chiesa, all’inizio di questo nuovo millennio, è innanzitutto nutrirsi della Parola di Dio, per rendere efficace l’impegno della nuova evangelizzazione, dell’annuncio nei nostri tempi. Occorre ora che questa esperienza ecclesiale sia recata in ogni comunità; è necessario che si comprenda la necessità di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo cosı̀ diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone. Ciò richiede in primo 11 1 Pt 5, 4. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 780 luogo una conoscenza più intima di Cristo ed un ascolto sempre docile della sua parola. In quest’Anno Paolino, facendo nostre le parole dell’Apostolo: « guai a me se non predicassi il Vangelo »,12 auspico di cuore che in ogni comunità si avverta con più salda convinzione quest’anelito di Paolo come vocazione al servizio del Vangelo per il mondo. Ricordavo all’inizio dei lavori sinodali l’appello di Gesù: « la messe è molta »,13 appello a cui non dobbiamo mai stancarci di rispondere malgrado le difficoltà che possiamo incontrare. Tanta gente è alla ricerca, talora persino senza rendersene conto, dell’incontro con Cristo e col suo Vangelo; tanti hanno bisogno di ritrovare in Lui il senso della loro vita. Dare chiara e condivisa testimonianza di una vita secondo la Parola di Dio, attestata da Gesù, diventa pertanto indispensabile criterio di verifica della missione della Chiesa. Le letture che la liturgia offre oggi alla nostra meditazione ci ricordano che la pienezza della Legge, come di tutte le Scritture divine, è l’amore. Chi dunque crede di aver compreso le Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a costruire, mediante la loro intelligenza, il duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra in realtà di essere ancora lontano dall’averne colto il senso profondo. Ma come mettere in pratica questo comandamento, come vivere l’amore di Dio e dei fratelli senza un contatto vivo e intenso con le Sacre Scritture? Il Concilio Vaticano II afferma essere « necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura »,14 perché le persone, incontrando la verità, possano crescere nell’amore autentico. Si tratta di un requisito oggi indispensabile per l’evangelizzazione. E poiché non di rado l’incontro con la Scrittura rischia di non essere « un fatto » di Chiesa, ma esposto al soggettivismo e all’arbitrarietà, diventa indispensabile una promozione pastorale robusta e credibile della conoscenza della Sacra Scrittura, per annunciare, celebrare e vivere la Parola nella comunità cristiana, dialogando con le culture del nostro tempo, mettendosi al servizio della verità e non delle ideologie correnti e incrementando il dialogo che Dio vuole avere con tutti gli uomini.15 A questo scopo va curata in modo speciale la preparazione dei pastori, preposti poi alla necessaria azione di diffondere la pratica biblica con opportuni sussidi. Vanno incoraggiati gli sforzi in atto per suscitare il 12 13 14 15 1 Cor 9, 16. Mt 9, 37. Cost. Dei Verbum, 22. Cfr ibid., 21. Acta Benedicti Pp. XVI 781 movimento biblico tra i laici, la formazione degli animatori dei gruppi, con particolare attenzione ai giovani. È da sostenere lo sforzo di far conoscere la fede attraverso la Parola di Dio anche a chi è « lontano » e specialmente a quanti sono in sincera ricerca del senso della vita. Molte altre riflessioni sarebbero da aggiungere, ma mi limito infine a sottolineare che il luogo privilegiato in cui risuona la Parola di Dio, che edifica la Chiesa, come è stato detto tante volte nel Sinodo, è senza dubbio la liturgia. In essa appare che la Bibbia è il libro di un popolo e per un popolo; un’eredità, un testamento consegnato a lettori, perché attualizzino nella loro vita la storia di salvezza testimoniata nello scritto. Vi è pertanto un rapporto di reciproca vitale appartenenza tra popolo e Libro: la Bibbia rimane un Libro vivo con il popolo, suo soggetto, che lo legge; il popolo non sussiste senza il Libro, perché in esso trova la sua ragion d’essere, la sua vocazione, la sua identità. Questa mutua appartenenza fra popolo e Sacra Scrittura è celebrata in ogni assemblea liturgica, la quale, grazie allo Spirito Santo, ascolta Cristo, poiché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Scrittura e si accoglie l’alleanza che Dio rinnova con il suo popolo. Scrittura e liturgia convergono, dunque, nell’unico fine di portare il popolo al dialogo con il Signore e all’obbedienza alla volontà del Signore. La Parola uscita dalla bocca di Dio e testimoniata nelle Scritture torna a Lui in forma di risposta orante, di risposta vissuta, di risposta sgorgante dall’amore.16 Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché dal rinnovato ascolto della Parola di Dio, sotto l’azione dello Spirito Santo, possa sgorgare un autentico rinnovamento nella Chiesa universale, ed in ogni comunità cristiana. Affidiamo i frutti di questa Assemblea sinodale alla materna intercessione della Vergine Maria. A Lei affido anche la II Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa, che si svolgerà a Roma nell’ottobre del prossimo anno. È mia intenzione recarmi nel marzo prossimo in Camerun per consegnare ai rappresentanti delle Conferenze Episcopali dell’Africa l’Instrumentum laboris di tale Assemblea sinodale. Di lı̀ proseguirò, a Dio piacendo, per l’Angola, per celebrare solennemente il 500o anniversario di evangelizzazione del Paese. Maria Santissima, che ha offerto la sua vita come « serva del Signore », perché tutto si compisse in conformità ai divini voleri 17 e che ha esortato a fare tutto ciò che Gesù avrebbe detto,18 ci insegni a riconoscere nella nostra vita il primato della Parola che sola ci può dare salvezza. E cosı̀ sia! 16 17 18 Cfr Is 55, 10-11. Cfr Lc 1, 38. Cfr Gv 2, 5. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 782 ALLOCUTIONES I Die quo Summus Pontifex publica auctoritate invisit Praesidem Reipublicae Italicae, Exc.mum Virum Georgium Napolitano.* Signor Presidente, è con vero piacere che varco nuovamente la soglia di questo palazzo, dove sono stato accolto per la prima volta a poche settimane dall’inizio del mio ministero di Vescovo di Roma e di Pastore della Chiesa universale. Entro in questa Sua residenza ufficiale, Signor Presidente, simbolica casa di tutti gli italiani, con memore gratitudine per la cortese visita che Ella ha voluto rendermi nel novembre 2006 in Vaticano, subito dopo la Sua elezione alla Suprema Magistratura della Repubblica Italiana. L’odierna circostanza mi è propizia per rinnovarLe i sentimenti della mia riconoscenza anche per il non dimenticato, e quanto mai gradito, dono del concerto musicale di alto valore artistico, che Ella ha voluto offrirmi il 24 aprile scorso. È pertanto con viva gratitudine che porgo a Lei, Signor Presidente, alla Sua gentile consorte e a tutti coloro che sono qui convenuti il mio deferente e cordiale saluto. Questo mio saluto è diretto in modo speciale alle distinte Autorità preposte alla guida dello Stato italiano, alle illustri Personalità qui presenti, e si estende all’intero Popolo d’Italia, a me molto caro, erede di una secolare tradizione di civiltà e di valori cristiani. Questa mia visita, la visita del Romano Pontefice al Quirinale, non è solo un atto che si inserisce nel contesto delle molteplici relazioni fra la Santa Sede e l’Italia, ma assume, potremmo dire, un valore ben più profondo e simbolico. Qui, infatti, vari miei Predecessori vissero e da qui governarono la Chiesa universale per oltre due secoli, sperimentando anche prove e persecuzioni, come fu per i Pontefici Pio VI e Pio VII, entrambi strappati con violenza alla loro sede episcopale e trascinati in esilio. Il Quirinale, che nel corso dei secoli è stato testimone di tante liete e di alcune tristi pagine di storia del Papato, conserva molti segni della promozione dell’arte e della cultura da parte dei Sommi Pontefici. In un certo momento della storia questo palazzo diventò quasi un segno di contraddizione, quando, da una parte, l’Italia anelava a comporsi in uno * Die 4 Octobris 2008. Acta Benedicti Pp. XVI 783 Stato unitario e, dall’altra, la Santa Sede era preoccupata di conservare la propria indipendenza a garanzia della propria missione universale. Un contrasto durato alcuni decenni, che fu causa di sofferenza per coloro che sinceramente amavano e la Patria e la Chiesa. Mi riferisco alla complessa « questione romana », composta in modo definitivo e irrevocabile da parte della Santa Sede con la firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio del 1929. Sul finire del 1939, a dieci anni dal Trattato Lateranense, avvenne la prima visita compiuta da un Pontefice al Quirinale dopo il 1870. In quella circostanza, il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Pio XII, del quale ricordiamo in questo mese il 50o della morte, cosı̀ ebbe ad esprimersi con immagini quasi poetiche: « Il Vaticano e il Quirinale, che il Tevere divide, sono riuniti dal vincolo della pace coi ricordi della religione dei padri e degli avi. Le onde tiberine hanno travolto e sepolto nei gorghi del Tirreno i torbidi flutti del passato e fatto rifiorire le sue sponde dei rami d’olivo ».1 Davvero si può oggi affermare con soddisfazione che nella città di Roma convivono pacificamente e collaborano fruttuosamente lo Stato Italiano e la Sede Apostolica. Anche questa mia visita sta a confermare che il Quirinale e il Vaticano non sono colli che si ignorano o si fronteggiano astiosamente; sono piuttosto luoghi che simboleggiano il vicendevole rispetto della sovranità dello Stato e della Chiesa, pronti a cooperare insieme per promuovere e servire il bene integrale della persona umana e il pacifico svolgimento della convivenza sociale. È questa — mi piace ribadirlo — una positiva realtà verificabile quasi quotidianamente a diversi livelli, e alla quale anche altri Stati possono guardare per trarne utili insegnamenti. Signor Presidente, l’odierna mia visita ha luogo nel giorno in cui l’Italia celebra con grande solennità il suo speciale Protettore, San Francesco d’Assisi. Fra l’altro, proprio a San Francesco Pio XI fece riferimento nell’annunciare la firma dei Patti Lateranensi e soprattutto la costituzione dello Stato della Città del Vaticano: per quel Pontefice la nuova realtà sovrana era, come per il Poverello, « quel tanto di corpo che bastava per tenersi unita l’anima ».2 Insieme a Santa Caterina da Siena, San Francesco fu proposto dai Vescovi italiani e confermato dal Servo di Dio Pio XII come celeste Patrono d’Italia.3 Alla protezione di questo grande santo ed illustre italiano Papa Pacelli volle affidare le sorti dell’Italia, in un momento in cui minacce di guerra si adden1 2 3 Discorso del 28 dicembre 1939. Discorso dell’11 febbraio 1929. Cfr Litt. ap. Licet commissa del 18 giugno 1939; AAS XXXI [1939], 256-257. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 784 savano sull’Europa, coinvolgendo drammaticamente anche il vostro « bel Paese ». La scelta di San Francesco come Patrono d’Italia trae, pertanto, le sue ragioni dalla profonda corrispondenza fra la personalità e l’azione del Poverello d’Assisi e la nobile Nazione italiana. Come ebbe a ricordare il Servo di Dio Giovanni Paolo II nella sua visita al Quirinale, compiuta in questo stesso giorno del 1985, « difficilmente si potrebbe trovare un’altra figura che incarni in sé in modo altrettanto ricco e armonioso le caratteristiche proprie del genio italico ». « In un tempo in cui l’affermarsi dei liberi Comuni andava suscitando fermenti di rinnovamento sociale, economico e politico, che sommuovevano dalle fondamenta il vecchio mondo feudale, — continuava Papa Wojtyła — Francesco seppe elevarsi tra le fazioni in lotta, predicando il Vangelo della pace e dell’amore, in piena fedeltà alla Chiesa di cui si sentiva figlio, e in totale adesione al popolo, di cui si riconosceva parte ».4 In questo Santo, la cui figura attrae credenti e non credenti, possiamo scorgere l’immagine di quella che è la perenne missione della Chiesa, pure nel suo rapporto con la società civile. La Chiesa, nell’epoca attuale di profonde e spesso sofferte mutazioni, continua a proporre a tutti il messaggio di salvezza del Vangelo e si impegna a contribuire all’edificazione di una società fondata sulla verità e la libertà, sul rispetto della vita e della dignità umana, sulla giustizia e sulla solidarietà sociale. Dunque, come ho ricordato in altre circostanze, « la Chiesa non si propone mire di potere, né pretende privilegi o aspira a posizioni di vantaggio economico e sociale. Suo solo scopo è servire l’uomo, ispirandosi, come norma suprema di condotta, alle parole e all’esempio di Gesù Cristo che ‘‘passò beneficando e risanando tutti’’ (At 10, 38) ».5 Per portare a compimento questa sua missione, la Chiesa ovunque e sempre deve poter godere del diritto di libertà religiosa, considerato in tutta la sua ampiezza. All’Assemblea delle Nazioni Unite, in quest’anno che commemora il 60o della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ho voluto ribadire che « non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale ».6 Questo contributo all’edificazione della società la Chiesa lo offre in maniera pluriforme, essendo 4 5 6 Discorso del 4 ottobre 1985. Discorso del 4 ottobre 2007. Discorso del 18 aprile 2008. Acta Benedicti Pp. XVI 785 un corpo con molte membra, una realtà al tempo stesso spirituale e visibile, nella quale i membri hanno vocazioni, compiti e ruoli diversificati. Particolare responsabilità essa avverte nei confronti delle nuove generazioni: con urgenza, infatti, emerge oggi il problema dell’educazione, chiave indispensabile per consentire l’accesso ad un futuro ispirato ai perenni valori dell’umanesimo cristiano. La formazione dei giovani è, pertanto, impresa nella quale anche la Chiesa si sente coinvolta, insieme con la famiglia e la scuola. Essa infatti è ben consapevole dell’importanza che l’educazione riveste nell’apprendimento della libertà autentica, presupposto necessario per un positivo servizio al bene comune. Solo un serio impegno educativo permetterà di costruire una società solidale, realmente animata dal senso della legalità. Signor Presidente, mi piace qui rinnovare l’auspicio che le comunità cristiane e le molteplici realtà ecclesiali italiane sappiano formare le persone, in modo speciale i giovani, anche come cittadini responsabili ed impegnati nella vita civile. Sono certo che i Pastori e i fedeli continueranno a dare il loro importante contributo per costruire, anche in questi momenti di incertezza economica e sociale, il bene comune del Paese, come pure dell’Europa e dell’intera famiglia umana, prestando particolare attenzione verso i poveri e gli emarginati, i giovani in cerca di occupazione e chi è senza lavoro, le famiglie e gli anziani che con fatica e impegno hanno costruito il nostro presente e meritano per questo la gratitudine di tutti. Mi auguro altresı̀ che l’apporto della Comunità cattolica venga da tutti accolto con lo stesso spirito di disponibilità con il quale viene offerto. Non vi è ragione di temere una prevaricazione ai danni della libertà da parte della Chiesa e dei suoi membri, i quali peraltro si attendono che venga loro riconosciuta la libertà di non tradire la propria coscienza illuminata dal Vangelo. Ciò sarà ancor più agevole se mai verrà dimenticato che tutte le componenti della società devono impegnarsi, con rispetto reciproco, a conseguire nella comunità quel vero bene dell’uomo di cui i cuori e le menti della gente italiana, nutriti da venti secoli di cultura impregnata di Cristianesimo, sono ben consapevoli. Signor Presidente, da questo luogo cosı̀ significativo, voglio rinnovare l’espressione del mio affetto, anzi della mia predilezione per questa amata Nazione. Per Lei e per tutti gli italiani e le italiane assicuro la mia preghiera, invocando la materna protezione di Maria, venerata con tanta devozione in ogni angolo della Penisola e delle Isole, dal nord al sud, come ho modo di costatare anche in occasione delle mie visite pastorali. Nel congedarmi, faccio mia l’esortazione che con accenti poetici il Beato Giovanni XXIII, pellegrino Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 786 ad Assisi alla vigilia del Concilio Vaticano II, indirizzò all’Italia: « Tu, Italia diletta, alle cui sponde venne a fermarsi la barca di Pietro — e per questo motivo, primieramente, da tutti i lidi vengono a te, che sai accoglierle con sommo rispetto e amore, le genti tutte dell’universo — possa tu custodire il testamento sacro, che ti impegna in faccia al cielo e alla terra ».7 Iddio protegga e benedica l’Italia e tutti i suoi abitanti! 7 Discorso del 4 ottobre 1962. Acta Benedicti Pp. XVI 787 II Decima recurrente anniversaria memoria a vulgatis Litteris Encyclicis Fides et Ratio.* Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Gentili Signore, Illustri Signori! Sono lieto di incontrarvi in occasione del Congresso opportunamente promosso nel decimo anniversario dell’Enciclica Fides et ratio. Ringrazio innanzitutto Mons. Rino Fisichella per le cordiali parole che mi ha rivolto introducendo l’odierno incontro. Mi rallegro che le giornate di studio del vostro Congresso vedano la fattiva collaborazione tra l’Università Lateranense, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Conferenza Mondiale delle Istituzioni Universitarie Cattoliche di Filosofia. Una simile collaborazione è sempre auspicabile, soprattutto quando si è chiamati a dare ragione della propria fede dinanzi alle sempre più complesse sfide che coinvolgono i credenti nel mondo contemporaneo. A dieci anni di distanza, uno sguardo attento all’Enciclica Fides et ratio permette di coglierne con ammirazione la perdurante attualità: si rivela in essa la lungimirante profondità dell’indimenticabile mio Predecessore. L’Enciclica, in effetti, si caratterizza per la sua grande apertura nei confronti della ragione, soprattutto in un periodo in cui ne viene teorizzata la debolezza. Giovanni Paolo II sottolinea invece l’importanza di coniugare fede e ragione nella loro reciproca relazione, pur nel rispetto della sfera di autonomia propria di ciascuna. Con questo magistero, la Chiesa si è fatta interprete di un’esigenza emergente nell’attuale contesto culturale. Ha voluto difendere la forza della ragione e la sua capacità di raggiungere la verità, presentando ancora una volta la fede come una peculiare forma di conoscenza, grazie alla quale ci si apre alla verità della Rivelazione.1 Si legge nell’Enciclica che bisogna avere fiducia nelle capacità della ragione umana e non prefiggersi mete troppo modeste: « È la fede che provoca la ragione a uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello, buono e vero. * Die 16 Octobris 2008. 1 Cfr Fides et ratio, 13. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 788 La fede si fa cosı̀ avvocato convinto e convincente della ragione ».2 Lo scorrere del tempo, del resto, manifesta quali traguardi la ragione, mossa dalla passione per la verità, abbia saputo raggiungere. Chi potrebbe negare il contributo che i grandi sistemi filosofici hanno recato allo sviluppo dell’autoconsapevolezza dell’uomo e al progresso delle varie culture? Queste, peraltro, diventano feconde quando si aprono alla verità, permettendo a quanti ne partecipano di raggiungere obiettivi che rendono sempre più umano il vivere sociale. La ricerca della verità dà i suoi frutti soprattutto quando è sostenuta dall’amore per la verità. Ha scritto Agostino: « Ciò che si possiede con la mente si ha conoscendolo, ma nessun bene è conosciuto perfettamente se non si ama perfettamente ».3 Non possiamo nasconderci, tuttavia, che si è verificato uno slittamento da un pensiero prevalentemente speculativo a uno maggiormente sperimentale. La ricerca si è volta soprattutto all’osservazione della natura nel tentativo di scoprirne i segreti. Il desiderio di conoscere la natura si è poi trasformato nella volontà di riprodurla. Questo cambiamento non è stato indolore: l’evolversi dei concetti ha intaccato il rapporto tra la fides e la ratio con la conseguenza di portare l’una e l’altra a seguire strade diverse. La conquista scientifica e tecnologica, con cui la fides è sempre più provocata a confrontarsi, ha modificato l’antico concetto di ratio; in qualche modo, ha emarginato la ragione che ricercava la verità ultima delle cose per fare spazio ad una ragione paga di scoprire la verità contingente delle leggi della natura. La ricerca scientifica ha certamente il suo valore positivo. La scoperta e l’incremento delle scienze matematiche, fisiche, chimiche e di quelle applicate sono frutto della ragione ed esprimono l’intelligenza con la quale l’uomo riesce a penetrare nelle profondità del creato. La fede, da parte sua, non teme il progresso della scienza e gli sviluppi a cui conducono le sue conquiste quando queste sono finalizzate all’uomo, al suo benessere e al progresso di tutta l’umanità. Come ricordava l’ignoto autore della Lettera a Diogneto: « Non l’albero della scienza uccide, ma la disobbedienza. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera ».4 Avviene, tuttavia, che non sempre gli scienziati indirizzino le loro ricerche verso questi scopi. Il facile guadagno o, peggio ancora, l’arroganza di sostituirsi al Creatore svolgono, a volte, un ruolo determinante. È questa una 2 3 4 N. 56. De diversis quaestionibus 35, 2. XII, 2.4. Acta Benedicti Pp. XVI 789 forma di hybris della ragione, che può assumere caratteristiche pericolose per la stessa umanità. La scienza, d’altronde, non è in grado di elaborare principi etici; essa può solo accoglierli in sé e riconoscerli come necessari per debellare le sue eventuali patologie. La filosofia e la teologia diventano, in questo contesto, degli aiuti indispensabili con cui occorre confrontarsi per evitare che la scienza proceda da sola in un sentiero tortuoso, colmo di imprevisti e non privo di rischi. Ciò non significa affatto limitare la ricerca scientifica o impedire alla tecnica di produrre strumenti di sviluppo; consiste, piuttosto, nel mantenere vigile il senso di responsabilità che la ragione e la fede possiedono nei confronti della scienza, perché permanga nel solco del suo servizio all’uomo. La lezione di sant’Agostino è sempre carica di significato anche nell’attuale contesto: « A che cosa perviene — si domanda il santo Vescovo di Ippona — chi sa ben usare la ragione, se non alla verità? Non è la verità che perviene a se stessa con il ragionamento, ma è essa che cercano quanti usano la ragione... Confessa di non essere tu ciò che è la verità, poiché essa non cerca se stessa; tu invece sei giunto ad essa non già passando da un luogo all’altro, ma cercandola con la disposizione della mente ».5 Come dire: da qualsiasi parte avvenga la ricerca della verità, questa permane come dato che viene offerto e che può essere riconosciuto già presente nella natura. L’intelligibilità della creazione, infatti, non è frutto dello sforzo dello scienziato, ma condizione a lui offerta per consentirgli di scoprire la verità in essa presente. « Il ragionamento non crea queste verità — continua nella sua riflessione sant’Agostino — ma le scopre. Esse perciò sussistono in sé prima ancora che siano scoperte e una volta scoperte ci rinnovano ».6 La ragione, insomma, deve compiere in pieno il suo percorso, forte della sua autonomia e della sua ricca tradizione di pensiero. La ragione, peraltro, sente e scopre che, oltre a ciò che ha già raggiunto e conquistato, esiste una verità che non potrà mai scoprire partendo da se stessa, ma solo ricevere come dono gratuito. La verità della Rivelazione non si sovrappone a quella raggiunta dalla ragione; purifica piuttosto la ragione e la innalza, permettendole cosı̀ di dilatare i propri spazi per inserirsi in un campo di ricerca insondabile come il mistero stesso. La verità rivelata, nella « pienezza dei tempi »,7 ha assunto il volto di una persona, Gesù di Nazaret, che porta la risposta ultima e definitiva alla domanda di senso di 5 6 7 De vera religione, 39, 72. Ibid., 39, 73. Galati 4, 4. 790 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale ogni uomo. La verità di Cristo, in quanto tocca ogni persona in cerca di gioia, di felicità e di senso, supera di gran lunga ogni altra verità che la ragione può trovare. È intorno al mistero, pertanto, che la fides e la ratio trovano la possibilità reale di un percorso comune. In questi giorni, si sta svolgendo il Sinodo dei Vescovi sul tema « La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa ». Come non vedere la provvidenziale coincidenza di questo momento con il vostro Congresso. La passione per la verità ci spinge a rientrare in noi stessi per cogliere nell’uomo interiore il senso profondo della nostra vita. Una vera filosofia dovrà condurre per mano ogni persona e farle scoprire quanto fondamentale sia per la sua stessa dignità conoscere la verità della Rivelazione. Davanti a questa esigenza di senso che non dà tregua fino a quando non sfocia in Gesù Cristo, la Parola di Dio rivela il suo carattere di risposta definitiva. Una Parola di rivelazione che diventa vita e che chiede di essere accolta come sorgente inesauribile di verità. Mentre auguro a ciascuno di avvertire sempre in sé questa passione per la verità, e di fare quanto è in suo potere per soddisfarne le richieste, desidero assicurarvi che seguo con apprezzamento e simpatia il vostro impegno, accompagnando la vostra ricerca anche con la mia preghiera. A conferma di questi sentimenti imparto volentieri a voi qui presenti ed ai vostri cari l’Apostolica Benedizione. Acta Benedicti Pp. XVI 791 III Dum quinquaginta explentur anni ab electione Summi Pontificis Beati Ioannis XXIII.* Signor Cardinale Segretario di Stato, Venerati Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Sono lieto di poter condividere con voi questo gesto di omaggio al Beato Giovanni XXIII, mio amato Predecessore, nell’anniversario della sua elezione alla Cattedra di Pietro. Mi rallegro con voi dell’iniziativa e rendo grazie al Signore che ci concede di rivivere l’annuncio di « grande gioia » (gaudium magnum) risuonato cinquant’anni or sono in questo giorno e in quest’ora dalla Loggia della Basilica Vaticana. Fu un preludio e una profezia dell’esperienza di paternità, che Dio ci avrebbe offerto abbondantemente attraverso le parole, i gesti e il servizio ecclesiale del Papa Buono. La grazia di Dio andava preparando una stagione impegnativa e promettente per la Chiesa e per la società, e trovò nella docilità allo Spirito Santo, che distinse l’intera vita di Giovanni XXIII, il terreno buono per far germogliare la concordia, la speranza, l’unità e la pace, a bene dell’intera umanità. Papa Giovanni indicò la fede in Cristo e l’appartenenza alla Chiesa, madre e maestra, quale garanzia di feconda testimonianza cristiana nel mondo. Cosı̀, nelle forti contrapposizioni del suo tempo, il Papa fu uomo e pastore di pace, che seppe aprire in Oriente e in Occidente inaspettati orizzonti di fraternità tra i cristiani e di dialogo con tutti. La diocesi di Bergamo è in festa e non poteva mancare all’incontro spirituale col suo figlio più illustre, « un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore », come egli stesso ebbe a dire. Accanto alla Confessione dell’Apostolo Pietro riposano le sue venerate spoglie mortali. Da questo luogo caro a tutti i battezzati, egli vi ripete: « Sono Giuseppe, vostro fratello ». Siete venuti per riaffermare i legami comuni e la fede li apre ad una dimensione veramente cattolica. Per questo avete voluto incontrare il Vescovo di Roma, che è Padre universale. Vi guida il vostro pastore, Mons. Roberto Amadei, accompagnato dal Vescovo Ausiliare. Sono grato a Mons. Amadei per le * Die 28 Octobris 2008. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 792 amabili parole rivoltemi a nome di tutti ed estendo a ciascuno l’espressione della mia gratitudine per l’affetto e la devozione che vi animano. Mi sento incoraggiato dalla vostra preghiera, mentre vi esorto a seguire l’esempio e l’insegnamento del Papa vostro conterraneo. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II lo proclamò beato, riconoscendo che le tracce della sua santità di padre e di pastore continuavano a risplendere davanti all’intera famiglia umana. Nella Santa Messa presieduta dal Signor Cardinale Segretario di Stato la Parola di Dio vi ha accolti e introdotti nel grazie perfetto di Cristo al Padre. In Lui incontriamo i Santi e i Beati, e quanti ci hanno preceduto nel segno della fede. La loro eredità viene posta nelle nostre mani. Un dono veramente speciale, offerto alla Chiesa con Giovanni XXIII, fu il Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui deciso, preparato e iniziato. Siamo tutti impegnati ad accogliere in modo adeguato quel dono, continuando a meditarne gli insegnamenti e a tradurne nella vita le indicazioni operative. È quanto voi stessi avete cercato di fare in questi anni, come singoli e come comunità diocesana. In particolare, vi siete di recente impegnati nel Sinodo diocesano, dedicato alla parrocchia: in esso siete tornati alla sorgente conciliare per attingervi quel supplemento di luce e di calore che si rivela necessario per riportare la parrocchia ad essere un’articolazione viva e dinamica della comunità diocesana. È nella parrocchia che si impara a vivere concretamente la propria fede. Ciò consente di mantenere viva la ricca tradizione del passato e di riproporne i valori in un ambiente sociale secolarizzato, che si presenta spesso ostile o indifferente. Proprio pensando a situazioni di questo genere Papa Giovanni ebbe a dire nell’Enciclica Pacem in terris: il credente « deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificante nella massa: e tanto più lo sarà quanto più, nella intimità di se stesso, vive in comunione con Dio ».1 Questo fu il programma di vita del grande Pontefice e questo può diventare l’ideale di ogni credente e di ogni comunità cristiana che sappia attingere, nella Celebrazione eucaristica, alla fonte dell’amore gratuito, fedele e misericordioso del Crocifisso risorto. Mi si consenta di riservare un accenno particolare alla famiglia, soggetto centrale della vita ecclesiale, grembo di educazione alla fede e cellula insostituibile della vita sociale. Al riguardo, il futuro Papa Giovanni scriveva in una lettera ai familiari: « L’educazione che lascia tracce più profonde è sempre quella della casa. Io ho dimenticato molto di ciò che ho letto sui libri, ma ricordo 1 N. 162. Acta Benedicti Pp. XVI 793 ancora benissimo tutto quello che ho appreso dai genitori e dai vecchi ».2 In particolare, nella famiglia si impara a vivere nel quotidiano il fondamentale precetto cristiano dell’amore. Proprio per questo sulla famiglia conta la Chiesa, che ha la missione di manifestare ovunque, per mezzo dei suoi figli, « la grandezza della carità cristiana, di cui null’altro è più valido per estirpare i semi della discordia, nulla è più efficace per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti ».3 Ritornando, per concludere, alla parrocchia, tema del Sinodo diocesano, voi conoscete la sollecitudine di Papa Giovanni XXIII per questo organismo tanto importante nella vita ecclesiale. Con molta fiducia Papa Roncalli affidava alla parrocchia, famiglia di famiglie, il compito di alimentare tra i fedeli i sentimenti di comunione e di fraternità. Plasmata dall’Eucaristia, la parrocchia potrà diventare — egli pensava — fermento di salutare inquietudine nel diffuso consumismo e individualismo del nostro tempo, risvegliando la solidarietà ed aprendo nella fede l’occhio del cuore a riconoscere il Padre, che è amore gratuito, desideroso di condividere con i figli la sua stessa gioia. Cari amici, vi ha accompagnati a Roma l’immagine della Madonna che Papa Giovanni ricevette in dono nella visita a Loreto, a pochi giorni dall’apertura del Concilio. Egli volle che la statua fosse collocata nel Seminario Vescovile a lui intitolato nella diocesi natale e vedo con gioia che sono tanti i seminaristi entusiasti della loro vocazione. Affido volentieri alla Madre di Dio tutte le famiglie e le parrocchie, proponendo loro il modello della Santa Famiglia di Nazaret: siano esse il primo seminario e sappiano far crescere nel proprio ambito vocazioni al sacerdozio, alla missione, alla consacrazione religiosa, alla vita familiare secondo il cuore di Cristo. In una celebre visita durante i primi mesi del suo Pontificato, il Beato chiese ai suoi uditori quale fosse, secondo loro, il senso dell’incontro, e si diede da solo la risposta: « Il Papa ha messo i suoi occhi nei vostri occhi e il suo cuore accanto al vostro cuore ».4 Prego Papa Giovanni perché ci conceda di sperimentare la vicinanza del suo sguardo e del suo cuore, cosı̀ da sentirci veramente famiglia di Dio. Con questi auspici, imparto ben volentieri ai pellegrini bergamaschi, e particolarmente a quelli di Sotto il Monte, paese natale del Beato Pontefice, dove ho avuto la gioia di recarmi anni fa, come alle autorità, ai fedeli romani e orientali qui presenti, e a tutte le persone care, la mia affettuosa Benedizione. 2 3 4 20 dicembre 1932. Gaudet Mater Ecclesia, 33. Nel primo Natale da Papa, 1958. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 794 IV Ad Internationalem Hebraicum Comitatum pro Interreligiosis consultationibus.* Dear Friends, I am pleased to welcome this delegation of the International Jewish Committee on Interreligious Consultations. For over thirty years your Committee and the Holy See have had regular and fruitful contacts, which have contributed to greater understanding and acceptance between Catholics and Jews. I gladly take this occasion to reaffirm the Church’s commitment to implementing the principles set forth in the historic Declaration Nostra Aetate of the Second Vatican Council. That Declaration, which firmly condemned all forms of anti-Semitism, represented both a significant milestone in the long history of Catholic-Jewish relations and a summons to a renewed theological understanding of the relations between the Church and the Jewish People. Christians today are increasingly conscious of the spiritual patrimony they share with the people of the Torah, the people chosen by God in his inexpressible mercy, a patrimony that calls for greater mutual appreciation, respect and love.1 Jews too are challenged to discover what they have in common with all who believe in the Lord, the God of Israel, who first revealed himself through his powerful and life-giving Word. As the Psalmist reminds us, God’s Word is a lamp and a light to our path; it keeps us alive and gives us new life.2 That word spurs us to bear common witness to God’s love, mercy and truth. This is a vital service in our own time, threatened by the loss of the spiritual and moral values which guarantee human dignity, solidarity, justice and peace. In our troubled world, so frequently marked by poverty, violence and exploitation, dialogue between cultures and religions must more and more be seen as a sacred duty incumbent upon all those who are committed to building a world worthy of man. The ability to accept and respect one another, and to speak the truth in love, is essential for overcoming differences, preventing misunderstandings and avoiding needless confrontations. As you yourselves have experienced through the years in the meetings of the Inter* Die 30 Octobris 2008. 1 2 Cfr Nostra Aetate, 4. Cfr Ps 119:105. Acta Benedicti Pp. XVI 795 national Liaison Committee, dialogue is only serious and honest when it respects differences and recognizes others precisely in their otherness. A sincere dialogue needs both openness and a firm sense of identity on both sides, in order for each to be enriched by the gifts of the other. In recent months, I have had the pleasure of meeting with Jewish communities in New York, Paris and here in the Vatican. I thank the Lord for these encounters, and for the progress in Catholic-Jewish relations which they reflect. In this spirit, then, I encourage you to persevere in your important work with patience and renewed commitment. I offer you my prayerful good wishes as your Committee prepares to meet next month in Budapest with a delegation of the Holy See’s Commission for Religious Relations with the Jews, in order to discuss the theme: ‘‘Religion and Civil Society Today’’. With these sentiments, dear friends, I ask the Almighty to continue to watch over you and your families, and to guide your steps in the way of peace. 796 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale V Ad Plenariam Sessionem Pontificiae Academiae Scientiarum.* Distinguished Ladies and Gentlemen, I am happy to greet you, the members of the Pontifical Academy of Sciences, on the occasion of your Plenary Assembly, and I thank Professor Nicola Cabibbo for the words he has kindly addressed to me on your behalf. In choosing the topic Scientific Insight into the Evolution of the Universe and of Life, you seek to focus on an area of enquiry which elicits much interest. In fact, many of our contemporaries today wish to reflect upon the ultimate origin of beings, their cause and their end, and the meaning of human history and the universe. In this context, questions concerning the relationship between science’s reading of the world and the reading offered by Christian Revelation naturally arise. My predecessors Pope Pius XII and Pope John Paul II noted that there is no opposition between faith’s understanding of creation and the evidence of the empirical sciences. Philosophy in its early stages had proposed images to explain the origin of the cosmos on the basis of one or more elements of the material world. This genesis was not seen as a creation, but rather a mutation or transformation; it involved a somewhat horizontal interpretation of the origin of the world. A decisive advance in understanding the origin of the cosmos was the consideration of being qua being and the concern of metaphysics with the most basic question of the first or transcendent origin of participated being. In order to develop and evolve, the world must first be, and thus have come from nothing into being. It must be created, in other words, by the first Being who is such by essence. To state that the foundation of the cosmos and its developments is the provident wisdom of the Creator is not to say that creation has only to do with the beginning of the history of the world and of life. It implies, rather, that the Creator founds these developments and supports them, underpins them and sustains them continuously. Thomas Aquinas taught that the notion of creation must transcend the horizontal origin of the unfolding of events, which is history, and consequently all our purely naturalistic ways * Die 31 Octobris 2008. Acta Benedicti Pp. XVI 797 of thinking and speaking about the evolution of the world. Thomas observed that creation is neither a movement nor a mutation. It is instead the foundational and continuing relationship that links the creature to the Creator, for he is the cause of every being and all becoming.1 To ‘‘evolve’’ literally means ‘‘to unroll a scroll’’, that is, to read a book. The imagery of nature as a book has its roots in Christianity and has been held dear by many scientists. Galileo saw nature as a book whose author is God in the same way that Scripture has God as its author. It is a book whose history, whose evolution, whose ‘‘writing’’ and meaning, we ‘‘read’’ according to the different approaches of the sciences, while all the time presupposing the foundational presence of the author who has wished to reveal himself therein. This image also helps us to understand that the world, far from originating out of chaos, resembles an ordered book; it is a cosmos. Notwithstanding elements of the irrational, chaotic and the destructive in the long processes of change in the cosmos, matter as such is ‘‘legible’’. It has an inbuilt ‘‘mathematics’’. The human mind therefore can engage not only in a ‘‘cosmography’’ studying measurable phenomena but also in a ‘‘cosmology’’ discerning the visible inner logic of the cosmos. We may not at first be able to see the harmony both of the whole and of the relations of the individual parts, or their relationship to the whole. Yet, there always remains a broad range of intelligible events, and the process is rational in that it reveals an order of evident correspondences and undeniable finalities: in the inorganic world, between microstructure and macrostructure; in the organic and animal world, between structure and function; and in the spiritual world, between knowledge of the truth and the aspiration to freedom. Experimental and philosophical inquiry gradually discovers these orders; it perceives them working to maintain themselves in being, defending themselves against imbalances, and overcoming obstacles. And thanks to the natural sciences we have greatly increased our understanding of the uniqueness of humanity’s place in the cosmos. The distinction between a simple living being and a spiritual being that is capax Dei, points to the existence of the intellective soul of a free transcendent subject. Thus the Magisterium of the Church has constantly affirmed that ‘‘every spiritual soul is created immediately by God — it is not 1 Cfr Summa Theologiae, I, q. 45, a. 3. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 798 ‘produced’ by the parents — and also that it is immortal’’.2 This points to the distinctiveness of anthropology, and invites exploration of it by modern thought. Distinguished Academicians, I wish to conclude by recalling the words addressed to you by my predecessor Pope John Paul II in November 2003: ‘‘scientific truth, which is itself a participation in divine Truth, can help philosophy and theology to understand ever more fully the human person and God’s Revelation about man, a Revelation that is completed and perfected in Jesus Christ. For this important mutual enrichment in the search for the truth and the benefit of mankind, I am, with the whole Church, profoundly grateful’’. Upon you and your families, and all those associated with the work of the Pontifical Academy of Sciences, I cordially invoke God’s blessings of wisdom and peace. 2 Catechism of the Catholic Church, 366. Acta Benedicti Pp. XVI 799 VI Ad participes primi seminarii de Catholico-Macometana disceptatione.* Dear Friends, I am pleased to receive you this morning and I greet all of you most cordially. I thank especially Cardinal Jean-Louis Tauran as well as Shaykh Mustafa Ceriĺ and Mr Seyyed Hossein Nasr for their words. Our meeting takes place at the conclusion of the important Seminar organized by the ‘‘Catholic-Muslim Forum’’ established between the Pontifical Council for Interreligious Dialogue and representatives of the 138 Muslim leaders who signed the Open Letter to Christian leaders of 13 October 2007. This gathering is a clear sign of our mutual esteem and our desire to listen respectfully to one another. I can assure you that I have prayerfully followed the progress of your meeting, conscious that it represents one more step along the way towards greater understanding between Muslims and Christians within the framework of other regular encounters which the Holy See promotes with various Muslim groups. The Open Letter ‘‘A Common Word between us and you’’ has received numerous responses, and has given rise to dialogue, specific initiatives and meetings, aimed at helping us to know one another more deeply and to grow in esteem for our shared values. The great interest which the present Seminar has awakened is an incentive for us to ensure that the reflections and the positive developments which emerge from Muslim-Christian dialogue are not limited to a small group of experts and scholars, but are passed on as a precious legacy to be placed at the service of all, to bear fruit in the way we live each day. The theme which you have chosen for your meeting — ‘‘Love of God, Love of Neighbour: The Dignity of the Human Person and Mutual Respect’’ — is particularly significant. It was taken from the Open Letter, which presents love of God and love of neighbour as the heart of Islam and Christianity alike. This theme highlights even more clearly the theological and spiritual foundations of a central teaching of our respective religions. The Christian tradition proclaims that God is Love.1 It was out of love that he created the whole universe, and by his love he becomes present in * Die 6 Novembris 2008. 1 1 Jn 4:16. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 800 human history. The love of God became visible, manifested fully and definitively in Jesus Christ. He thus came down to meet man and, while remaining God, took on our nature. He gave himself in order to restore full dignity to each person and to bring us salvation. How could we ever explain the mystery of the incarnation and the redemption except by Love? This infinite and eternal love enables us to respond by giving all our love in return: love for God and love for neighbour. This truth, which we consider foundational, was what I wished to emphasize in my first Encyclical, Deus Caritas Est, since this is a central teaching of the Christian faith. Our calling and mission is to share freely with others the love which God lavishes upon us without any merit of our own. I am well aware that Muslims and Christians have different approaches in matters regarding God. Yet we can and must be worshippers of the one God who created us and is concerned about each person in every corner of the world. Together we must show, by our mutual respect and solidarity, that we consider ourselves members of one family: the family that God has loved and gathered together from the creation of the world to the end of human history. I was pleased to learn that you were able at this meeting to adopt a common position on the need to worship God totally and to love our fellow men and women disinterestedly, especially those in distress and need. God calls us to work together on behalf of the victims of disease, hunger, poverty, injustice and violence. For Christians, the love of God is inseparably bound to the love of our brothers and sisters, of all men and women, without distinction of race and culture. As Saint John writes: ‘‘Those who say, ‘I love God’, and hate their brothers or sisters are liars; for those who do not love a brother or sister whom they have seen, cannot love God whom they have not seen’’.2 The Muslim tradition is also quite clear in encouraging practical commitment in serving the most needy, and readily recalls the ‘‘Golden Rule’’ in its own version: your faith will not be perfect, unless you do unto others that which you wish for yourselves. We should thus work together in promoting genuine respect for the dignity of the human person and fundamental human rights, even though our anthropological visions and our theologies justify this in different ways. There is a great and vast field in which we can act together in defending and promoting the moral values which are part of our common heritage. Only by starting with the recognition of the centrality of the person 2 1 Jn 4:20. Acta Benedicti Pp. XVI 801 and the dignity of each human being, respecting and defending life which is the gift of God, and is thus sacred for Christians and for Muslims alike — only on the basis of this recognition, can we find a common ground for building a more fraternal world, a world in which confrontations and differences are peacefully settled, and the devastating power of ideologies is neutralized. My hope, once again, is that these fundamental human rights will be protected for all people everywhere. Political and religious leaders have the duty of ensuring the free exercise of these rights in full respect for each individual’s freedom of conscience and freedom of religion. The discrimination and violence which even today religious people experience throughout the world, and the often violent persecutions to which they are subject, represent unacceptable and unjustifiable acts, all the more grave and deplorable when they are carried out in the name of God. God’s name can only be a name of peace and fraternity, justice and love. We are challenged to demonstrate, by our words and above all by our deeds, that the message of our religions is unfailingly a message of harmony and mutual understanding. It is essential that we do so, lest we weaken the credibility and the effectiveness not only of our dialogue, but also of our religions themselves. I pray that the ‘‘Catholic-Muslim Forum’’, now confidently taking its first steps, can become ever more a space for dialogue, and assist us in treading together the path to an ever fuller knowledge of Truth. The present meeting is also a privileged occasion for committing ourselves to a more heartfelt quest for love of God and love of neighbour, the indispensable condition for offering the men and women of our time an authentic service of reconciliation and peace. Dear friends, let us unite our efforts, animated by good will, in order to overcome all misunderstanding and disagreements. Let us resolve to overcome past prejudices and to correct the often distorted images of the other which even today can create difficulties in our relations; let us work with one another to educate all people, especially the young, to build a common future. May God sustain us in our good intentions, and enable our communities to live consistently the truth of love, which constitutes the heart of the religious man, and is the basis of respect for the dignity of each person. May God, the merciful and compassionate One, assist us in this challenging mission, protect us, bless us and enlighten us always with the power of his love. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 802 VII Ad Congressum Internationalem de organorum donatione.* Venerati Confratelli nell’Episcopato, Illustri Signori e Signore! La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità. Esiste, infatti, una responsabilità dell’amore e della carità che impegna a fare della propria vita un dono per gli altri, se si vuole veramente realizzare se stessi. Come il Signore Gesù ci ha insegnato, solamente colui che dona la propria vita potrà salvarla.1 Nel salutare tutti i presenti, con un particolare pensiero per il Senatore Maurizio Sacconi, Ministro del Lavoro, della Salute e Politiche Sociali, ringrazio l’Arcivescovo Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per le parole che mi ha rivolto, illustrando il profondo significato di questo incontro e presentando la sintesi dei lavori congressuali. Insieme con lui, ringrazio anche il Presidente dell’International Federation of Catholic Medical Associations e il Direttore del Centro Nazionale Trapianti, sottolineando con apprezzamento il valore della collaborazione di tali Organismi in un ambito come quello del trapianto degli organi che è stato oggetto, illustri Signori e Signore, delle vostre giornate di studio e di dibattito. La storia della medicina mostra con evidenza i grandi progressi che si sono potuti realizzare per permettere una vita sempre più degna ad ogni persona che soffre. I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche. Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l’impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull’altruismo di * Die 7 Novembris 2008. 1 Cfr Lc 9, 24. Acta Benedicti Pp. XVI 803 quanti hanno donato i loro organi. Il problema della disponibilità di organi vitali da trapianto, purtroppo, non è teorico, ma drammaticamente pratico; esso è verificabile nella lunga lista d’attesa di tanti malati le cui uniche possibilità di sopravvivenza sono legate alle esigue offerte che non corrispondono ai bisogni oggettivi. È utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto; 2 la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento. Il corpo di ogni persona, insieme con lo spirito che è dato ad ognuno singolarmente, costituisce un’unità inscindibile in cui è impressa l’immagine di Dio stesso. Prescindere da questa dimensione conduce verso prospettive incapaci di cogliere la totalità del mistero presente in ognuno. È necessario, quindi, che in prima istanza si ponga il rispetto per la dignità della persona e la tutela della sua identità personale. Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato. Eventuali logiche di compravendita degli organi, come pure l’adozione di criteri discriminatori o utilitaristici, striderebbero talmente con il significato sotteso del dono che si porrebbero da sé fuori gioco, qualificandosi come atti moralmente illeciti. Gli abusi nei trapianti e il loro traffico, che spesso toccano persone innocenti quali i bambini, devono trovare la comunità scientifica e medica prontamente unite nel rifiutarli come pratiche inaccettabili. Esse pertanto vanno decisamente condannate come abominevoli. Lo stesso principio etico va ribadito quando si vuole giungere alla creazione e distruzione di embrioni umani destinati a scopo terapeutico. La semplice idea di considerare l’embrione come « materiale terapeutico » contraddice le basi culturali, civili ed etiche su cui poggia la dignità della persona. Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. È utile ricordare, comunque, che i 2 Cfr Deus caritas est, n. 5. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 804 singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata. La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell’accertare la morte del paziente. È bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall’intera comunità scientifica cosı̀ da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione. È utile per questo che si incrementi la ricerca e la riflessione interdisciplinare in modo tale che la stessa opinione pubblica sia messa dinanzi alla più trasparente verità sulle implicanze antropologiche, sociali, etiche e giuridiche della pratica del trapianto. In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore cosı̀ che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale.3 L’atto d’amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita. Del valore di questo gesto dovrebbe essere ben cosciente il ricevente; egli è destinatario di un dono che va oltre il beneficio terapeutico. Ciò che riceve, infatti, prima ancora di un organo è una testimonianza di amore che deve suscitare una risposta altrettanto generosa, cosı̀ da incrementare la cultura del dono e della gratuità. La via maestra da seguire, fino a quando la scienza giunga a scoprire eventuali forme nuove e più progredite di terapia, dovrà essere la formazione e la diffusione di una cultura della solidarietà che si apra a tutti e non escluda nessuno. Una medicina dei trapianti corrispondente a un’etica della donazione esige da parte di tutti l’impegno per investire ogni possibile sforzo nella formazione e nell’informazione, cosı̀ da sensibilizzare sempre più le coscienze verso una problematica che investe direttamente la vita di tante persone. Sarà necessario, pertanto, fugare pregiudizi e malintesi, dissipare diffidenze e paure per sostituirle con certezze e garanzie in modo da permettere l’accrescersi in tutti di una sempre più diffusa consapevolezza del grande dono della vita. Con questi sentimenti, mentre auguro a ciascuno di continuare nel proprio impegno con la dovuta competenza e professionalità, invoco l’aiuto di Dio sui lavori del Congresso ed imparto a tutti di cuore la mia Benedizione. 3 Cfr Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 476. Acta Benedicti Pp. XVI 805 NUNTII I Occasione XCV Diei Internationalis de Migrantibus et Exsulibus Cari fratelli e sorelle, quest’anno il Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato ha come tema: « San Paolo migrante, Apostolo delle genti », e prende spunto dalla felice coincidenza dell’Anno Giubilare da me indetto in onore dell’Apostolo in occasione del bimillenario della sua nascita. La predicazione e l’opera di mediazione fra le diverse culture e il Vangelo, operata da Paolo « migrante per vocazione », costituiscono in effetti un significativo punto di riferimento anche per chi si trova coinvolto nel movimento migratorio contemporaneo. Nato in una famiglia di ebrei emigrati a Tarso di Cilicia, Saulo venne educato nella lingua e nella cultura ebraica ed ellenistica, valorizzando il contesto culturale romano. Dopo che sulla via di Damasco avvenne il suo incontro con Cristo,1 egli, pur non rinnegando le proprie « tradizioni » e nutrendo stima e gratitudine verso il Giudaismo e la Legge,2 senza esitazioni e ripensamenti si dedicò alla nuova missione con coraggio ed entusiasmo, docile al comando del Signore: « Ti manderò lontano, tra i pagani ».3 La sua esistenza cambiò radicalmente: 4 per lui Gesù divenne la ragion d’essere e il motivo ispiratore dell’impegno apostolico a servizio del Vangelo. Da persecutore dei cristiani si tramutò in apostolo di Cristo. Guidato dallo Spirito Santo, si prodigò senza riserve, perché fosse annunciato a tutti, senza distinzione di nazionalità e di cultura, il Vangelo che è « potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco ».5 Nei suoi viaggi apostolici, nonostante ripetute opposizioni, proclamava dapprima il Vangelo nelle sinagoghe, accordando attenzione innanzi1 2 3 4 5 Cfr Gal 1, 13-16. Cfr Rm 9, 1-5; 10, 1; 2 Cor 11, 22; Gal 1, 13-14; Fil 3, 3-6. At 22, 21. Cfr Fil 3, 7-11. Rm 1, 16. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 806 tutto ai suoi connazionali in diaspora.6 Se da essi veniva rifiutato, si rivolgeva ai pagani, facendosi autentico « missionario dei migranti », migrante lui stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo, per invitare ogni persona a diventare, nel Figlio di Dio, « nuova creatura ».7 La proclamazione del kerygma gli fece attraversare i mari del Vicino Oriente e percorrere le strade dell’Europa, fino a giungere a Roma. Partı̀ da Antiochia, dove il Vangelo fu annunciato a popolazioni non appartenenti al Giudaismo, e i discepoli di Gesù per la prima volta furono chiamati « cristiani ».8 La sua vita e la sua predicazione furono interamente orientate a far conoscere e amare Gesù da tutti, perché in Lui tutti i popoli sono chiamati a diventare un solo popolo. Questa è, anche al presente, nell’era della globalizzazione, la missione della Chiesa e di ogni battezzato; missione che con attenta sollecitudine pastorale si dirige pure al variegato universo dei migranti — studenti fuori sede, immigrati, rifugiati, profughi, sfollati — includendo coloro che sono vittime delle schiavitù moderne, come ad esempio nella tratta degli esseri umani. Anche oggi va proposto il messaggio della salvezza con lo stesso atteggiamento dell’Apostolo delle genti, tenendo conto delle diverse situazioni sociali e culturali, e delle particolari difficoltà di ciascuno in conseguenza della condizione di migrante e di itinerante. Formulo l’auspicio che ogni comunità cristiana possa nutrire il medesimo fervore apostolico di san Paolo che, pur di annunciare a tutti l’amore salvifico del Padre 9 per « guadagnarne il maggior numero a Cristo » 10 si fece « debole con i deboli ... tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno ».11 Il suo esempio sia anche per noi di stimolo a farci solidali con questi nostri fratelli e sorelle e a promuovere, in ogni parte del mondo e con ogni mezzo, la pacifica convivenza fra etnie, culture e religioni diverse. Ma quale fu il segreto dell’Apostolo delle genti? Lo zelo missionario e la foga del lottatore, che lo contraddistinsero, scaturivano dal fatto che egli, « conquistato da Cristo »,12 restò a Lui cosı̀ intimamente unito da sentirsi partecipe della sua stessa vita, attraverso « la comunione con le sue sofferen6 7 8 9 10 11 12 Cfr At 18, 4-6. 2 Cor 5, 17. Cfr At 11, 20.26. Rm 8, 15-16; Gal 4, 6. 1 Cor 9, 19. 1 Cor 9, 22. Fil 3, 12. Acta Benedicti Pp. XVI 807 ze ».13 Qui è la sorgente dell’ardore apostolico di san Paolo, il quale racconta: « Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani ».14 Con Cristo si sentı̀ « con-crocifisso », tanto da poter affermare: « Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me ».15 E nessuna difficoltà gli impedı̀ di proseguire nella sua coraggiosa azione evangelizzatrice in città cosmopolite come Roma e Corinto che, in quel tempo, erano popolate da un mosaico di etnie e di culture. Leggendo gli Atti degli Apostoli e le Lettere che Paolo rivolge a vari destinatari, si coglie un modello di Chiesa non esclusiva, bensı̀ aperta a tutti, formata da credenti senza distinzioni di cultura e di razza: ogni battezzato è, in effetti, membro vivo dell’unico Corpo di Cristo. In tale ottica, la solidarietà fraterna, che si traduce in gesti quotidiani di condivisione, di compartecipazione e di sollecitudine gioiosa verso gli altri, acquista un rilievo singolare. Non è tuttavia possibile realizzare questa dimensione di fraterna accoglienza vicendevole, insegna sempre san Paolo, senza la disponibilità all’ascolto e all’accoglienza della Parola predicata e praticata,16 Parola che sollecita tutti all’imitazione di Cristo 17 nell’imitazione dell’Apostolo.18 E pertanto, più la comunità è unita a Cristo, più diviene sollecita nei confronti del prossimo, rifuggendo il giudizio, il disprezzo e lo scandalo, e aprendosi all’accoglienza reciproca,.19 Conformati a Cristo, i credenti si sentono in Lui « fratelli », figli dello stesso Padre.20 Questo tesoro di fratellanza li rende « premurosi nell’ospitalità »,21 che è figlia primogenita dell’agapé.22 Si realizza in tal modo la promessa del Signore: « Io vi accoglierò e sarò per voi come un padre e voi mi sarete come figli e figlie ».23 Se di questo siamo consapevoli, come non farci carico di quanti, in particolare fra rifugiati e profughi, si trovano in condizioni difficili e disagiate? Come non andare incontro alle necessità di chi è di fatto più debole e indifeso, segnato da preca13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 Fil 3, 10; cfr anche Rm 8, 17; 2 Cor 4, 8-12; Col 1, 24. Gal 1, 15-16; cfr anche Rm 15, 15-16. Gal 2, 20. Cfr 1 Ts 1, 6. Cfr Ef 5, 1-2. Cfr 1 Cor 11, 1. Cfr Rm 14, 1-3; 15, 7. Rm 8, 14-16; Gal 3, 26; 4, 6. Rm 12, 13. Cfr 1 Tim 3, 2; 5, 10; Tt 1, 8; Fm 17. 2 Cor 6, 17-18. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 808 rietà e da insicurezza, emarginato, spesso escluso dalla società? A loro va data prioritaria attenzione poiché, parafrasando un noto testo paolino, « Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio ».24 Cari fratelli e sorelle, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che si celebrerà il 18 gennaio 2009, sia per tutti uno stimolo a vivere in pienezza l’amore fraterno senza distinzioni di sorta e senza discriminazioni, nella convinzione che è nostro prossimo chiunque ha bisogno di noi e noi possiamo aiutarlo.25 L’insegnamento e l’esempio di san Paolo, umile-grande Apostolo e migrante, evangelizzatore di popoli e culture, ci sproni a comprendere che l’esercizio della carità costituisce il culmine e la sintesi dell’intera vita cristiana. Il comandamento dell’amore — noi lo sappiamo bene — si alimenta quando i discepoli di Cristo partecipano uniti alla mensa dell’Eucaristia che è, per eccellenza, il Sacramento della fraternità e dell’amore. E come Gesù nel Cenacolo, al dono dell’Eucaristia unı̀ il comandamento nuovo dell’amore fraterno, cosı̀ i suoi « amici », seguendo le orme di Cristo, che si è fatto « servo » dell’umanità, e sostenuti dalla sua Grazia, non possono non... dedicarsi al servizio vicendevole, facendosi carico gli uni degli altri secondo quanto lo stesso san Paolo raccomanda: « Portate i pesi gli uni degli altri, cosı̀ adempirete la legge di Cristo ».26 Solo in questo modo cresce l’amore tra i credenti e verso tutti.27 Cari fratelli e sorelle, non stanchiamoci di proclamare e testimoniare questa « Buona Novella » con entusiasmo, senza paura e risparmio di energie! Nell’amore è condensato l’intero messaggio evangelico e gli autentici discepoli di Cristo si riconoscono dal mutuo loro amarsi e dalla loro accoglienza verso tutti. Ci ottenga questo dono l’Apostolo Paolo e specialmente Maria, Madre dell’accoglienza e dell’amore. Mentre invoco la protezione divina su quanti sono impegnati nell’aiutare i migranti e, più in generale, sul vasto mondo dell’emigrazione, assicuro per ciascuno un costante ricordo nella preghiera ed imparto con affetto a tutti la Benedizione Apostolica. Da Castel Gandolfo, 24 agosto 2008. BENEDICTUS PP. XVI 24 25 26 27 1 Cor 1, 27-29. Cfr Deus caritas est, n. 15. Gal 6, 2. Cfr 1 Ts 3, 12. Acta Benedicti Pp. XVI 809 II Internationali recurrente Die Alimoniae dicato, anno 2008 A Son Excellence Monsieur Jacques Diouf Directeur général de l’Organisation des Nations Unies pour l’Alimentation et l’Agriculture (Fao) Le thème choisi cette année pour la Journée mondiale de l’Alimentation: « La sécurité alimentaire mondiale: les défis du changement climatique et des bioénergies » permet de réfléchir sur ce qui est réalisé dans la lutte contre la faim et sur les obstacles à l’action de l’Organisation des Nations Unies pour l’Alimentation et l’Agriculture (Fao) face aux nouveaux défis qui menacent la vie de la famille humaine. Cette Journée se célèbre à un moment particulièrement difficile pour la situation nutritionnelle mondiale, alors que la disponibilité d’aliments semble insuffisante par rapport à la consommation et que les conditions climatiques contribuent à mettre en péril la survivance de millions d’hommes, de femmes et d’enfants, contraints à abandonner leur terre pour rechercher de quoi se nourrir. Ces circonstances impliquent qu’avec la Fao tous puissent répondre en termes de solidarité, par des actions libres de tout conditionnement et réellement au service du bien commun. En juin dernier, la Conférence de haut niveau a été l’occasion pour la Fao de rappeler à la Communauté internationale ses responsabilités directes face à l’insécurité alimentaire alors que les formes d’aide de base pour les situations d’urgence risquent de se voir limiter. Dans le message que j’avais adressé aux participants, j’avais alors indiqué la nécessité d’adopter des « mesures courageuses, qui ne capitulent pas face à la faim et à la malnutrition, comme s’il s’agissait simplement de phénomènes endémiques et sans solution ».1 Le premier engagement est celui d’éliminer les raisons qui empêchent un respect authentique de la dignité de la personne. Les moyens et les ressources dont le monde dispose aujourd’hui peuvent procurer une nourriture suffisante pour satisfaire les nécessités croissantes de tous. Les premiers résultats des efforts pour augmenter les niveaux globaux de production face à la carence enregistrée dans les récoltes récentes le montrent. Alors, pourquoi n’est-il 1 Message à la Conférence de haut niveau sur la sécurité alimentaire mondiale, 2 juin 2008. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 810 pas possible d’éviter que tant de personnes souffrent de la faim jusqu’aux conséquences les plus extrêmes? Les motifs de cette situation dans laquelle souvent coexistent abondance et pénurie sont nombreux. On peut ainsi nommer la course à la consommation qui ne s’arrête pas malgré une disponibilité plus faible d’aliments et qui impose des réductions forcées à la capacité nutritionnelle des régions les plus pauvres de la planète, ou le manque de volonté résolue pour conclure des négociations et pour freiner les égoı̈smes d’Etats et de groupes de pays, ou encore pour mettre fin à cette « spéculation effrénée » qui touche les mécanismes des prix et des consommations. L’absence d’administration correcte des ressources alimentaires causée par la corruption dans la vie publique ou les investissements croissants vers des armes et des technologies militaires sophistiquées au détriment des nécessités primaires des personnes jouent aussi un grand rôle. Ces motifs très divers trouvent une origine dans un faux sens des valeurs sur lesquelles devraient se baser les relations internationales, et en particulier dans cette attitude diffuse dans la culture contemporaine qui privilégie seulement la course aux biens matériels, oubliant la véritable nature de la personne humaine et ses aspirations les plus profondes. Le résultat est, malheureusement, l’incapacité de beaucoup de prendre en charge les besoins des pauvres, de les comprendre et de nier leur dignité inaliénable. Une campagne efficace contre la faim demande donc beaucoup plus qu’une simple étude scientifique pour faire face aux changements climatiques ou pour destiner en premier lieu la production agricole à l’usage alimentaire. Il est nécessaire, avant tout, de redécouvrir le sens de la personne humaine, dans sa dimension individuelle et communautaire, depuis le fondement de la vie familiale, source d’amour et d’affection dont provient le sens de la solidarité et du partage. Ce cadre répond à la nécessité de construire des relations entre les peuples basées sur une constante et authentique disponibilité, de rendre chaque pays capable de satisfaire les nécessités des personnes dans le besoin, mais aussi de transmettre l’idée de relations fondées sur l’échange de connaissances réciproques, de valeurs, d’assistance rapide et de respect. Il s’agit là d’un engagement pour la promotion d’une justice sociale effective dans les relations entre les peuples, qui demande à chacun d’être conscient que les biens de la Création sont destinés à tous et que dans la communauté mondiale la vie économique devrait être orientée vers le partage Acta Benedicti Pp. XVI 811 de ces biens, vers leur usage durable et la juste répartition des bénéfices qui en découlent. Dans le contexte changeant des relations internationales, où semblent s’accroı̂tre les incertitudes et s’entrevoir de nouveaux défis, l’expérience jusqu’ici acquise par la Fao — avec celle des autres Institutions qui opèrent dans la lutte contre la faim — peut jouer un rôle fondamental pour promouvoir une façon renouvelée d’entendre la coopération internationale. Une condition essentielle pour augmenter les niveaux de production, pour garantir l’identité des communautés indigènes, et aussi la paix et la sécurité dans le monde, est de garantir l’accès à la terre, favorisant ainsi les travailleurs agricoles et promouvant leurs droits. Dans tous ces efforts, l’Eglise catholique vous est proche, comme en témoigne l’attention avec laquelle le Saint-Siège suit l’activité de la Fao depuis 1948, soutenant constamment vos efforts, pour que puisse se poursuivre l’engagement pour la cause de l’homme. Ceci signifie concrètement l’ouverture à la vie, le respect de l’ordre de la Création et l’adhésion aux principes éthiques qui sont depuis toujours à la base du vivre social. Avec ces souhaits j’invoque la Bénédiction du Très-Haut sur vous, Monsieur le Directeur général, ainsi que sur tous les représentants des Nations, pour que vous puissiez travailler avec générosité et sens de la justice envers les personnes les plus délaissées. Du Vatican, le 13 octobre 2008. BENEDICTUS PP. XVI 812 Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale ACTA CONGREGATIONUM CONGREGATIO PRO EPISCOPIS PROVISIO ECCLESIARUM Latis decretis a Congregatione pro Episcopis, Sanctissimus Dominus Benedictus Pp. XVI, per Apostolicas sub plumbo Litteras, iis quae sequuntur Ecclesiis sacros praefecit praesules: die 4 Octobris 2008. — Cathedrali Ecclesiae Litomericensi, R.D. Ioannem Baxant, hactenus Vicarium Generalem Budovicensem. — Titulari episcopali Ecclesiae Turretamallensi, R.D. Damianum Iacobum Bitar, hactenus dioecesis Civitatis Mariae Vicarium Generalem, quem constituit Auxiliarem dioecesis Sancti Iusti. die 8 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Novolaredensi, Exc.mum P. D. Gustavum Rodrı́guez Vega, hactenus Episcopum titularem Obbensem et Auxiliarem Monterreyensem. — Cathedrali Ecclesiae Zacatecensi, R. D. Carolum Cabrero Romero, e clero archidioecesis Sancti Ludovici Potosiensis, hactenus paroeciae vulgo « Nuestra Señora de Guadalupe » nuncupatae parochum. — Cathedrali Ecclesiae Patensi, R. D. Claudium Nori Sturm, O.F.M. Cap., hactenus provinciae vulgo dictae Paraná Santa Catarina in Brasilia Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum Superiorem Provincialem. die 10 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Malacitanae, Exc.mum P.D. Iesum Stephanum Catalá Ibáñez, hactenus Complutensem Episcopum. die 14 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Clivi Zamorensis, Exc.mum. P.D. Georgium Ruben Lugones, S.I., hactenus Novoraniensem Episcopum. die 15 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Vinonaënsi, Coadiutorem Episcopum, Exc.mum P.D. Ioannem Quinn, hactenus Episcopum titularem Ressianensem, et Auxiliarem dioecesis Detroitensis. Congregatio pro Episcopis 813 — Cathedrali Ecclesiae Baionensi, vacanti post renuntiationem a Summo Pontı́fice acceptam Exc.mi P.D. Petri Molères ab officio Episcopi eiusdem dioecesis iuxta canonem 401 § 1 C.I.C., R.D. Marcum Aillet, sodalem Communitatis Sancti Martini, hactenus Vicarium Generalem dioecesis Foroiuliensis-Tolonensis. die 16 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Ergadiensi et Insularum, R.D. Iosephum Antonium Toal, e clero eiusdem dioecesis, hactenus Rectorem Scotorum Collegii in Hispania. — Cathedrali Ecclesiae Menevensi, R.D. Thomam Matthaeum Burns, S.M., hactenus Ordinarium Militarem Magnae Britanniae. die 17 Octobris. — Archiepiscopum Coadiutorem Cincinnatensem Exc .mum P.D. Dionysium Mariam Schnurr, hactenus Episcopum Duluthensem. die 18 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Sanctae Annae Pocatierensi, R. D Ivonem Moreau, O.C.S.O., hactenus Abbatiae Nostrae Dominae ad Lacum Abbatem. die 22 Octobris. — Titulari episcopali Ecclesiae Teglatensi in Numidia, R.D. Franciscum Antonium Nieto Súa, e clero archidioecesis Bogotensis, ibique hactenus Vicarium Episcopalem, quem constituit Auxiliarem eiusdem archidioecesis. die 28 Octobris. — Cathedrali Ecclesiae Antverpiensi, R.D. Ioannem Bonny, e clero dioecesis Brugensis, hactenus Pontificii Collegii Belgici Rectorem et Pontificii Consilii ad Unitatem Christianorum Officialem. die 4 Novembris. — Titulari episcopali Ecclesiae Civitatis Imperialis, R.D. Petrum Ossandón Buljevic, e clero archidioecesis Sancti Iacobi in Chile, ibique hactenus Vicarium Episcopalem, quem constituit Auxiliarem archidioecesis Sanctissimae Conceptionis. — Titulari episcopali Ecclesiae Abiddensi, Exc.mum P.D. Carolum Suárez Cázarez, Episcopum emeritum Zamorensem in Mexico, quem constituit Auxiliarem archidioecesis Moreliensis. Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 814 DIARIUM ROMANAE CURIAE Il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto in Udienza Ufficiale per la presentazione delle Lettere Credenziali: Lunedı̀, 27 ottobre, S.E. la Sig.ra Cristina Castañer-Ponce Enrile, Ambasciatore delle Filippine; Giovedı̀, 30 ottobre, S.E. la Sig.ra Anne Leahy, Ambasciatore del Canada presso la Santa Sede; Giovedı̀, 6 novembre, S.E. la Sig.ra Lamia Aly Hamada Mekhemar, Ambasciatore della Repubblica Araba di Egitto; Venerdı̀, 7 novembre, S.E. il Sig. Vytautas Ališauskas, Ambasciatore della Repubblica di Lituania. Ha, altresı̀, ricevuto in Udienza: Mercoledı̀, 8 ottobre, S.E. il Sig. Michael Somare, Primo Ministro della Papua Nuova Guinea; Venerdı̀, 31 ottobre, S.E. il Generale Michel Sleiman, Presidente della Repubblica del Libano. Il Papa Benedetto XVI ha compiuto una visita pastorale al Santuario Mariano Pontificio di Pompei la domenica 19 ottobre. SEGRETERIA DI STATO NOMINE Con Breve Apostolico il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 24 ottobre 2008 L’Ecc.mo Mons. George Panikulam, Arcivescovo tit. di Arpaia, finora Nunzio Apostolico in Mozambico, Nunzio Apostolico in Etiopia e Delegato Apostolico in Somalia. Diarium Romanae Curiae 815 Con Biglietti della Segreteria di Stato il Santo Padre Benedetto XVI ha nominato: 10 ottobre 2008 Il Prof. Paolo Papanti-Pellettier, nel ruolo di Giudice Aggiunto, e il Prof. Pierfrancesco Grossi, nel ruolo di Promotore di Giustizia Aggiunto, presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano « ad triennium ». 4 novembre » I Signori Dott. Christoph Ludwig e Dott. Hans-Joachim Kracht, Consultori della Congregazione delle Cause dei Santi « in aliud quinquennium ». » » » L’Ecc.mo Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, Arcivescovo tit. di Tibica, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, Consultore della Congregazione per i Vescovi. » » » L’Ill.mo Prof. Dott. Thomas Han Hong-Soon, Revisore Internazionale presso la Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede « ad triennium ». Acta Apostolicae Sedis – Commentarium Officiale 816 NECROLOGIO 7 ottobre 2008 Mons. Adam Śmigielski, S.D.B., Vescovo di Sosnowiec (Polonia). 13 » » Il Sig. Card. Antonio González Zumárraga, del Titolo di S. Maria in Via. » » » Mons. Pablo Barrachina Estevan, Vescovo em. di OrihuelaAlicante (Spagna). » » » Mons. Eduardus Sangsun, S.V.D., Vescovo di Ruteng (Indonesia). 17 » » Mons. Santo Bartolomeo Quadri, Arcivescovo em. di ModenaNonantola (Italia). 18 » » Mons. Salvatore Boccaccio, Vescovo della diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino (Italia). 21 » » Mons. Venediktos Printesis, Arcivescovo em. di Athenai (Grecia). 22 » » Mons. Ernest Kombo, SJ, Vescovo di Owando (Congo). 28 » » Mons. Augusto Petró, Vescovo em. di Uruguaiana-RS. (Brasile). 5 novembre » Mons. Sofron Dmyterko, O.S.B.M., Vescovo em. di IvanoFrankivsk degli Ucraini (Ucraina). 6 » » Mons. Carmelo Echenagusia Uribe, Vescovo titolare di Auzegera (Spagna). 7 » » Mons. José Bezerra Coutinho, Vescovo em. d’Estância-SE (Brasile).